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ROMA ANTICA

LE FONTI

Il termine lex, riservato in precedenza alle sole disposizioni normative provenienti dal popolo, indicò successivamente la costituzione imperiale. Si assistette addirittura ad una sorta di identificazione dell’imperatore con la legge: egli venne infatti definito lex animata, ovvero legge vivente, affermazione confermata dal giurista Ulpiano nel Digesto e da Giustiniano nelle Istituzioni, evidente punto di continuità tra l’ultima fase del principato e l’impero giustinianeo, ormai pre-bizantino. Tuttavia per tutti gli altri aspetti della produzione del diritto si ebbe invece un’evidente frattura tra principato ed impero tardotardo, soprattutto se si guardava al ruolo della giurisprudenza. Infatti, mentre nel principato e nell’età dei Severi i giuristi svolgevano un’insostituibile e pienamente riconosciuta funzione di guida nello sviluppo e nella creazione del diritto, a partire da Diocleziano essi persero gran parte tale ruolo, in quanto rappresentavano burocrati, che lavorano nelle cancellerie imperiali alla preparazione dei testi normativi del principe, oppure professori di diritto, che esercitavano un insegnamento teorizzante. Al lavoro del giurista non era più riconosciuto alcun rilievo nella creazione del diritto, facendo pertanto scomparire lo ius respondendi ex auctoritate principis. Giustiniano, con una famosa costituzione, che rappresentava una sorta di “manifesto” dell’assolutismo imperiale, giunse a riservare all’imperatore non soltanto la creazione del diritto ma anche la stessa interpretazione. Ai sudditi non restava che la fedele applicazione delle leggi che, se oscura o contraddittoria, doveva essere realizzata e chiarita dal sovrano, l’unico in grado di fare ciò. Tuttavia gli scritti dei giuristi dell’età del principato non vennero dimenticati ma utilizzati.

come diritto vigente, a fianco delle costituzioni imperiali, formando, nel loro

insieme, un complesso, ormai cristallizzato, cui era necessario attingere

soprattutto per conoscere la regolamentazione dei rapporti privatistici. In

contrapposizione delle leges, il complesso degli scritti giurisprudenziali del

principato era di solito denominato dagli studiosi iura, terminologia forse non

del tutto esatta, ma efficace per evidenziare la bipartizione delle fonti del diritto

di questo periodo tra fonti vive e fonti che erano ereditate dalla grande

tradizione del passato, costituendo tuttavia oramai un organismo oramai chiuso e

compiuto. Leges e iura, unitariamente considerati, formarono lo ius ex scripto, il

diritto scritto, che era distinto dallo ius ex non scripto o diritto consuetudinario.

La consuetudine aveva tuttavia una posizione marginale nel sistema normativo,

non in grado di superare la legge, come aveva già stabilito Costantino

precedentemente. Nel diritto giustinianeo era ammessa soltanto la consuetudine

secundum legem, cioè quella espressamente richiamata dalla legge, mentre non

trovavano spazio né le consuetudine praeter legem, che andava a colmare le

lacune legislative, né, a maggior ragione, quella contraria alla legge, contra

legem. La divisione dell’impero in due partes, l’Occidente e l’Oriente, implicò

un sostanziale dualismo legislativo. L’impero fu sempre sentito come una

identità politico-costituzionale unitaria ed indivisa. I provvedimenti legislativi

furono emanati formalmente nel nome di tutti gli imperatori regnanti, ma

ciascun imperatore legiferava esclusivamente per la pars di sua spettanza e le

costituzioni erano di conseguenza applicate solo in essa. Un’indiretta conferma

della divisione legislativa fu rappresentata dalla costituzione con cui

l’imperatore d’Oriente Teodosio II promulgò nel 438 il suo Codice Teodosiano,

che prevedeva che le costituzioni emanate in seguito da ciascun imperatore

dovevano essere comunicate, con una pragmatica sanctio, all’altro imperatore,

perché lo approvasse e lo promulgasse nella sua pars. In questo modo si aveva il

riconoscimento ufficiale della divisione legislativa dell’impero, già operante nei

