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Il primo punto del saggio cerca di capire cosa si intende per riproduzione dell’opera:
l’opera ha sempre avuto opportunità di riproduzione come calchi, stampe, xilografie
etc.. quello che cambia con il cinema e la fotografia è che viene meno la mano
dell’artista, c’è soltanto l’occhio dell’artista che ha una certa visione e la riproduce su
pellicola. La creazione avviene già in un procedimento istantaneo e tecnico. Il lavoro
tecnico è svolto da una macchina. Qualunque riproduzione classica soffre di un
problema: il risultato della riproduzione di un’opera classica è una COPIA, vale meno
dell’originale, ed è sempre posta in relazione all’originale. L’originale conserva una
sorta di autorità. Ciò che cambia è che non esiste un originale, dal negativo sviluppo
una serie di immagini e nessuna è più originale delle altre. Questo significa che
l’opera d’arte può essere fruita in ogni parte del mondo allo stesso modo. Ciò che
viene meno è un concetto che ha sempre fatto parte dell’arte, l’idea di autenticità, o
meglio il concetto di AURA.
Questo ha un grosso impatto sul rapporto opera d’arte > massa (il concetto di massa
è molto recente in quel momento). Comincia a nascere il mercato di massa, dei
compratori. Nasce un’opera d’arte fruibile come massa, cosa non valida per la pittura
e le arti classiche. Venendo a modificarsi il modo in cui l’arte è prodotta, si modifica il
modo in cui è fruita, si modifica anche il significato? L’opera ha sempre avuto un
significato estetico, espositivo. Benjamin dice che l’opera d’arte nella sua nascita
non nasce per un significato estetico ma per un significato di culto (antica Grecia).
Siamo noi a posteriori a dare un significato estetico. Il significato di culto diventa
influente nel modernismo come Manet o i fiamminghi, rimane il valore estetico.
Nell’opera tradizionale c’è una polarità tra culto ed estetica, ci troviamo in primo
piano il significato estetico, mentre chi l’ha prodotta mirava a un significato legato al
culto. Con la secolarizzazione della società il culto viene sostituito dal culto
dell’originale. I primi artisti a firmare le opere d’arte furono gli artisti del 400. Per
Benjamin quindi l’arte viene sempre con un culto quindi. L’opera d’arte riproducibile
perde questo significato. Non ho più culto e non ho più originale. Invece del culto ho
un valore politico, che può avere l’opera d’arte riproducibile.
Con la nascita della fotografia si è dettato un parallelo con la pittura per capire come
poteva entrare in rapporto con questa. Le prime fotografie sono ritratti, riprendono
molto dalla pittura, cercava di svolgere lo stesso ruolo. Nella sua applicazione la
fotografia uccide l’aura. Atget, fotografo francese, viene individuato come uno dei
momenti in cui la fotografia inizia a separarsi dalla pittura. Nessuna pittura può fare
quello che fa la fotografia. Ma è con il cinema che questa nuova funzione si impone
nel mondo delle arti, è l’arte tecnicamente riproducibile per eccellenza, la sua forza è
destabilizzare qualunque dibattito attorno alla sua natura artistica. Col cinema l’arte
entra in una fase in cui la fruizione viene liberata dal concetto di originale.
Alla perdita dell’aura il cinema ha risposto con un nuovo livello di culto che è lo star-
system che divinizza gli attori, il culto del divo. Il motivo è il rapporto con il mercato
capitalistico, serve un nuovo culto. Emerge la controparte politica dell’opera d’arte,
schierarsi con o contro il mercato è un problema politico. Per la necessità di
vendere, l’opera d’arte cinematografica non riesce a esprimere tutte le sue
potenzialità. L’illusione che l’opera crea è più forte rispetto al passato, quella che
Benjamin descrive di secondo grado, nel teatro ad esempio ho un ruolo di realtà (gli
attori presenti), mentre nel cinema quello che ho davanti non è una creazione né ha
carattere di oggetto, ma è un rimando a un concetto ideale di autenticità che
concretamente viene distrutto. Carattere illusorio. L’immedesimazione con l’opera
che abbiamo nel cinema è data dal fatto che l’occhio del pubblico coincide con
l’occhio della cinepresa. Si modifica in modo radicale il rapporto tra l’opera d’arte e il
pubblico. Benjamin usa un espressione: nell’arte convenzionale il nuovo è vissuto in
modo retrivo mentre nell’arte cinematografica è l’opposto. A un Picasso il pubblico
reagì in modo arretrato, chiedeva qualcosa a cui era abituato, col cinema le cose
vanno in modo opposto: il pubblico accetta di buon grado le novità. Le masse
reagiscono istintivamente. Il cinema permette di sentirsi all’interno di una massa che
fruisce insieme e che viene colpita dall’opera. La fruibilità dell’opera si massifica, non
ha carattere elitario e viene vista dal pubblico in modo benevolo.
