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F
Gould e Gell-Mann criticano l'idea del “progetto intelligente” asserendo il paradosso che l'uomo
è in realtà l'essere più innaturale esistente, essendosi trasformato in un essere soprattutto
culturale. Quello che sembra essere il passo successivo è l'avvento delle tecnoscienze, che
spodestano l'uomo dalla sua centralità, che pone in secondo luogo l'evoluzione biologica a
favore di quella culturale.
Decostruzione dell'identità individuale e illusioni etiche
2.
Zygmunt Bauman ha elaborato notevoli considerazioni sulla tendenza a scoprire tendenze
dell'essere umano, identificando in primis la schizoidia della condizione umana. Sottolinea
l'esigenza dell'essere umano di essere confortato, una richiesta di stabilità e permanenza, si
poggia su basi poco solide: spesso questa esigenza si conclude con l'accogliere qualsiasi
soluzione accessibile e superficiale. Identifica la società postmoderna come “liquida”, rispetto a
quella passata “solida” che poggiava su basi ferme come l'etica o la religione. Tali sono i
“Grandi Racconti” (Jean-Francois Lyotard) cui gli individui erano costretti ad adattarsi, formano
il tessuto connettivo della società.
Nel mondo moderno ciò che era solido diventa liquido. Ad esempio totalitarismo e razzismo
fanno parte della modernità, come la Shoah che ha sconvolto per la sua dimensione
burocratica-industriale, possibile unicamente in un mondo dove razzismo e totalitarismo si
accompagnano a uno sviluppo tecnologico nella corsa agli armamenti.
Si è fluidificata anche l'economia, con la globalizzazione dei mercati, oltre ai rapporti sociali e
all'identità solida delle persone. Se prima era la sfera privata a dover essere difesa da quella
pubblica ora è il contrario. L'individuo è ridotto a consumatore che sposta l'interesse dal lavoro
al mercato; il mercato s’intende anche quello delle identità personali che si possono anch'esse
acquistare e consumare. Nello spazio pubblico non vi è più un incontro tra persone con una
singolarità, ma come individui perfettamente intercambiabili e sostituibili, che non vanno da
nessuna parte benché il loro moto di andare e venire.
Secondo Bauman in “Vite di Scarto”, l'uomo è diventato merce residuale, un prodotto di
scambio; alcuni popoli nel passato hanno trattato altri popoli come un rifiuto (vedi Auschwitz,
un “laboratorio” dove disinfestare la sporcizia): ora ci stiamo trasformando tutti quanti in quel
rifiuto. L'identità che rimane all'umanità è quella dell'immondizia.
Tutti gli individui, lavoratori in esubero, in mobilità, vecchi negli ospizi, sono classificabili come
immondizia, non meno rifiuti degli scarti di produzione. Le carceri, come altri luoghi di
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“immagazzinamento” delle persone, sono dei “centri di riciclaggio” per i soggetti ormai scartati.
Sono talmente tanti questi rifiuti che non si sa nemmeno più dove stipare tutta quest'umanità
in eccesso, che alcuni scienziati (tra i quali Stephen Hawking) suggeriscono l'esplorazione
spaziale e la costruzione di stazioni orbitanti perfettamente autarchiche e autonome.
Eleonora de Conciliis, nella sua relazione su “Vite di Scarto”, sottolinea la “de-soggettivazione
sintomatica dei rapporti interindividuali”, le relazioni personali e legami sociali tendono a
dissiparsi, il che non fa altro che generare fenomeni d’individualismo e xenofobia. La causa è
da attribuirsi a noi stessi, quando abbiamo frantumato la soggettività e la cultura del soggetto,
ora disciolto in una “marmellata postmoderna”. Nel nostro mondo siamo tutti smaltibili ed
eliminabili, senza che ciò possa servire a una selezione meritocratica, poiché incapaci di
pensare alle ciò che sarebbe effettivamente meglio per l'umanità. Le caratteristiche egoiste e
aggressive necessarie alle epoche passata al fine della sopravvivenza risultano assolutamente
in un regime di sovrappopolazione d’individui come quello odierno. La De Conciliis rimproveri
Bauman nella mancanza di una teoria per spiegare la de-soggettivazione della modernità nella
sua critica etica.
Bauman utilizza le considerazioni dello psicologo americano Stanley Milgram sulla capacità
dell'essere umano di compiere il male senza però sentirsi pienamente responsabile; tutta la
struttura sociale funge proprio da strumento per eliminare ogni responsabilità. Levinas sostiene
che il fatto di “essere con altri” è utile per eliminare la responsabilità morale dell'individuo.
Secondo Levinas, considerato il maggior filosofo morale del secolo, la responsabilità è
considerata la struttura essenziale, primordiale, fondamentale della soggettività; la
responsabilità verso “l'Altro” è ciò che rende un essere umano insostituibile e indispensabile. In
tal caso, l'Io non è cura solo di Sè e non è solo cura di Sè, ma anche cura dell'Altro, senza
pretesa di contraccambio. È dono di Sè e abbandono di ostaggio all'Altro. In questo risiede il
fondamento della solidarietà, l'uomo non è un lupo per l'uomo, ma è per l'uomo.
