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ORALE E SCRITTO

1.1 COMUNICAZIONE ORALE E COMUNICAZIONE SCRITTA

Le culture come la nostra, presso le quali esiste una scrittura diffusa, sono dette “culture a

oralità ristretta”, mentre fino a non molto tempo fa esistevano culture “a oralità primaria”,

che non conoscevano alcuna forma di scrittura, e che oggi sono quasi del tutto scomparse.

Sino al III millennio a.C. l’umanità non conosceva la scrittura.

L’esame di alcune caratteristiche dello stile di comunicazione orale è utile per osservare

come esso si accompagni a certe modalità di pensiero. Lo stile di pensiero di chi maneggia

quotidianamente un alfabeto grafico è per certi aspetti diverso da quello di chi predilige la

comunicazione solo orale e senza un alfabeto standard. Nelle società ad oralità primaria, si

tende ad utilizzare tecniche mnemoniche per la narrazione poetica, religiosa, politica,

conoscitiva, giuridica e amministrative grazie ad un sistema di ripetizioni e clausole, e

questo fa sì che queste formule cambiano molto poco nel tempo e si trasmettano

pressochè immutate di generazione in generazione.

Il procedere per formule non scompare con il passaggio all’alfabeto grafico.

Un ulteriore caso di ostilità tra scrittura o oralità è rappresentato dal “regresso all’oralità”

nelle società ricche e post-industriali: il linguaggio televisivo e le forme di trasmissione delle

informazioni tramite immagini hanno portato ad una regressione della ricchezza lessicale e

delle conoscenze linguistiche di certe fasce sociali e di età.

1.2 PAROLA, CORPO, PERCEZIONE DEL MONDO

Spesso, per accentuare la forza espressiva dei discorsi o dei racconti, la narrazione è

accompagnata da una gestualità ben precisa, spesso inconsapevole, ma che va in accordo

con le parole pronunciate.

Nelle culture ad oralità primarie certi discorsi prevedono determinati gesti, posture,

inflessioni della voce e non altre.

Alcuni popoli hanno una vera e propria “teoria della parola”, come per esempio i Dogono,

popolazione africana, che crede che la parola sia la proiezione sonora del corpo nel

mondo, l’estensione spaziale della personalità dell’uomo.

1.3 SCRITTURA, ORALITA’, MEMORIA

Una fondamentale differenza tra culture orali e culture con scrittura sta nel fatto che queste

ultime godono delle presenza di tecniche di trasmissione del sapere, di conservazione della

memoria.

La trasmissione orale delle conoscenze, basata sulla memoria, tende a produrre effetti

“omoestatici”: tende , cioè, ad eliminare tutto cioè che non ha interesse per il presente, in

questo modo però vengono perdute molte conoscenze del passato.

Un caso diverso riguarda quelle società che conservano tracce indecifrabili di passato

funzionali al presente: ci sono parole non più decifrabili perché si è persa memoria del

significato ma che hanno ancor una specifica funzione nella vita attuale di quella comunità

che le adottano.

1.4 ORALITA’ ED ESPERIENZA

Se il rapporto immediato tra parola ed esperienza viene meno, il significato della parola

tende a modificarsi o a perdersi (in una società ad oralità primaria). Il pensiero fondato sulla

comunicazione orale ha un carattere concreto piuttosto che astratto.

I soggetti che hanno interiorizzato la scrittura pensano in maniera tendenzialmente diversa

da coloro che si muovono in contesti orali; la scrittura consente l’acquisizione di un

pensiero più ampio di quello legato all’oralità, perché permette di entrare in contatto con

altri mondi, altri punti di vista e di confrontarli in maniera sistematica per elaborare nuove

posizioni.

1.5 SCRITTURA E IDENTITA’ NEL MONDO GLOBALE

Alcuni popoli, specialmente quelli africani, ad oralità primaria hanno cominciato ad adottare

la scrittura per potersi difendere dai dominatori e distinguersi dai popoli vicini e rivendicare

la propria identità.

PERCEZIONE E COGNIZIONE

2.2 PERCEZIONE DEL MONDO FISICO E STILI COGNITIVI

La percezione del mondo fisico coincide con i processi mediante i quali un individuo

organizza le informazioni di carattere sensoriale, ma la percezione del mondo fisico può

risultare differente tra un individuo ed un altro.

Lo psicologo Lev Vygotskij distinse tra processi cognitivi elementari e sistemi cognitivi

funzionali.

I processi cognitivi elementari sono alcune capacità universalmente presenti e

formalmente identiche a tutti gli uomini normali (non colpiti da particolari patologie):

astrazione – capacità di focalizzare l’attenzione su un aspetto di un complesso di elementi;

categorizzazione – capacità di raggruppare gli elementi in gruppi o classi;

induzione – dallo specifico al generale;

deduzione – dal generale allo specifico.

I sistemi cognitivi funzionali sono il prodotto del contesto culturale entro cui il soggetto

attiva i processi cognitivi elementari.

