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2) TEMI E MOTIVAZIONI DI “SE QUESTO E' UN UOMO”
Primo Levi, scrittore- testimone e poeta italiano nacque a Torino nel 1919, studiò chimica
all’università di Torino dal 1939 al 1941 e successivamente, mentre lavorava come ricercatore
chimico a Milano, decise di unirsi ad un gruppo di resistenza ebraica che si formò in seguito
all’intervento tedesco nel nord d’Italia nel 1943. Per questo motivo fu catturato dalla Milizia
fascista il 13 dicembre 1943 e fu condotto prima in un campo d’internamento a Fossoli, poi nel
campo di sterminio (Lager) nazista di Monòwitz, vicino Auschwitz, insieme con altri 650 ebrei,
egli sopravvisse perché impiegato in attività di laboratorio.
Furono proprio le attività di laboratorio che aumentarono le sue possibilità di non ammalarsi
gravemente, di salvarsi dai congelamenti, poiché i laboratori erano riscaldati, e di superare le
selezioni.
Nel 1947 scrisse Se questo è un uomo, dove descrive la sua terribile esperienza e le atrocità a
cui assistette.
Sempre sull’esperienza fatta da Levi nel lager nazista verte il romanzo La tregua del 1963 che
descrive il lungo viaggio verso la Polonia e la Russia dei sopravvissuti ai campi di sterminio e Se
non ora quando? del 1982 in cui si riprendono i temi della guerra e dell’ebraismo.
Infine, nel 1987, Levi si tolse la vita forse a causa delle negative conseguenze psicologiche
apportategli dall’esperienza del Lager.
Se questo è un uomo è un romanzo testimonianza di Primo Levi scritto tra il dicembre 1945 ed il
gennaio 1947. Rappresenta la coinvolgente ma riflettuta testimonianza di quanto fu vissuto in
prima persona dall'autore nel campo di concentramento di Auschwitz.
Il testo venne scritto non per muovere accuse ai colpevoli, ma come testimonianza di un
avvenimento storico e tragico. Lo stesso Levi diceva testualmente che il libro era nato fin dai
giorni di lager per il bisogno irrinunciabile di raccontare agli altri, di fare gli altri partecipi ed è
scritto per soddisfare questo bisogno. Il romanzo, durante la sua genesi, fu comunque oggetto di
rielaborazione. Al primo impulso da parte di Levi, quello di testimoniare l'accaduto, seguì un
secondo, mirato ad elaborare l'esperienza vissuta, il che avvenne grazie ai tentativi di spiegare
in qualche modo l'incredibile verità dei lager nazisti.
Dopo i versi introduttivi, la prefazione spiega quanto importante sia stato, per l'interessato, il
fatto di essere stato internato solo nel 1944, periodo in cui le condizioni dei prigionieri erano
ormai migliorate. L'autore dichiara di non aver inventato nessuno degli avvenimenti narrati. È
essenziale, da parte dell'autore, lo scopo di alternare la testimonianza del vissuto ad altri scorci
in cui egli assume la prospettiva dello scienziato (si ricorda che Primo Levi era un chimico e che
svolse queste mansioni anche nel campo di concentramento): la società dei detenuti funziona
secondo regole complesse ed incomprensibili per chi vi è appena arrivato, ma senz'altro oggetto
di analisi da parte del narratore. Ricoprono tra l'altro un ruolo di primo piano le descrizioni dei
rapporti sociali: Levi si concentra spesso sulla psicologia e sulle dinamiche di gruppo dei
detenuti, indicando come diverse regole della civilizzazione umana vengano, per cause di forza
maggiore, messe a tacere. Hanno del resto un ruolo di primo piano le doti di carattere, gli
stratagemmi ed i sotterfugi necessari per appartenere al gruppo dei privilegiati che
sopravvivranno, se non all'intera durata della detenzione, almeno al prossimo periodo di crisi e
terrore.
Il valore della testimonianza e l’importanza della memoria. Due aspetti che, se scorporati dalla
valenza che assunsero per Levi alla luce della sua esperienza personale nel lager, possono
condurre chiunque alla scelta della scrittura di un libro.
è un romanzo? Si basa su fatti realmente accaduti, è più che altro uno scritto di testimonianza,
ma non ha l’asciuttezza del saggio e rivela, anzi, grandi doti letterarie nell’Autore che pure era
al suo esordio nel campo della letteratura. Infatti l’andamento, alcune cadenze e la stessa
organizzazione dei fatti raccontati sono romanzeschi. Il libro è allora qualcosa di ibrido: romanzo
tratto da una storia vera, o testimonianza scritta in modo romanzesco, quindi avvincente.
La vicenda è tristemente nota: la deportazione in un campo polacco che componeva il sistema di
Auschwitz, lo sprofondamento in una realtà disumana, l’adattamento tra mille stenti e pericoli,
la descrizione del sistema sociale creatosi nel campo, infine la resistenza nel gennaio del 1945
fino alla liberazione operata dai russi, esattamente il 27 del mese, giorno in cui ogni anno noi
celebriamo il Giorno della Memoria.
La struttura del testo è piuttosto mossa: dopo il primo capitolo, quasi di carattere introduttivo,
perché descrive le vicende del protagonista – ovviamente lo stesso Primo Levi – appena prima del
suo arrivo nel lager e la deportazione, troviamo capitoli sia di tono narrativo sia di indole più
saggistica, come quelli centrali. Si procede però per episodi isolati, in cui non si capisce il
legame temporale tra i vari fatti: il tempo ha perso, all’interno del sistema del campo, il suo
valore normale, i deportati non ne riconoscono più le coordinate, perché ogni giornata è uguale
alla precedente e alla successiva; resiste soltanto il ciclo delle stagioni, un tempo originario,
preesistente alla formazione della società umana e per questo comune agli animali; a tale punto
arrivano l’abiezione, la negazione di umanità dei quadri tedeschi che gestiscono il sistema.