Bauman utilizza il pensiero di Levinas sostenendo che davanti alla de-soggettivazione nel
mondo globalizzato dovrebbe rispondere il richiamo etico della persona capace di sacrificarsi
per l'altro. Morire e sacrificarsi per l'altro è ciò che distingue una persona, un “Io” dalla massa
informe dell'umanità, è ciò che fonda la sua unicità.
Il presupposto di tutto ciò è l'esistenza “reale” di cose come l'Io, il Sè, l'anima e il libero arbitrio. La
solidità di tali cose potrebbe essere compromessa dalla modernità, la quale inconsistenza
pregiudicherebbe ogni dimensione etica e moralità.
3. Il Teatro Cartesiano o il fantasma nel cervello
Tutte le relazioni sulla responsabilità si rifanno a una decisione e quindi a un qualcuno che
opera tale scelta. Il problema è l'esistenza di un tale autore, responsabile delle scelte.
I processi decisionali sono perlopiù inconsci, le cause che il nostro apparato psichico dà ad-hoc
o post-hoc sono spiegate sotto forma di una confabulazione, utile a colmare il buco della
comprensione di sé.
La mente e il cervello sono figurati con una concezione dualistica, una materiale e l'altra calata
dal cielo. Daniel C. Dennet concentra il suo discorso sull'esistenza o meno di una presenza
“fantasmatica” all'interno del cervello, una “res cogitans” distinta dalla “res extensa”. Nel
cervello, “Quartier Generale” dell'organismo vi sarebbe questo “fantasma nella macchina”.
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Secondo Kostler, il modello dualistico è da criticare in quanto semplicistico e ciò necessita di un
approccio molto più complesso.
Gilbert Ryle critica il dogma cartesiano dello spettro nella macchina, poiché implica l'idea che la
mente sia l'arena interiore di tutte le percezioni, sensazioni e conoscenze; tale mente poi,
ricevendo i segnali provenienti dalla materia esterna e dal corpo, si proietta verso l'esterno con
dei comandi che sono impartiti dal corpo e dall'ambiente (Dennett critica questa visione
asserendo che esso sarebbe un Teatro Cartesiano, ossia che esista un punto ben preciso dove
sono registrati gli input ed elaborati gli output e ciò darebbe luogo al fenomeno della
coscienza). Secondo Ryle, invece, la cognizione è qualcosa di “incarnato”, non qualcosa di
“spirituale”, che abbia una sede specifica dove risiedono tutte le abilità. Il dualismo deriva
anche dalla concezione di una coscienza separata dal corpo.
Secondo Dennet, la conoscenza non è altro che la risultanza dell'insieme dei vari effetti fisici
della materia grigia: non esiste qualcosa di separato dove vi risiede una mente. Darwin si
chiese com’è possibile che vi sia differenza tra il pensiero come una secrezione del cervello, il
peso come proprietà della materia; la differenza risiede nella nostra arroganza. Dawkins
sostiene che il fatto nonostante la coscienza e la mente siano strutturate come un insieme
intricato di Memi culturali non bisogna ritenere che l'intera macchina sia stata progettata
finalisticamente da un Ingegner Celeste; Dennet ritiene che la coscienza non sia qualcosa di
calato dal cielo ma piuttosto il risultato dello sviluppo per autopoiesi (qualcosa che rigenera se
stesso) di “robot biochimici” nel corso di miliardi di anni di evoluzione. Dennet asserisce che la
coscienza è un modo di azione del cervello anziché un suo sottosistema.
La mente è quindi qualcosa che fa parte del cervello e non c'è bisogno di darle valore aggiunto,
così come non c'è da darlo nel fatto che l'intera evoluzione, o “discendenza con modificazione”
abbia portato a noi. Non c'è bisogno di ganci appesi al cielo o di progettisti divini. Secondo
Dewey, il darwinismo dovrebbe essere utilizzato per qualsiasi teoria naturalistica del significato.
Il non-dualismo contrasta quindi con l'idea dello spirito magicamente insufflato nella materia
celebrale. Il dualismo però deve discendere da un principio di animazione spirituale che l'uomo
non può essersi dato da solo. Penrose dubita che la coscienza sia il risultato accidentale di
procedure algoritmiche dell'evoluzione ma tende a pensare che vi sia sotto una sorta di
platonismo, relativo ai concetti matematici ideali. Per la teoria dennettiana, questo sarebbe un
“gancio appeso al cielo”. Secondo Libet, la conclusione tratta da suoi stessi esperimenti (in
soldoni: si è misurato il tempo con il quale si decide un’azione e la si svolge, dimostrando che
in realtà l'azione comincia 350ms prima della sua consapevolezza) è una sfida al materialismo,
poiché pone la domanda su come possa l'esperienza soggettiva non-fisica avere a che fare con
le attività fisiche delle cellule nervose. John Ecles sostiene che il senso di unità di cui si ha
esperienza a livello della soggettività non derivi da una sintesi neurofisiologica ma dal carattere
integrato della mente cosciente.
Dennet, comunque, è assolutamente convinto che a breve sarà possibile dare una spiegazione
meccanicistica e naturalista della coscienza. Solamente una sostanza monadica (un tutt'uno tra
coscienza e corpo) potrebbe risolvere il dualismo cartesiano, ma viene da noi utilizzato per
dimostrare l'assurdità dell