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I genitori rendono involontariamente il figlio simile a loro
Questo lo chiamano "educazione" - nessuna madre, nel profondo del suo cuore, dubita di aver partorito a se stessa una proprietà, partorendo un figlio, nessun padre si nega il diritto di sottometterlo alle sue idee e ai suoi criteri di valore. Un tempo addirittura al padre pareva giusto disporre a suo piacimento della vita e della morte del figlio appena nato (come tra gli antichi germani). [...]
Poco per volta mi si è chiarito che cosa è stata fino a oggi ogni grande filosofia: cioè la confessione del suo ideatore, una specie di mémoires involontari e inavvertiti... Di conseguenza non credo che il padre della filosofia sia un "istinto della conoscenza", ma che qui, come ovunque, un altro istinto si sia servito della conoscenza (e della falsa conoscenza!) come strumento. Ma chi consideri gli istinti fondamentali dell'uomo per chi vedere in che misura essi possano aver
Avuto un ruolo di geni ispiratori (odemoni, o coboldi), troverà che tutti gli istinti hanno già praticato la filosofia, e che ciascuno di essi vorrebbe fin troppo volentieri presentarsi come lo scopo finale dell'esistenza e signore legittimo di tutti gli altri istinti. Ciascun istinto infatti aspira al dominio: e come tale cerca di fare filosofia. [... ]
Un filosofo: un filosofo è un uomo che costantemente vive, vede, sente, intuisce, spera, sogna cose straordinarie; che viene colpito dai suoi propri pensieri come se venissero dall'esterno, da sopra e da sotto, come dalla sua specie di avvenimenti e di fulmini; che forse è lui stesso un temporale gravido di nuovi fulmini; un uomo fatale, intorno al quale sempre rimbomba e rumoreggia e si spalancano abissi e aleggia un'aria sinistra. Un filosofo: ahimè, un essere che spesso fugge da se stesso, ha paura di se stesso - ma che è troppo curioso per non "tornare a se stesso" ogni volta.
... Ma i verifilosofi sono coloro che comandano e legiferano: essi affermano "così deve essere!", essi determinano in primo luogo il "dove" e l'"a che scopo" degli uomini e così facendo dispongono del lavoro preparatorio di tutti gli operai della filosofia, di tutti i soggiogatori del passato - essi protendono verso l'avvenire la loro mano creatrice e tutto quanto è ed è stato diventa per essi mezzo, strumento, martello. Il loro "conoscere" è creare, il loro creare è una legislazione, la loro volontà di verità è volontà di potenza. - Esistono oggi tali filosofi? Sono già esistiti tali filosofi? Non devono forse esistere tali filosofi? "Al di là del bene e del male" è un libro di riflessioni e aforismi che ha come motivo conduttore la ridefinizione dei concetti di "aristocraticità" e "volgarità". Questo
Il binomio tematico, che in D'Annunzio assumerà toni esaltati di puro edonismo estetico e letterario, comporta in realtà, da parte di Nietzsche, una consapevole provocazione nei confronti del "senso comune": l'aristocratico non è colui che è "diverso dagli altri" - il "migliore" nel senso letterale ed etimologico della parola -, ma l'individuo, chiunque esso sia, che è disposto ad accettare la consapevolezza della profonda natura "animale" o "naturale" dell'uomo. L'"animale umano" non è dunque un essere inferiore a cui si contrappongono i "superuomini" aristocratici, ma è l'uomo reale, nelle sue naturali determinazioni, le stesse che l'indole "aristocratica" fa proprie con un atto di libero pensiero. Si pongono pertanto due possibilità: subire supinamente questa condizione, adattandosi a una vita alienata, da "animale d'armento",
salvo poi negarla facendo ricorso a costruzioni metafisiche e valori che servono solo a mascherare ipocritamente la propria debolezza (e tali sono per Nietzsche le ideologie politiche di massa e il cristianesimo stesso); oppure prenderne atto con un gesto di volontà, trasformando questa consapevolezza in una forma di superiorità morale nei confronti dell'ipocrisia corrente. Solo questa coraggiosa accettazione della propria vera natura rende libero il filosofo nei confronti della massa. La superiorità dell'"aristocratico" non è comunque nella liberazione edonistica degli istinti (il "piacere" dannunziano), bensì nell'accettazione del dolore, nella capacità di vivere positivamente la sofferenza senza fuggire da essa: "La profonda sofferenza rende nobili; essa divide". Fortissima ed agli aspri toni è la condanna nietzschiana alla democrazia presente nel testo: "Diciamo subito ancora una volta quelche già abbiamo detto cento volte: giacché oggi non sono ben disposti gliorecchi a intendere certe verità, le nostre verità! Ci è già abbastanza noto quanto suoni offensivoannoverare, senza fronzoli e non metaforicamente, l'uomo in genere tra gli animali; e ci verrà quasiconsiderata una colpa l'aver costantemente usato, proprio in riferimento agli uomini delle "ideemoderne", le espressioni "armento", "istinti dell'armento" e simili. Che importa! Non possiamo farealtrimenti: sta proprio in questo, infatti, la nostra nuova