singole personalità di giuristi, pervenutici attraverso le leggi romano-barbariche. Solamente con il Codice teodosiano si ebbe la prima compilazione ufficiale di costituzioni. Ben presto si ripropose il problema della certezza del diritto, legato al disordine legislativo ed alla stessa conoscibilità delle costituzioni imperiali. A tale esigenza si diede finalmente una risposta in Oriente, nel 439, sotto il regno di Teodosio II, con la pubblicazione ufficiale di costituzioni imperiali: il codice teodosiano (Codex Theodosianus), prima vera forma di codificazione. Esso ebbe una storia travagliata, che passò attraverso un primo progetto, non andato in porto, ed un secondo progetto, poi realizzato. Con una costituzione del 429 venne nominata una commissione con un duplice compito:

  • realizzare una raccolta, destinata agli studiosi, di tutte le costituzioni emanate da Costantino in avanti, anche quelle non più in vigore, ordinandole secondo la sistematica dei due codici privati precedenti;
  • compilare una seconda raccolta, avente carattere pratico, in cui confluissero le sole costituzioni vigenti, traendole dai codici gregoriano ed ermogeniano e dal terzo codice appena composto. Il testo delle costituzioni così individuate doveva essere accompagnato da brani scelti delle opere della giurisprudenza del principato. Questo progetto, tuttavia, non fu più realizzato.

Il codice teodosiano, misto tra diritto pubblico e privato, era composto di sedici libri. All’interno di ciascun titolo le costituzioni si susseguivano in ordine cronologico; per ognuna di esse era indicato il nome dell’imperatore o degli imperatori che le avevano emanate, il destinatario e la data. Lo schema sistematico seguito era quello del genere letterario dei Digesta dei giuristi del principato, con una sorta di prevalenza di materiale di diritto pubblico rispetto ad argomenti privatistici. Un’altra novità era la presenza di un intero libro (il

VI secolo si ebbe una fioritura della cultura giuridica, come dimostrò la stessa riuscita del progetto compilatorio di Giustiniano.

I giuristi non si dedicarono soltanto all’insegnamento. Altrettanto importante fu il lavoro, da loro svolto, per venire incontro alle esigenze della pratica, mostrando come nell’età tardoantica vi fosse una varia produzione di scritti che avevano l’evidente scopo di rendere più facilmente accessibili i testi della giurisprudenza del principato e delle stesse costituzioni imperiali. Queste opere erano molto preziose per lo studio del diritto romano, in quanto consentivano, talora, di conoscere testi non ricompresi nelle compilazioni teodosiana e giustinianea. Nell’ambito di questo genere di opere si era soliti distinguere le raccolte miste di costituzioni imperiali e di materiale giurisprudenziale e le rielaborazioni di scritti di giuristi del passato. Tra esse si ricordano:

  • Vaticana Fragmenta, scoperti dal cardinale Angelo Mai, nel 1821, in un manoscritto della Biblioteca Vaticana, che contenevano 350 frammenti di diritto privato ad opera di Paolo, Papiniano e Ulpiano, affiancati da costituzioni imperiali soprattutto dioclezianee, comprese tra il 369 ed il 372. Al suo interno era contenuta anche la Lex Cincia del 204, che si occupava dell’onorario degli avvocati, stabilendo che nessun avvocato potesse farsi versare doni prima di trattare una causa, per evitare che il costo delle prestazioni forensi divenisse eccessivo per i ceti più poveri, e del divieto delle donazioni tra coniugi, probabilmente con lo scopo di evitare che i patrimoni dei pater familias venissero frammentati, in conseguenza della diffusione dei matrimoni sine manu;
  • Collatio legum Mosaicarum et Romanarum (o Lex Dei), compilazioni che posero a confronto istituti del diritto romano dei giuristi classici con il diritto mosaico di Mosè;
Dettagli
A.A. 2014-2015
86 pagine
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SSD Scienze giuridiche IUS/18 Diritto romano e diritti dell'antichità

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher gaspare.sarandria di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del diritto romano e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Pisa o del prof Terreni Claudia.