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Essere sani in posti insani ROSENHAN Pag. 1
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Non è sempre possibile distinguere il normale dall'anormale poiché l'evidenza non è mai così schiacciante ed essi

non sono concetti universali, possono cambiare di cultura in cultura. Si è sempre stati convinti che i pazienti che

mostrano dei sintomi possono essere classificati e che quindi i sani si possono distinguere dai malati. Nei tempi di

Rosenhan questa classificazione viene messa in discussione e si è arrivati a dire che la classificazione della malattia

mentale è inutile se non nociva, fuorviante e peggiorativa. Se poniamo un individuo sano in un ospedale

psichiatrico possiamo avere due ipotesi:

1. La sua sanità viene riconosciuta e quindi si avrebbe la prova che un individuo sano può essere distinto

dall'ambiente in cui si trova.

2. La sua sanità non viene riconosciuta. Assumendo che il personale sia competente e che il paziente abbia un

comportamento uguale al suo solito e che non abbia precedenti che giustifichino il suo ricovero, varrebbe l'ipotesi

che la diagnosi psichiatrica rivela poco del paziente ma molto dell'ambiente in cui si trova l'osservatore.

Questo esperimento è stato eseguito su 8 pazienti mandati un 12 ospedali psichiatrici differenti.

A. Gli pseudopazienti e il loro ambiente

Gli otto pseudopazienti erano diversi tra loro per età, professione e sesso. Tutti usarono degli pseudonimi per

evitare futuri problemi una volta stilata la diagnosi. Anche le strutture di collocamento erano diverse tra loro, tra

private o pubbliche, nuove o vecchie, in diversi stati. La presenza degli pseudopazienti era ignota al personale.

Lo pseudopaziente prendeva un appuntamento con la struttura, al colloquio diceva di sentire della voci sconosciute

del suo stesso sesso, indistinte ma che dicevano chiaramente “vuoto”, “vacuo” e “tonfo”. Le storie personali dei

pazienti e le loro circostanze non vennero falsificate né dai pazienti stessi ne dalle persone prossime interpellate.

Questo avrebbe dovuto indirizzare una diagnosi verso la dichiarazione di sanità, poiché le storie degli individui

presi in analisi e i loro comportamenti non dimostravano una patologia grave. Una volta ricoverati gli

pseudopazienti smisero di simulare qualsiasi forma di anormalità, ma in alcuni casi a questo evento seguì un

leggero stato di nervosismo e di ansia dovute alla novità del posto o alla paura di essere scoperti o alla facilità di

ricovero o a cosa sarebbe potuto succedere, ma poi scomparve tutto. A parte questo i pazienti si sono sempre

comportati normalmente, dicevano di non sentire più i sintomi e seguivano le prescrizioni mediche. Inizialmente gli

pseudopazienti prendevano appunti sul reparto, i pazienti e il personale in segreto, ma poi vennero scritti su normali

fogli di carta senza alcun problema. Tutti gli pseudopazienti non sapevano quando li avrebbero dimessi, quindi

avrebbero dovuto, con le loro sole forze, farsi dichiarare sani.

B. I normali non sono individuabili come sani

Nonostante la loro dimostrazione di sanità, non vennero mai scoperti. Una volta etichettato come schizofrenico un

paziente questa etichetta gli rimaneva addosso. Non poteva essere sano, perché per l'istituzione non lo era mai stato.

Tale incapacità di riconoscere la sanità è dovuta ad una non attenta osservazione, per un costume interno agli

ospedali psichiatrici. L'incapacità di riconoscere la sanità non è dovuta ai pazienti poiché, primo chi si recava a

trovarli non notava alcun comportamento anomalo negli pseudopazienti, secondo i veri pazienti riconoscevano la

sanità dello pseudopaziente, sostenendo fosse uno giornalista o un professore. Nel frattempo il personale non si

poneva domande di rilievo nel frattempo. Ciò è dovuto al forte pregiudizio con cui operano i medici che

preferiscono dichiarare malato un sano (un falso positivo del tipo 2) che sano un malato (un falso negativo del tipo

1). Il medico preferisce sbagliare per eccesso di prudenza e sospettare malattia anche nei sani, visto il maggiore

pericolo di fare una diagnosi errata di malattia. Le malattie psichiatriche bollano un individuo a livello personale,

legale e sociale.

Quindi Rosenhan condusse un altro esperimento per vedere se era possibile diagnosticare folle una persona sana.

Questa volta viene preso in esame un ospedale ad indirizzo didattico e di ricerca e nonostante credano sia

impossibile fare tale errore, viene comunicato loro che nei tre mesi successivi si sarebbero presentati degli

pseudopazienti. Così classificarono tutti i nuovi pazienti in una scala da 10 punti dove con 1 e 2 erano ritenuti

pseudopazienti. Vennero accolti 193 pazienti, ogni membro del personale espresse un giudizio, facendo ipotesi e

dichiarazioni. Ma nessuno dei pazienti presi in causa e classificati erano degli pseudopazienti di Rosenhan. Questo

esperimento indica che la tendenza a dichiarare folli le persone sane può essere invertito se la posta in palio è alta.

Le persone che durante questo esperimento sono state dichiarate sane, non si sa se lo fossero realmente, ma è certo

che ogni processo diagnostico che porta a errori così importanti non è affidabile.

C. La resistenza delle etichette psicodiagnostiche

Un ruolo importante nelle valutazione psichiatriche è svolto dal labeling (etichettamento). L'etichetta influenza

profondamente l'idea che gli altri si fanno dell'individuo e del suo comportamento. Una volta che una persona è

stata definita anormale, tutti i suoi altri comportamenti e caratteristiche sono segnati da tale etichetta. Questa è

talmente potente che alcuni comportamenti normali degli pseudopazienti sono stati trascurati o reinterpretati per

collimare con la realtà ipotizzata. Anche lo stesso scrivere gli appunti era per il personale un comportamento

patologico.

Tali etichette applicate da specialisti influenzano tanto il paziente quanto i suoi parenti o amici, agendo come una

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Publisher
A.A. 2013-2014
2 pagine
5 download
SSD Scienze politiche e sociali SPS/08 Sociologia dei processi culturali e comunicativi

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Liston93 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia della Comunicazione e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi Roma Tre o del prof Tota Annalisa.