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L'allievo veniva legato ad una specie di sedia elettrica, quindi gli veniva applicato al polso un elettrodo
collegato al generatore di corrente posto nella stanza accanto. Doveva rispondere alle domande e, da
attore, fingere una reazione di paura, con tanto di grida e implorazioni di pietà al progredire
dell’intensità delle scosse (che naturalmente non gli venivano somministrate) fino a che, raggiunti 330
V, non emetteva più alcun lamento.
Erano previsti 4 livelli di distanza prossemica (fisica) tra insegnante e allievo:
1. l’insegnante non poteva osservare né ascoltare i lamenti della vittima
2. poteva ascoltare ma non osservare la vittima
3. poteva sia ascoltare che osservare la vittima
4. per infliggere la puniz doveva afferrare il braccio della vittima e tenerlo fermo su di una piastra
Durante l’esecuzione della prova lo sperimentatore aveva il compito di esortare l’insegnante a
proseguire, pronunciando le seguenti frasi: “L’esperimento richiede che lei continui”, “È assolutamente
indispensabile che lei continui”, “Non ha altra scelta, deve proseguire”
Il grado di obbedienza fu misurato in base al numero dell’ultimo interruttore premuto da
ogni soggetto prima di interrompere la prova.
Solo al termine dell’esperimento i soggetti venivano informati che la vittima era in realtà un attore e
che non era stato sottoposto ad alcuna scossa elettrica.
Contrariamente alle aspettative, nonostante i 40 soggetti dell’esperimento mostrassero sintomi di
tensione e protestassero verbalmente, solo una minima percentuale si rifiutò di continuare a portare
avanti la prova.
PRIMO LIVELLO DI DISTANZA → 65% dei sogg andò avanti sino a comminare la scossa più forte
• SECONDO LIVELLO → 62,5%
• TERZO LIVELLO → 40%
• QUARTO LIVELLO → 30%
•
Questo stupefacente grado di obbedienza, che ha indotto i partecipanti a violare i propri principi
morali, è stato spiegato in rapporto ad alcuni elementi tra i quali l’obbedienza indotta da una figura
autoritaria considerata legittima, la cui autorità induce uno stato eteronomico
, caratterizzato dal fatto
che l’individuo non si percepisce più come un soggetto autonomo dotato di libero arbitrio, ma
viceversa come mero strumento esecutore di ordini. Di conseguenza molti dei sogg dell’esperimento
non si sentivano moralmente responsabili delle loro azioni, ritenendosi semplici esecutori dei voleri di
un potere esterno riconosciuto : è il tipo di difesa a cui sono spesso ricorsi i militari accusati di crimini
contro l’umanità
La cieca obbedienza dimostrata è stata letta anche come condizionata dalla ridefinizione del significato
della situazione. Ogni situazione è caratterizzata infatti da una propria chiave di lettura cognitiva, una
specie di mappa che definisce e spiega il significato degli eventi che vi accadono, e fornisce la
prospettiva grazie alla quale i singoli elementi acquistano coerenza. Dal momento in cui il soggetto
accetta la definizione della situazione proposta dall’autorità riconosciuta pubblicam, finisce col
ridefinire un’azione distruttiva non solo come se essa fosse ragionevole, ma anche oggettivamente
necessaria.
Esperimento Zimbardo
Philip Zimbardo studiò approfonditamente il modo in cui le condizioni ambientali possono condizionare
il comportamento umano, attraverso un noto esperimento condotto nei seminterrati dell’università di
Stanford (1971) e volto ad indagare il comportamento umano in una setting ambientale in cui gli
individui vengono definiti soltanto dal gruppo di appartenenza.
Ai volontari che accettarono di parteciparvi venivano assegnati i ruoli di guardie e prigionieri all’interno
di un carcere simulato. Gli inattesi risultati ebbero dei risvolti così drammatici da indurre lo stesso
Zimbardo a sospendere la sperimentazione prima del previsto.
Zimbardo rielaborò alcune idee dello studi oso del comportamento sociale Gustave Le Bo n ed in
particolare la teoria dell’individuazione secondo cui gli individui di un gruppo coeso costituente una
folla tendono a perdere l’identità personale, la consapevolezza morale delle proprie azioni e quindi il
senso di responsabilità, con la conseguente comparsa di comportamenti antisociali.
Fra i 75 studenti universitari che risposero ad un annuncio apparso su un quotidiano e richiedente dei
volontari per una ricerca, gli sperimentatori ne scelsero 24, tutti maschi appartenenti al ceto medio,
equilibrati, maturi e poco attratti da comportamenti devianti, assegnati casualmente al gruppo dei
detenuti o a quello delle guardie.
I prigionieri, che dovevano attenersi a regole molto rigide, furono obbligati ad indossare una divisa sulla
quale era stato applicato un numero identificativo; una catena di metallo venne loro applicata alla
caviglia. Le guardie indossavano delle uniformi color cachi e degli occhiali da sole riflettenti che
impedivano ai prigionieri di guardarli negli occhi; erano inoltre dotati di manganello, fischietto e
manette e avevano ampia discrezionalità circa i metodi da adottare per mantenere l’ordine.
L'abbigliamento poneva entrambi i gruppi in una condizione di de-individuazione.
