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EMOSTASI
Per emostasi si intende il meccanismo fisiologico che permette la coagulazione del sangue per
impedirne la fuoriuscita dai vasi (sanguinamento) in assenza di produzione di trombi patologici.
Alla normale funzionalità di tale sistema concorrono la parete vasale e le piastrine (emostasi
primaria), i fattori della coagulazione (emostasi secondaria) ed i rispettivi inibitori, gli enzimi
fibrinolitici con i rispettivi inibitori. Per essere efficace il “sistema emostatico” deve possedere le
seguenti caratteristiche:
rapidità di reazione ad un danno della parete vasale;
attività limitata alla durata della emorragia ed alla sede della lesione.
Questi obiettivi sono raggiunti attraverso complesse interazioni che coinvolgono i differenti
componenti del sistema emostatico quali vasi, piastrine e proteine plasmatiche.
La risposta emostatica iniziale consiste nella formazione del “tappo piastrinico” nella sede del
danno al fine di arrestare l’emorragia. Tuttavia, quando la lesione coinvolge i microvasi (capillari,
arteriole, venule), la risposta iniziale consiste in una reazione di vasocostrizione ad opera degli
sfinteri precapillari, delle proprietà contrattili delle cel-lule endoteliali per l’intervento delle
catecolamine e della serotonina.
Dopo questa iniziale risposta contrattile, intervengono le piastrine con le loro specifiche attività
funzionali di adesione ed aggregazione. Le piastrine sono cellule anucleate e di forma discoide del
diametro medio di 2-3 μm. La loro emivita è di 8-10 giorni. Le piastrine derivano dai megacariociti,
cellule multinucleate presenti nel midollo osseo. A livello ultrastrutturale è possibile distinguere:
la membrana piastrinica contenente fosfolipidi (PF3) e diverse glicoproteine che fungono
da strutture recettoriali quali la GPIa (collageno), GPIb (von Willebrand, trombina),
GPIIb/IIIa (fibrinogeno, fibronectina, von Willebrand, trombospondina) e GPV (trombina);
anello di microtubuli, disposto sotto la membrana, che costituisce la componente
contrattile;
granuli presenti nel citoplasma i cui costituenti sono rappresentati da ATP, ADP,
serotonina, calcio (granuli densi) e da β-tromboglobulina (inibitore della PGI2), PF4 (ad
effetto neutralizzante l’eparansolfato), PDGF, FV, fibrinogeno, fibronectina, albumina
(granuli alfa); d) il sistema tubulare denso che contiene la riserva di calcio;
il sistema canalicolare aperto che è legato alla membrana e che permette di riversare
alcuni prodotti citoplasmatici (costituenti granulari) all’esterno della cellula;
mitocondri e glicogeno presenti nel citoplasma per la produzione di energia.
L’endotelio integro non interagisce con le piastrine. Questa proprietà di non “adesione” può
essere spiegata dall’esistenza di forze repulsive tra piastrine e cellule endoteliali e dalla sintesi, da
parte dell’endotelio, di sostanze chemiorepellenti, quali la prostaciclina o PGI2, che ha funzione
inibente l’aggregazione piastrinica e vasodilatante. La produzione locale di PGI2 aumenta quando
le piastrine attivate entrano in contatto con l’endotelio normale. Quando l’endotelio è
danneggiato, la sintesi di PGI2 cessa nella sede del danneggiamento. Le piastrine, pertanto,
possono entrare in contatto diretto con le componenti sottoendoteliali che vengono esposte
(collageno) ed aderirvi tramite l’ancoraggio al fattore von Willebrand, sintetizzato dalle cellule
endoteliali, mediante un recettore di superficie denominato GPIb ed al recettore GPIa specifico
per le fibrille di collageno.
Alla adesione fa seguito la aggregazione piastrinica che rappresenta il processo attraverso il quale
le piastrine si legano tra loro, con un meccanismo energia-dipendente, per formare il “tappo”
emostatico. Durante il processo di adesione appena descritto, le piastrine divengono “attivate”.
L’attivazione piastrinica comporta una modificazione morfologica (shape change) dalla forma a
disco a piccola sfera con pseudopodi, vengono esposti i recettori per il fibrinogeno (GPIIb/IIIa), si
realizza il rilascio di attivatori endogeni dai granuli piastrinici (ADP, trombina, TXA2) e gli ioni calcio
vengono riversati fuori dal sistema tubulare denso. Gli attivatori ADP, trombina e TXA2 richiamano
le piastrine circostanti formando una massa di dimensioni progressivamente crescenti nota come
“tappo” piastrinico .
La sequenza delle reazioni intracellulari che mediano l’aggregazione piastrinica si svolge attraverso
un meccanismo comune: l’idrolisi del fosfatidilinositolo della membrana piastrinica da parte
della fosfolipasi C. Questa reazione conduce alla formazione di calcio ionizzato da parte del
sistema tubulare denso. La liberazione di calcio ionizzato ha tre conseguenze:
formazione del complesso GPIIb/IIIa sulla membrana piastrinica;
attivazione della fosfolipasi A2 e rilascio di acido arachidonico;
secrezione del contenuto dei granuli attraverso il processo della contrazione piastrinica.
