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INTRACELLULARE DI FARMACO PER L'INTERAZIONE CON IL BERSAGLIO E QUINDI
DELL'EFFETTO FARMACOLOGICO.
Inibitori chimici
I primi inibitori chimici della glicoproteina P utilizzati nei pazienti oncologici che presentavano una
resistenza di questo tipo, sono inibitori che non hanno eseguito un normale processo di sviluppo
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(trial development). Ci sono moltissimi farmaci di nostra conoscenza che sono substrati della
glicoproteina P, non solo neoplastici. Nei trial clinici sono stati utilizzati farmaci già in commercio
per altri effetti, (come ad esempio il derapamil che viene utilizzato per alcune patologie
cardiovascolari) e quindi non è necessariamente antitumorali, che però sono substrato della
glicoproteina P.
Ne viene usato qualcuno come inibitore competitivo insieme a farmaci antineoplastici per cercare di
revertire il fenotipo da resistente a sensibile. Quindi non si sviluppano da ex novo inibitori della
pompa, ma si utilizzano substrati già conosciuti, approvati sull'uso clinico. Gli inibitori chimici di
prima generazione agiscono da inibitori competitivi sulla glicoproteina P.
CONCETTO: dose convezionale di chemioterapico ( che però è stato buttato fuori dalla cellula
tumorale per azione della glicoproteina P), viene co-somministrato un substrato della pompa, in
funzione dei rispettivi dosaggi e delle rispettive attività verso la glicoproteina P, si potrà avere un
aumento della concentrazione intracellulare di farmaco antineoplastico. Se si riesce ad aumentare la
concentrazione fino alla minima concentrazione attiva, si avrà l'effetto farmacologico.
Il derapamil fu uno dei primi farmaci usati a tale scopo. Per permettere un fenomeno di
competizione, che potesse portare a un incremento significativo della concentrazione intracellulare
dell'antitumorale, i dosaggi del competitore dovevano essere estremamente elevati. Questo è legato
alla tossicità esacerbata dai farmaci utilizzati come competitori. Esempio il derapamil preso in
considerazione, che veniva dato per il suo effetto terapeutico sulle patologie cardiovarscolari alla
consueta dose ottimale e non dava tossicità elevata, se esso invece veniva usato come competitore il
dosaggio risultava maggiore rispetto a quello usato a scopo terapeutico, e quindi la tossicità dovuta
al competitore era molto elevata! Questo ha limitato l'uso di inibitori di prima generazione, ma a
permesso di capire che questo schema poteva funzionare.
Sulla base di questo sono stati sintetizzati inibitori chimici di seconda generazione che sono
analoghi ai primi dal punto di vista del meccanismo d'azione, però sono sintetizzati ad oc perchè
presentano un'affinità migliore, con una tossicità blanda e sulla base della struttura chimica dei
precedenti (quasi tutti analogi agli inibitori di prima generazione). Sulla base della struttura chimica
del derapamil, il desderapamil è un inibitore di seconda generazione. Si sfrutta quindi la struttura
chimica che garantisce di essere substrato della glicoproteina P, ma sono chimicamente più affini ad
essa, e quindi risultano meno tossici rispetto ai farmaci che non sono stati sviluppati con questo
scopo. Gli inibitori competitivi secondari però mantengono un aspetto negativo: ovvero sono ancora
poco selettivi per la glicoproteina P espressa dalla cellula tumorale. Fungono da inibitori
competitivi non solo per la cellula tumorale, ma anche per tutte le sostanze xenobiotiche che sono
substrato della glicoproteina P fisiologica. L'uso di farmaci di seconda generazione altera la
funzione della pompa anche nell'intestino, fegato, reni, barriera ematoencefalica, provocando effetti
tossici, in quanto l'effetto protettivo della pompa nei confronti delle sostanze xenobiotiche viene
meno!!!! Questo problema è serio perchè questi inibitori per mantenere un effetto responsivo delle
cellule tumorali al farmaco devono essere somminitrati sempre.
Da qui lo sviluppo di inibitori di terza generazione: attraverso questo tipo di inibitori, si è cercato
di regolare la selettività nei confronti della glicoproteina P nelle cellule tumorali, rispetto a quella
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fisiologica. Non sono più inibitori competitivi, ma inibitori non competitivi o meglio allosterici. Si
legano a un sito di legame della glicoproteina P diverso da quello utilizzato dai legami ai substrati
che devono essere estrusi. Il legame di questo inibitore alla pompa comporta una riduzione della
capacità di legame dei substrati, e risultano più selettivi perchè si possono utilizzare perchè si hanno
un sito di legame in una posizione diversa da quello utilizzato dalla glicoproteina P per legare il
substrato. E' maggiormente probabile trovare siti verso cui sviluppare inibitori allosterici diversi tra
la glicoproteina P espressa nelle cellule tumorali, e quella espressa fisiologicamente. I siti sono più
versatili, è possibile sviluppare perciò inibitori allosterici che hanno affinità maggiore per la pompa
presente sulla membrana delle cellule tumorali, rispetto a quella presente nelle cellule sane. Mentre
gli inibitori competitivi si devono obbligatoriamente legare al sito di legame predisposto a legare
anche il substrato. Con gli inibitori di terza generazione, sono stati sviluppati farmaci che seppur
non completamente con cui è stata aumentata la selettività verso l'antitumorale, riducendo quella
che è la tossicità indotta dai farmaci.
