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PSICOPATOLOGIA DELL’ETA’ EVOLUTIVA
L’adolescenza è una fase di sviluppo che non entra subito nel pensiero psicoanalitico freudiano. Il primo testo
che parla di adolescenza è “L’Io e i meccanismi di difesa” del 1936 di A. Freud due meccanismi di difesa tipici
del conflitto adolescenziale. Il terzo precursore è Winnicot.
Classici: Blos, Erikson (grande importanza alla cultura e all’ambiente), Meltzer (origine kleiniana, noto per il
concetto di conoscenza cui l’adolescente è chiamato), coniugi Laufer.
Contributo francese: Ladome e Pommerau (interventi su tentativi e ideazioni suicidali), Jeammet (testo sulla
psicopatologia dell’adolescenza), Cahn (parla molto di soggettivazione e blocchi).
Contributo italiano: Senise (Milano) e Novelletto (Roma) fondano la psicoterapia dell’adolescenza in Italia
(Psicoterapia breve di individuazione), Gustavo Pietropolli Charmet.
ADOLESCENTI E SUICIDIO (Antonio Piotti)
Nella pratica clinica sono molti i casi in cui il paziente comunica la sua intenzione di voler morire, anche nella
fascia più giovane. Il suicidio è la seconda causa di morte tra i ragazzi di 15-25 anni e la terza tra le ragazze.
È molto frequente la versione dei tentativi di suicidio, sia ad alto rischio che blandi. Qualsiasi forma di tentato
suicidio o attacco al corpo con intenzioni suicidali va trattato clinicamente con molta attenzione. Soprattutto tra
i giovani il rapporto mezzi- fini non è ben pensato, perciò anche quello che per noi può sembrare un tentativo
blando di suicidio può essere vissuto come grave da chi lo compie.
Il tentato suicidio è l’unico predittore del rischio suicidale.
Il rischio di illudersi che il sentimento legato al tentato suicidio possa passare in breve tempo è alto; serve
prendere seriamente la questione per risolverlo.
Il suicidio ha a che fare con una questione culturale, solo in forma secondaria dipende da elementi patologici,
economici, genetici. Il suicidio dipende da come la cultura di cui la persona fa parte lo interpreta. Gli aspetti
culturali- sociali possono facilitare il gesto suicidale, con la promessa di una ricompensa postuma (per es. in
India erano esaltate e considerate eroine le mogli che si suicidavano quando il marito moriva). I ragazzi che si
suicidano sono visti in seguito come i più bravi nel loro contesto sociale (per es. gli attentatori che si fanno
esplodere ricevono grandi riconoscimenti all’interno della loro cultura). Un esempio contrario è invece la
condanna del suicidio nella cultura cattolica medievale.
Questione dell’ambivalenza: è difficile pensare a un soggetto il cui desiderio e la tendenza a morire sia al
100%. Anche dalle autopsie psicologiche emerge che i soggetti morti per suicidio hanno mandato segnali di
aiuto per sfuggire all’atto. Si tratta di una lotta interna, in cui l’intervento clinico può essere anche molto
efficace perché l’ambivalenza dà speranza di poter favorire la vita. A volte basta anche qualche colloquio o
piccole modifiche nel contesto per ridurre il rischio di morte.
Basi psicoanalitiche del mito di Edipo e di Narciso.
Il mito di Edipo si costruisce sulla rinuncia (soggetto costretto alla rimozione del desiderio del bambino per la
madre, operata dal padre, per rivolgere il desiderio altrove).
Schema: bambino (soggetto) in contrasto col sistema cui appartiene (Grande altro) che può essere ritrovato
nella figura paterna; una parte però non accetta a sottomissione al sistema (desideri rimossi, ideali di sé
spropositati, agglomerati nel Grande Sé, consciamente represso ma destinato a ricomparire come sintomo,
sogno, lapsus); il soggetto è così spezzato, una parte appartiene alla sfera sociale, un’altra si manifesta a
livello inconscio; il soggetto è così abbastanza infelice, ma comunque preferisce rinunciare anziché esprimere
il desiderio; così il soggetto è anche piuttosto ben inserito nel contesto sociale di appartenenza.
La struttura dominante delle nostre relazioni nella società attuale non è più questa. Compaiono altre patologie
per cui si fa fatica a gestire le cose che non sono state represse (disturbi alimentari, ritiro sociale, tentativi di
suicidio, border).
Narciso eroe solitario, fugge la compagnia e l’integrazione con gli altri; eroe dell’ambizione, della presunzione,
della stima di sé portata fino all’incapacità di relazione con gli altri. Non può amare perché si innamora della
propria immagine proiettata sull’oggetto, non dell’oggetto reale. Nel mito Narciso è accompagnato dalla ninfa
Eco, l’unica che può stare con lui perché non lo contraddice mai.
Schema: Soggetto idealizzato (Ideale dell’Io di Freud, Falso Sé di Winnicot, Sontuoso sé di Kernberg, Grande
sé); può rifarsi a un Altro Immaginario. Esiste un sistema immaginario dato dalla fotografia, dalla TV, da
Internet che permette ai desideri soggettivi altrimenti repressi di avere una realizzazione; i soggetti ritirati lo
usano come via di fuga dove si realizzano, essendo così in grado di stare in contatto col mondo tramite avatar.