Quando il complesso GPIIb/IIIa si forma, in presenza di ioni calcio, si rende disponibile un sito di
legame per il fibrinogeno ed il fattore di von Willebrand. L’aggregazione piastrinica è mediata da
un legame crociato tra piastrine, garantito dal fibrinogeno. L’attivazione della fosfolipasi A2 di
membrana provoca il rilascio di acido arachidonico dalla membrana piastrinica che, a sua volta, è
trasformato in endoperossidi ciclici, attraverso la via della cicloossigenasi, in TXA2, potente agente
pro-aggregante. La liberazione di calcio intracellulare è regolata dalla concentrazione di AMP
(adenosina monofosfato). L’AMP inibisce sia l’aggregazione che la degranulazione attraveso la
stabilizzazione del calcio in forma legata. La concentrazione piastrinica di AMP ciclico è la
risultante dell’attività dell’adenilato ciclasi, la cui attivazione aumenta la concentrazione di AMPc
(trasforma l’ATP in AMP), e della fosfodiesterasi la cui attivazione riduce la concentrazione di
AMPc.
L’importanza fisiologica, in vivo del fenomeno dell’adesione piastrinica deriva dall’osservazione di
un prolungamento del tempo di sanguinamento e di manifestazioni emorragiche nei pazienti con
m. di von Willebrand, con sindrome di Bernard-Soulier (assenza congenita di GPIb), con anticorpi
anti-GPIb o anticorpi anti fattore von Willebrand, o con assenza congenita di GPIa (recettore
collageno). Le prove dell’importanza fisiologica, in vivo, dell’aggregazione piastrinica derivano
principalmente dall’osservazione di un prolungamento del tempo di sanguinamento e dalla
presenza di manifestazioni emorragiche in pazienti con tromboastenia di Glanzmann, un raro
disordine congenito caratterizzato da una severa diatesi emorragica dovuta ad una assenza
parziale o completa del complesso GPIIb/IIIa (recettore fibrinogeno).
Uno degli aspetti più sorprendenti della risposta emostatica è la sua capacità di garantire con
rapidità l’apporto del procoagulante richiesto nella sede del danno, in modo da consolidare il
“tappo” piastrinico. Esistono prove che le piastrine partecipano attivamente al processo della
coagulazione, offrendo una superficie sulla quale avvengono alcune reazioni. Per esempio
l’assemblaggio della protrombinasi (FVa + FXa + calcio + PF3), che genera trombina, avviene sulla
membrana piastrinica. Il FVa si lega ad un recettore della superficie piastrinica ed il FXa interagisce
con il FVa legato alla piastrina. L’ultima tappa prevede l’interazione tra protrombina e complesso
Va/Xa legato alla piastrina.
Anche il FVIII si lega ad un recettore di superficie sulla membrana piastrinica. Il FIXa Reagisce con il
FVIIIa legato alla superficie piastrinica. L’ultima tappa prevede la interazione tra FX ed il complesso
FVIIIa/IXa legato alla piastrina. L’efficienza e la rapidità dell’emostasi sono attribuibili alla presenza
di cofattori che accelerano la reazione come il FVIIIa ed il FVa. Durante l’attivazione da contatto
sulla superficie piastrinica ed endoteliale la callicreina ed il FXII si attivano reciprocamente.
Analogo meccanismo si verifica tra FXa e FVIIa. La trombina è un enzima chiave che accelera le
varie reazioni della coagulazione, attivando i fattori della via intrinseca (FXII, FXI, FIX, FVIII, FX) e le
piastrine. L’attivazione dei meccanismi della coagulazione deve essere seguita dalla loro
inattivazione, in modo da evitare una inopportuna occlusione vasale o l’esaurimento dei fattori
della coagulazione.
Il controllo dell’intero sistema avviene attraverso i seguenti meccanismi:
la diluizione nella circolazione dei fattori attivati e la loro rimozione da parte dei fagociti
epatici;
il legame della trombina ai suoi recettori, in particolare la trombina si lega alla
trombomodulina sulle cellule endoteliali ed il complesso trombina-trombomodulina
trasforma la PC in PCa. La PCa vitamina K dipendente per poter agire al meglio richiede la
presenza di un cofattore, la PS, anch’essa vitamina K dipendente. Il complesso PS/PCa
blocca sia il FVa che il FVIIIa;
l’inattivazione irreversibile della trombina e delle altre esterasi ad opera dei loro inibitori.
coagulazione in forma attivata vengono inattivati da una famiglia di proteasi
In vivo, i fattori della
note come inibitori delle serinproteasi (serpin). Questa famiglia di proteine comprende
l’antitrombina III, il cofattore II eparinico, il C1 inibitore, l’alfa1- antitripsina, l’inibitore della PCa,
l’alfa2-antiplasmina e l’inibitore del t-PA. Il FXIIa e la callicreina sono inibiti dal C1 inibitore. Il
principale inibitore del FXIa è ’alfa1-antitripsina. I fattori della coagulazione inibiti principalmente
l
dall’ATIII sono i fattori XIa, Xa e trombina. L’attività dell’ATIII è aumentata dall’eparansolfato,
presente sulla parete vasale e dall’eparina. Il cofattore eparinico II è un’altra serpin che nattiva la
i
sola trombina.
Il sistema fibrinolitico, analogamente a quello della coagulazione, viene regolato dalle serpin per
scongiurare una eccessiva attivazione plasminica, che determinerebbe la completa dissoluzione
dei trombi emostatici e l’esaurimento del fibrinogeno. Il sistema febrinolitico è responsabile della
rimozione dei depositi di fibrina. L’enzima principale è la plasmina. Essa deriva da una proteolisi
parziale del suo precursore inattivo, il plasminogeno, ad opera degli attivatori del plasminogeno.
Varie proteasi possono trasformare il plasminogeno in plasmina, tra queste sono inclusi: il fattore
XIIa, la callicreina, il t-PA, l’urochinasi e la streptochinasi. L’inibitore della plasmina è in primo
luogo la alfa1-antiplasmina. I tre inibitori del t-PA sono il PAI1, il PAI2 ed il PAI3. Di recente
acquisizione è il TAFI (Thrombin Activat