Anche lo spazio subisce delle alterazioni: si espande in maniera smisurata fino a non conoscere
confini in alcuni casi, in altri si riduce al minimo spazio vitale, quando i prigionieri si trovano
pressati in masse di uomini-fantoccio.
L’ultimo capitolo però cambia di schema: adotta una struttura diaristica, a simboleggiare il
recupero di una temporalità e delle categorie dell’esperienza normali in vista della liberazione
dal campo.
Ma la maestria di Levi si nota nel modo di scrittura, fortemente coinvolgente. L’obiettivo era
quello di far vivere al lettore le emozioni quanto più vicine a quelle, terribili, dei reclusi,
obiettivo raggiunto attraverso tocchi espressivi brevi ma di grande effetto, con una studiata
scelta di espressioni che hanno anche il merito di far riflettere su quale orrore si sia perpetrato
nei campi di sterminio nazisti. Levi non indulge mai all’effettismo, non punta a colpire il lettore
con una serie di immagini crude e macabre, che lo avrebbero estenuato in breve tempo e non
avrebbero garantito che egli arrivasse effettivamente alla fine del libro. Piuttosto compie veloci
affondi, che in quanto tali sono più efficaci, incisivi, rimangono più impressi nel ricordo di chi
legge; le parole di Levi sono come rapide sferzate di frusta, e finiscono per lasciare cicatrici
nella mente del lettore.
Inoltre, per dare un’idea di un’esperienza lontanissima dalla realtà comune e che si spera nessun
altro viva più, l’Autore utilizza molte similitudini e metafore, unici mezzi che consentono un
avvicinamento al mondo narrato, che ha dell’incredibile rispetto a ciò che siamo abituati a
vivere. Queste provengono dagli ambiti più disparati, ma ricorre spesso il linguaggio tecnico-
scientifico, legato alla formazione da chimico di Levi.
Un libro di terribile durezza, che ammonisce sulle deviazioni che l’animo umano può, ma non
deve, assumere.
I motivi e lo stile sono dettati da qualcosa di completamente diverso dall’ambizione letteraria:
Levi sente una costante e crescente esigenza di capire e di riuscire a spiegare, a se stesso
soprattutto, ma anche agli altri, i motivi che hanno determinato la nascita di un antisemitismo
tanto perverso e violento. La conclusione di questa ricerca sfocia però in una profonda
delusione, dato che l’unica risposta che riesce a darsi è quella che “non si può comprendere,
anzi, non si deve comprendere, perché comprendere è quasi giustificare”. "E' stata l'esperienza
del Lager a costringermi a scrivere: non ho avuto da combattere con la pigrizia, i problemi di
stile mi sembravano ridicoli, ho trovato miracolosamente il tempo di scrivere pur senza mai
sottrarre neppure un'ora al mio mestiere quotidiano: mi pareva, questo libro, di averlo già in
testa tutto pronto, di doverlo solo lasciare uscire e scendere sulla carta". E’ questa la
spiegazione che Levi dà della sua opera. Anche lo stile è molto particolare e ispirato ad una
continua ricerca interiore della chiarezza; viene preferito ed utilizzato un registro sobrio per
evitare di cadere in toni patetici o retorici, o peggio di lasciarsi trascinare nel racconto di
particolari macabri. L’autore infatti descrive, con lo spirito del testimone, tutto ciò che lui e i
suoi compagni subiscono, senza possibilità alcuna di ribellarsi, all’interno del campo di
concentramento di Auschwitz. Le atrocità di cui Levi narra sono soprattutto rivolte contro gli
Ebrei, piuttosto che contro gli altri internati: L’obiettivo è quello di degradare la loro
condizione. Si vuole cancellare l’uomo in quanto tale, infrangendo ogni suo legame affettivo,
ogni memoria, ogni speranza, riducendolo a cosa, privandolo della sua dignità e di ogni
coscienza di sé.
3) IL RUOLO DELLA STORIA NEL “GATTOPARDO”
Il racconto inizia con la recita del rosario in una delle sontuose sale del palazzo Salina, dove il
principe Fabrizio, il gattopardo, abita con la moglie Stella e i loro sette figli: è un signore
distinto e affascinante, raffinato cultore di studi astronomici ma anche di pensieri più terreni e a
carattere sensuale, nonché attento osservatore della progressiva e inesorabile decadenza del
proprio ceto; infatti, con lo sbarco in Sicilia di Garibaldi e del suo esercito, va prendendo
rapidamente piede un nuovo ceto, quello borghese, che il principe, dall'alto del proprio rango,
guarda con malcelato disprezzo, in quanto prodotto deteriore dei nuovi tempi. L'intraprendente
e amatissimo nipote Tancredi Falconeri non esita a cavalcare la nuova epoca in cerca del potere
economico, combattendo tra le file dei garibaldini (e poi in quelle dell'esercito regolare del Re
di Sardegna), cercando insieme di rassicurare il titubante zio sul fatto che il corso degli eventi si
volgerà alla fine a vantaggio della loro classe; è poi legato da un sentimento, in realtà più
intravisto che espresso compiutamente, per la bella e raffinata cugina Concetta, profondamente
innamorata di lui.
Il principe trascorre con tutta la