I risultati dell’esperimento andarono molto al di là delle previsioni, rivelandosi particolarmente
drammatici. Dopo appena due giorni si verificarono i primi episodi di violenza: i detenuti si strapparono
le divise di dosso e si barricarono all’interno delle celle, inveendo contro le guardie; queste iniziarono a
intimidirli ed umiliarli, cercando in tutti i modi di spezzare il legame di solidarietà che si era sviluppato
fra i detenuti. Le guardie costrinsero i prigionieri a cantare canzoni oscene, a defecare dentro secchi
che non avevano il permesso di vuotare, a pulire le latrine con le mani nude. Al quinto giorno i
prigionieri mostrarono sintomi evidenti di disgregazione individuale e collettiva: il loro comportamento
era docile e passivo e il rapporto con la realtà appariva compromesso da seri disturbi emotivi; per
contro le guardie continuavano a comportarsi in modo vessatorio e sadico.
A questo punto i ricercatori interruppero l’esperimento suscitando da un lato la soddisfazione dei
carcerati, ma dall’altro un certo disappunto da parte delle guardie.
Zimbardo dichiarò che la prigione simulata, nell’esperienza psicologica vissuta dai soggetti di entrambi i
gruppi, era diventata una prigione vera.
Assumere una funzione di controllo sugli altri in una istituzione detentiva, rappresentando un ruolo
istituzionale, induce ad avocare norme e regole dell’istituzione quali unici valori di riferimento ai quali
adeguare il proprio comportamento: favorisce quella ridefiniz della situazione già utilizzata da Milgram
per spiegare le conseguenze dello stato eteronomico (assenza di autonomia comportamentale) sul
funzionamento psicologico degli individui.
Il processo di de-individuazione induce una perdita di responsabilità personale: la ridotta consideraz
delle conseguenze delle proprie azioni indebolisce i controlli basati sul senso di colpa, la vergogna, la
paura, così come quelli che inibiscono l’espressione di comportamenti distruttivi. Implica una diminuita
consapevolezza di sé e un’aumentata identificazione e sensitività agli scopi e alle azioni intraprese dal
gruppo: l’individuo pensa che le proprie azioni facciano parte di quelle compiute dal gruppo.
I tipi di relazione tra psicologo psicoterapeuta e paziente
Decreto Bersani
Abolizione dei minimi tariffari
Arrivano le parcelle “negoziabili” tra le parti e legate al risultato della prestazione. Una norma del decreto legge
abroga le disposizioni normative e regolamentari che prevedono la fissazione di tariffe obbligatorie fisse o di
tariffe minime e il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti. Dunque
la legge consentirà: (a partire dal 1 gennaio 2007 poiché entro tale data gli Ordini dovranno adeguare i loro
codici deontologici e, se non lo faranno, le norme deontologiche in contrasto con la legge saranno
automaticamente cassate) di praticare tariffe libere (per gli Ordini che hanno un tariffario approvato, ma non è
il caso nostro, sono libere le minime ma rimangono in vigore le massime) nonché di concordare con il proprio
cliente la cosiddetta “obbligazione di risultato” (se raggiungiamo un certo obiettivo mi dai X, se non lo
raggiungiamo mi dai X-Y).
Su tutto ciò grava l’articolo che dice: “Sono fatte salve le disposizioni riguardanti l’esercizio delle professioni
reso nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale o in rapporto convenzionale con lo stesso”. Sulle tariffe libere è
vero ciò che qualcuno ha osservato, cioè che noi non abbiamo un tariffario approvato dal ministero e che le
tariffe sono già sin troppo libere (quanto guadagna un collega nel privato sociale o in certe convenzioni?, certo
cifre molto distanti dal tariffario). Ma questi sono problemi grandi di tipo sindacale o parasindacale dove la
contrattazione deve essere collettiva.
Per i liberi professionisti occorre invece partire dal presupposto che nella libera professione la tariffa
rappresenta il corrispettivo dell’insieme della competenza della preparazione e della rete di relazioni
professionali che si è riusciti ad intrecciare. Molti giovani colleghi, per esempio appena specializzati, potrebbero
inizialmente aprirsi un varco nel mercato pubblicizzando tariffe più basse rispetto a quelle praticate da colleghi
più anziani, compensando così la carenza di esperienza e di contatti. La società avrebbe in questo modo più
facile accesso alle professioni psicologiche ed il giovane collega che iniziasse a lavorare per esempio a 25 euro a
seduta (cifra bassissima nell’ambito privato) comincerebbe a costruirsi una clientela entrando in quel circolo
che, con il maturare dell’esperienza e delle relazioni lo porterebbe poi ad incrementare le proprie tariffe.
Sull’altro versante il collega più anziano, sentendo l’incalzare della concorrenza, non si potrebbe permettere di
adagiarsi e sarebbe dunque stimolato ad una crescita professionale continua. Molti giovani colleghi sarebbero
stati disponibili ad avvicinarsi alla libera professione con questa modalità ma il non potersi pubblicizzare in tal
senso rendeva sino ad oggi impossibile il percorso. Ricordo che i procedimenti disciplinari per violazione di
norme sulla pubblicità sono stati frequentissimi presso i nostri ordini.
Diversa invece, e più complessa, è la riflessione da farsi sulla “obbligazione di risultato”. In questo contesto la
comunità professionale dovrà fare un grosso lavoro di approfondimento. Infatti se in certi settori della nostra
professione (psicologia del lavoro, del