Secondo Benjamin l’arte del fine 800 primi 900 tendeva a cercare di realizzare quello
che il cinema ha poi realizzato, si riferiva in particolare al dadaismo, ed è per questo
che il cinema li ha spazzati via. Uno dei motivi era che i dadaisti volevano
distruggere l’aura dei propri prodotti artistici, ma non ci riuscivano perché il loro
modo di distruggere l’aura aveva bisogno del concetto di aura. L’altro motivo è il loro
cercare di indignare gli spettatori producendo uno shock, di smuovere lo spettatore
davanti all’opera d’arte. Il cinema riesce a fare questo effetto in modo più potente
perché non richiede meccanismi mentali per capire l’opera d’arte. Non ho uno shock
morale ma fisico.
Perché questi concetti interessano a Benjamin? Per il significato politico. Quanto può
essere potente un’opera d’arte che può essere fruita in distrazione, che crea uno
shock fisico, che il pubblico va a vedere per puro diletto? Il cinema ha sempre avuto
un significato politico (vedi film di propaganda). Benjamin chiude il saggio dicendo
che l’epoca attuale (fascismo) ha reso estetica la politica, quello che dovremmo fare
è rendere politica l’estetica.
LEZIONE 6
Quello che muore è la connotazione dell’arte attraverso la categoria dell’aura.
Quando l’arte diventa tecnicamente riproducibile, cioè la forma artistica nasce come
strutturalmente predisposta per essere riprodotta tecnicamente, l’originale non ha più
aura. Non esiste più l’autorità dell’originale come forma pura ed essenziale
dell’opera d'arte. Sparisce il significato ritualistico e feticistico dell’opera d’arte.
L’opera d’arte esce dall'ambito cultuale, o del culto, in cui era nata, si pensi all’arte
classica, medievale. L’opera è fruita in modo massificato, viene composta e pensata
per questa funzione di massa, il cinema è la forma che più di ogni arte è simbolo di
questo passaggio. Il cinema ha un’altra caratteristica essenziale: può essere fruito
nella distrazione; lo spettatore è catturato dalle immagini e dai suoni, non deve stare
a pensare, è come se anzi venisse impedito il pensiero, sono intrattenuto, non
penso, non analizzo l’opera mentre la guardo, mi sto distraendo/intrattenendo
mentre la fruisco. Il cinema è erede dell’epica, una forma d’arte collettiva di un intero
popolo, espressione delle credenze e mitologie di una popolazione, il cinema svolge
una funzione simile. Il cinema è l’arte che per prima è in grado di costruire qualcosa
con una sorta di mitologia contemporanea.
Idea che con il cinema si possa costruire una nuova mitologia della sfera politica.
Benjamin conosce il cinema dell’epopea rivoluzionaria russa, ha in mente un cinema
che sia veicolo politico, uno strumento di educazione politica del pubblico efficace
proprio perché viene fruito distraendosi. Idem il cinema fascista, il politico viene
estetizzato per creare un cinema che fosse supporto dell’agire politico. È più potente
della propaganda classica. Da riflessioni come queste nasce il discorso della
mitologia pop, idea che esista una mitologia popolare di ogni tipo di contenuto che
viene divulgata, vedi Vice, programmi TV cult, etc ma anche Warhol. L’immaginario
dell’inoltrato ‘900 è colonizzato da prodotti che nascono dentro il mondo pubblicitario
e cinematografico.
Il cinema offre allo spettatore uno shock, colpisce e impressiona, si realizza il cliché
dell’intenditore d’arte completamente assorbito dall’opera. Di fronte al cinema gli
spettatori piangono, ridono, il cinema provoca reazioni fisico-emotive reali perché
viene incontro allo spettatore, gli fa provare emozioni concrete. Le immagini del
cinema si impongono sull’opera d’arte intesa canonicamente, vedi es Warhol prende
la faccia di Marilyn per le sue opere. In generale l’arte si deve misurare con il cinema
e la televisione, pensare di fare arte dopo il cinema senza tenere conto
dell’immaginario cinematografico diventa un’operazione nostalgica. Non serve
palesarlo come Warhol, ma si tratta di fare i conti con il linguaggio di costruzione
dell’opera che il cinema ha introdotto. Si pensi a Picasso, influenzato dal cubismo, la
cui idea era di prendere un oggetto e mostrarlo da tutte le sue angolature. Nello
stesso modo, una volta che ho la macchina da presa che può restituirmi un’opera
realmente dinamica, l’arte si deve confrontare con questa struttura. Se faccio
un’opera (iper)realista mi misuro necessariamente con la fotografia. La fotografia
nasce nel momento in cui l’arte si stava liberando dall’imitazione della natura. Il
cinema invece non incorpora il linguaggio dell’arte tradizionale, non è obbligato a
misurarsi con l’arte figurativa, influisce sul linguaggio della stessa, e anche sulla
letteratura, il cinema abbandona il lato statico. L’insieme di realismo e dinamicità
riesce alla perfezione, dove invece il cubismo doveva rifiutare il realistico per il
dinamico, e il realismo rifiutare il dinamico per il realistico, nel cinema ho entrambi i
fattori con il montaggio che scompone e ricompone, ma con naturalezza. Grazie a
questa naturalezza si rivolge in modo profondo alla massa, non è più necessario che
il pubblico si finga commosso davanti al quadro come accadeva, il cinema ha questo
potere innato.
Benjamin dice che le sue riflessioni hanno funzione di prognosi su quello che
potrebbe accadere, che sig