“La galassia Gutenberg”- Marshall McLoan 1950. Con l’invenzione della stampa è nato anche il pensiero
razionalistico, è lo strumento che ha cambiato il modo di pensare (non è un modo in cui il pensiero razionalista
si esprime). Prima la gente pensava per immagini perché i libri erano riservati a pochissimi. L’autore
sosteneva che i nuovi media (TV e cinema) avrebbero riportato il pensiero alle immagini.
De Board l’immagine porta il soggetto a spettacolarizzarsi, ad agire i propri desideri, ad espandere il sé.
C’è stato un periodo della storia, coincidente con gli eventi del 1968-70 che ha permesso di liberare l’individuo
dalla rimozione e dalla repressione. Ma la libertà, i desideri dell’individuo devono comunque confrontarsi con
la società, col mondo e il sé grandioso si scontra, portando un fallimento. Ciò coincide con la fase
dell’adolescenza: il Grande sé si scontra col contesto sociale che quasi mai soddisfa i desideri del soggetto.
Ma il soggetto non è più in grado di gestire e sopportare la frustrazione, come il soggetto edipico, perciò si
sentirà profondamente inadeguato, proverà un sentimento di vergogna per quello che è (non più colpa per
quello che ha fatto, come nell’Edipo). La colpa nella società edipica può essere espiata, ma la vergogna no
perché riguarda la constatazione drammatica, davanti a tutti, che la persona non è come vorrebbe essere.
La vergogna compare più che altrove nel corpo, che tende ad essere un limite, non adeguato, brutto, perciò è
su esso che si agiscono i sentimenti per renderlo accettabile. Ma se si pensa che il vissuto soggettivo del
corpo sia ontologicamente, strutturalmente inadeguato alla vita, compare l’idea del suicidio.
Gli schemi rappresentano modi di pensare, campi intesi nel senso di Lewin. Non sono patologie personali, ma
una nuova dimensione del sociale in cui si collocano sia soggetti patologici che non.
Psicoanalisi e suicidio
La questione del suicidio è molto presente nella vita di Freud (anche giovani membri della società
psicoanalitica si suicidano), ma lui non ne parla nei suoi scritti perché è un tema problematico rispetto alla
teoria della psicoanalisi. Per esempio secondo Freud esiste una pulsione di vita, un istinto di sopravvivenza
che non può essere soppresso; non poteva permettersi di ammettere qualcosa che avrebbe dato ragione ad
Adler e a Jung.
Nel 1914, con l’”Introduzione al narcisismo”, per la prima volta scrive in modo dinamico della scissione dell’Io:
Io reale e Io ideale.
“Lutto e melanconia” 1917 interpretazione della depressione connessa al lutto cioè alla perdita; tutte le parti
poste nell’oggetto amato che si perde vengono a loro volta perse, è necessaria quindi una dolorosa
ricostruzione che permetta di recuperarle come parti proprie. Freud descrive anche una sorta di rabbia
nell’oggetto perduto, che ci ha abbandonato o riteniamo lo abbia fatto, che è agita con aggressività o con un
senso di colpa per inadeguatezza nei confronti dell’oggetto. Questo secondo tipo di rabbia è agita sull’Io
stesso e dal punto di vista della dinamica psichica si spiega così il suicidio (effetto estremo della depressione).
Questa spiegazione non dà però conto di altri atti suicidali che non sono in relazione ad abbandoni.
Freud cerca di capire quale sia l’innamoramento che porta alla depressione e al suicidio e lo individua
nell’innamoramento narcisistico, non in quello oggettuale, come modello di relazione con l’altro che non tiene
conto dell’altro reale, ma l’altro è importante nel momento in cui si identifica col nostro ideale; l’innamoramento
narcisistico genera vergogna e inadeguatezza alla relazione.
Nemmeno la pulsione di morte (1920) spiega il suicidio secondo Freud.
Così mentre la depressione “oggettuale” genera senso di colpa, la depressione narcisistica crea un
insostenibile sentimento di vergogna.
Nella nostra cultura il tema del narcisismo, dell’ideale di sé e dell’investimento sul corpo riguarda tipicamente
l’adolescenza. In questo periodo i fallimenti e gli abbandoni sono vissuti in modo più tragico. Questo aspetto è
esacerbato dalla società attuale perché l’immagine conta molto più che prima. Inoltre è cambiato il modello
educativo dell’infanzia: prima era edipico e il bambino era educato a sottomettersi e rinunciare, mentre
attualmente si tende a favorire i desideri infantili; in passato i bambini erano più abituati ai fallimenti, mentre
oggi arrivano all’adolescenza con ambizioni più alte ma anche con più fragilità, perché l’ideale dell’Io elevato
non è corrisposto dalla realtà.
Una fantasia importante e decisiva del suicidio è quella di non avere via d’uscita, c’è un ostacolo
insormontabile che prende le forme più disparate, si presenta nel futuro ma si sa da sempre che ci sarebbe
stato, è un futuro ampiamente prevedibile: in questo modo il suicidio è una via di fuga dallo smascheramento,
dalla vergogna. In questa dinamica la progettuazione suicidale non è impulsiva, improvvisa, ma è tenuta nella
mente per il momento in cui arriverà l’ostacolo insormontabile.
Nel suicidio c’è l’idea di qualcosa che continua (da un’altra parte e in un altro modo) e c’è la fantasia di
assistere al proprio funerale. Nella mente suicidale ciò che avviene d