conoscenza. Abbiamo riscontrato chel'Europa ha raggiunto l'unanimità in tutti i suoi principali giudizi morali, senza escludere quei paesiin cui domina l'influsso europeo: si sa, evidentemente, in Europa quel che Socrate riteneva di nonsapere e ciò che quel vecchio famoso serpente aveva un tempo promesso di insegnare - si "sa" oggi checos'è bene e male. Deve allora aver suoni aspri e tutt'altro che gradevoli agli orecchi la nostra ogn'or rinnovata insistenza nel dire che è l'istinto dell'uomo animale d'armento quel che in lui crede di saperne abbastanza a questo proposito, celebra se stesso con la lode e il biasimo e chiama se stesso buono: come tale, questo istinto è arrivato a farsi strada, a predominare e a signoreggiare sugli altri e guadagna sempre più terreno in armonia a quel crescente processo di convergenza e di assimilazione fisiologica di cui esso è un sintomo. La morale è oggi in Europa una morale d'armento - dunque, stando a come intendiamo noi le cose - nient'altro che un solo tipo di morale umana, accanto, avanti, e dopo la quale molte altre, soprattutto morali superiori, sono o dovrebbero essere possibili. Contro una tale "possibilità", contro un tale "dovrebbe", questa morale però si difende con
tutte le sue forze: essa si affanna a dire con ostinazione implacabile "io sono la morale in sé e non c'è altra morale se non questa!" - anzi, sostenuta da una religione che appagava le più sublimi concupiscenze delle bestie da mandria, lusingandole, si è giunti al punto che persino nelle istituzioni politiche e sociali troviamo una espressione sempre maggiormente evidente di questa morale: il movimento democratico costituisce l'eredità di quello cristiano. Leggendo che La morale è oggi in Europa una morale da armento, non dobbiamo ridurre questo enunciato a un puro semplice gesto di disprezzo nei confronti delle masse, ma inserirlo nella giusta cornice scientifica di tipo illuminista che connota il pensiero di Nietzsche in questa fase del suo percorso filosofico: per Nietzsche la "moralità" non è una qualità spirituale di carattere superiore infusa da un Ente di natura divina, bensì èuna proprietà dell'essere vivente simile a tutte le altre, comprese quelle biologiche. Ecco un altro passo tratto da "Al di là del bene e del male" che può chiarire il significato di questo pensiero:3. Dopo avere, abbastanza a lungo, letto i filosofi tra le righe e riveduto loro le bucce, mi sono detto: occorre ancora considerare la maggior parte del pensiero cosciente tra le attività dell'istinto, e anche laddove si tratta del pensiero filosofico; occorre, a questo punto, trasformare il proprio modo di vedere, come si è fatto per quanto riguarda l'ereditarietà e l'"innatismo". Come l'atto della nascita non può essere preso in considerazione nel processo e nel progresso dell'ereditarietà, così l'"essere cosciente" non può essere contrapposto, in una qualche maniera decisiva, all'istinto, - il pensiero cosciente di un filosofo è per lo
più segretamente diretto dai suoi istinti e costretto in determinati binari. Anche dietro ogni logica e la sua apparente sovranità di movimento stanno apprezzamenti di valore, o per esprimermi più chiaramente, esigenze fisiologiche di una determinata specie di vita. " Nietzsche, come al solito, muove un'accesa polemica nei confronti di Socrate, accusato di falsità e di ipocrisia (so di non sapere, egli diceva permettere in difficoltà l'avversario), biasimato per aver introdotto il concetto di "uomo virtuoso", facendo così, insieme ad Euripide, morire il senso del tragico razionalizzando ogni cosa: in questo passo di Al di là del bene e del male, il riferimento è alla teoria dialettica di Socrate, fatta propria da Platone, secondo cui la vera conoscenza - soprattutto la vera conoscenza del bene - non è nel possesso di una comune opinione, nella supina ripetizione di ciò che tutti pensano, ma nella ricerca "filosofica".
o "noetica", di una verità nascosta dietro l'apparenza del mondo sensibile. Una costante dell'intera opera di Nietzsche, poi, è l'attacco al cristianesimo, che troverà la sua massima espressione nell'Anticristo: in Al di là del bene e del male, vi è una condanna totale e senza mezzi termini dell'esperienza "storica" del Cristianesimo, vale a dire della sua trasformazione in istituzione politica e culturale. Per tutta l'opera Nietzsche teorizza la somiglianza strutturale e ideologica tra il cristianesimo come "sistema di valori" e qualsiasi altra forma di ideologia sociale che abbia come scopo la liberazione dell'uomo dalla sofferenza. La sofferenza, il dolore, per il nostro filosofo non è eliminabile da un'esistenza che voglia essere autenticamente libera. Nella Volontà di potenza, Nietzsche, nemico accanito del Socialismo, del Comunismo e della democrazia, simpatizzante per l'aristocrazia.definirà il Socialismo come una balorda interpretazione dell'ideale cristiano. Resta ora da chiarire il titolo dell'opera, Al di là del bene e del male: esso è riferito al superuomo, tutto assorbito dalla vita terrena, a