Quelli di terza generazione sono utilizzati al fine di revertire un fenotipo multidrug. L'entità
dell'inibizione e il conseguente aumento della concentrazione intracellulare di farmaco
antitumorale, non è uguale in tutte le circostanze: dipende dal tipo di tumore, dal tipo di farmaco
che viene utilizzato. E' una terapia che funziona per alcuni tipi di tumori divenuti resistenti
all'espressione per la glicoproteina P rispetto ad altri, ma dipende anche dal farmaco.
RIASSUMENDO: A parità di effetto di inibizione esercitato sulla pompa, l'esito sull'incremento
intracellulare del farmaco antineoplastico può essere molto diverso in dipendenza del tipo di tumore
e farmaco.
Anticorpi monoclonali
Sono stati sviluppati allo stessi fine, e questo ci permette di avere una predittività ottimale verso la
glicoproteina espressa nei tumori, rispetto a quella fisologica. L'unico anticorpo monoclonale
arrivato a questa sperimentazione clinica è il wik 2: un anticorpo che ha superato i test pre-clinici e
ha permesso la sperimentazione sull'uomo. E' stato utilizzato insieme ad alcuni chemioterapici allo
scopo di bloccare l'attività della pompa, ripristinando la concentrazione intracellulare ottimale del
farmaco antitumorale. In realtà gli studi sull'uomo hanno evidenziato che nonostante ci si aspettasse
una variabilità dipendente dal tipo di tumore, espressione della glicoproteina P, tipo di farmaco, la
massima efficienza con cui ha inibito l'attività della pompa, è stata del 40%: questa non è sufficiente
mai per incrementare la concentrazione intracellulare nell'antineoplastico in modo tale da
considerare una reversione del fenotipo del tumore. Lo screening pre-clinico ha portato allo
sviluppo di questo anticorpo monoclonale con dati sufficientemente positivi, ma nonostante questo
la massima inibizione della pompa non è sufficiente a garantire lo scopo. Questo anticorpo è stato
abbandonato dalla sperimentazione.
Quindi ci si avvale delle prime due strategie e in particolare a quelle altenative al blocco della
pompa: downregolazione l'espressione della pompa: andare a degradare mRNA specifica per la
• glicoproteina P nelle cellule tumorali 95
utilizzare una nanoformulazione per veicolare il farmaco, nonostante la presenza della
• glicoproteina , che lo rilasciasci lontano da essa.
L'idea è stata mettere insieme queste due strategie: se è necessario la costituzione di una
nanoformazione per veicolare il farmaco, uso questa per veicolare qualsiasi modalità di
silenziamento che si decide di utilizzare che vada a bersagliare mRNA per la glicoproteina P. Nella
neofromazione quindi inserisco il farmaco antineoplastico bypassando la glicoproteina P della
cellula tumorale, ma anche srRNA antisenso o qualsiasi cosa che si vuole veicolare che vada a
legare e degradare mRNA. Si avrà in questo modo un costante trattamento del tumore, perchè il
farmaco continua ad avere effetto fin da subito, quando ancora l'espressione della glicoproteina P
sulla cellula tumorale è elevata. Ma poi l'azione del silenziamento implementa la concentrazione
intracellulare che si raggiunge, revertendo il fenotipo.
Sfruttando queste caratteristiche si sono sviluppate modalità di delivery del farmaco, nel caso
specifico di un snRNA, ovvero piccole molecole di RNA che andranno a legare la sequenza verso
cui sono state sintetizzate specifiche molecole formanti un complesso in grado di catalizzare la
degradazione specifica dell'mRNA bersaglio. Una nanoformazione bicompartimentale mette in
correlazione le caratteristiche del farmaco e dell'RNA, lo scopo è appunto revertire la cellula come
sensibilizzandola come lo era nello stato iniziale. Sia l'acido nucleico deputato alla degradazione
dell'mRNA e alla downregolazione della pompa, sia del farmaco antineoplastico sono già state
studiate nei modelli pre-clinici negli animali, e ora appovarti nei trial clinici.
Esempi dei dati ottenuti nei trial:
slide
Quando si sceglie il chemioterapico da dare al paziente, dopo la diagnosi del tumore, si deve
considerare un ventaglio di farmaci a disposizione, ma scegliendo il trattamento realmente ottimale.
Ovvero un farmaco che per quel tipo di tumore e in quel paziente manifesta la maggiore sensibilità
ad azione citotossica. Questo vuol dire che la risposta ottimale che permetterà di eradicare il tumore
(guarire) deriva dalla capacità di mantenere costante il trattamento. Tutto il resto permette di trattare
il paziente, ma non di curarlo: sono terapie alternative, ma non efficaci al massimo.
Esempio Linea di cancro al seno LCF sensibili al farmaco: rosso fluerescente si vede il farmaco
anti-neoplastico denota una buona concentrazione intracellulare ottimale per avere l'effetto
terapeutico, l'intensità di fluorescenza dice quanto farmaco necessitiamo per avere l'effetto
terapeutico.
Nella seconda foto vediamo si vedono le stesse cellule che hanno acquisito resistenza per over
espressione della glicoproteina P: stessa dose di farmaco della precedente e si vede che non c'è la
internalizzazione del farmaco, e addirittura la fluorescenza è localizzata sulla membrana (il farmaco
è legato alla glicoproteina P in quel momento). Da qui si capisce l'entità della resistenza: non c'è
più accumulo di farmaco all'i