Gli antropologi hanno constatato che individui provenienti da ambiti culturali diversi si

apportano al mondo seguendo diversi stili cognitivi, che possono oscillare tra due estremi

ideali: lo stile cognitivo globale e quello articolato.

Lo stile cognitivo globale è caratterizzato da una disposizione cognitiva che parte dalla

totalità del fenomeno considerato per giungere solo successivamente alla particolarità degli

elementi che lo compongono.

Lo stile cognitivo articolato , al contrario, parte dai singoli elementi per giungere in

seguito alla totalità del fenomeno.

2.3 L’ETNOSCIENZA

Gli antropologi che si sono occupati delle classificazioni nei vari contesti culturali

definiscono la loro specializzazione con il termine di etno-scienza. Nei processi di

classificazione del mondo fisico-naturale, la categorizzazione sembra prodursi in relazione

a un prototipo , un oggetto-rappresentazione che rappresenta il punto di riferimento attorno

al quale vengono costruite categorie o classi.

2.4 DAI PROTOTIPI AGLI SCHEMI

I prototipi sono un modo di organizzare la percezione del mondo circostante, ma non

consentono di mettere concettualmente in forma la realtà. La possibilità di individuare e

ordinare la realtà è data dagli schemi, che sono ciò che organizza la nostra esperienza.

2.5 LA TERMINOLOGIA DEL COLORE. TRA UNIVERSALISMO PERCETTIVO E

DETERMINAZIONE SOCIO-CULTURALE.

Alla fine degli anni ’60 gli antropologi statunitensi Brent Berlin e Pual Kay confrontarono le

terminologie dei colori in 26 lingue diverse, accertando che il numero dei termini presenti

variava da un minimo di due a un massimo di undici. Questi termini fondamentali, chiamati

“di base”, riflettono fenomeni di percezione e non hanno bisogno di specificazioni per

essere compresi.

Le loro conclusioni furono che tutti gli esseri umani sono capaci di percepire le differenze

(undici) del colore, ma queste differenze vengono espresse con undici termini diversi, o

vengono ricondotte ad altre categorie cromatiche.

La terminologia cromatica di base si sviluppa secondo una linea precisa: nei sistemi che

possiedono solo due termini, sono sempre chiaro e scuro, in quelli che ne possiedono tre,

sono sempre biano, nero, rosso ; nei sistemi con più termini , a quei tre vengono aggiunti il

giallo e il verde; il sesto termine è sempre il blu, e man mano si aggiungono tutti gli altri, dal

più semplice al più complesso.

Secondo i due antropologi, il numero di termini impiegati per designare i colori varia a

seconda della complessità culturale e tecnologica della cultura in questione.

Le variazioni nel significato dei colori hanno a che vedere con le connotazioni che i colori

stessi hanno ricevuto, che spesso precedono le definizione cromatica in senso stretto.

TEMPO E SPAZIO

3.1 DUE CATEGORIE DEL PENSIERO UMANO

Gli esseri umani hanno la percezione della trasformazione delle cose e della loro finitezza,

l’avvicendarsi di fenomeni quali il giorno e la notte, il sonno e la veglia, l’estate e l’inverno.

In riferimento alla trasformazione delle cose e di sé, gli uomini percepiscono ciò che noi

chiamiamo tempo, mentre in riferimento al posizionamento del proprio corpo e delle cose

rispetto ad altri corpi, percepiscono ciò che noi chiamiamo spazio, categorie che

costituiscono “intuizioni a priori” universali.

Secondo Kant, la percezione dello spazio e del tempo sono funzioni primarie dell’attività

mentale, senza le quali non potremmo dare forma al pensiero; non potremmo fare nulla

senza spazio e tempo perché sono le dimensioni costitutive di qualunque modo di pensare.

Durkheim sostiene che tempo e spazio sono “istituzioni sociali”: lo stile di pensiero

predominante all’interno di una società influenzerebbe, secondo il sociologo, le valenze

affettive, simboliche e persino percettive che il tempo e lo spazio assumono in quel

contesto.

3.2 IDEE DEL TEMPO

Il senso di un tempo non quantizzato, ma carico di significati speciali, è presente in tutte le

società che hanno bisogno di rievocare periodicamente l’atto considerato il fondamento

della propria esistenza, eventi come il Capodanno o il Natale ne sono un esempio.

L’Etnografia è molto ricca di esempi di come le culture prive di pensiero cronometrico

collocano gli eventi nel tempo.

Il tempo non qualificabile è detto “tempo qualitativo”, ma non è sconosciuto alle nostre

società basate sul tempo quantizzato.

Il tempo cronometrico, espressione di società organizzate sul piano amministrativo, politico

e produttivo, tende ad essere la rappresentazione del tempo dominante, se non esclusiva.

3.3 IMMAGINI DELLO SPAZIO

Lo spazio costituisce spesso un elemento centrale per la memoria di un gruppo (ad

esempio l’immagine di Italia come senso di appartenenza ad una nazione, quella italiana),

ma è anche una dimensione che, per poter essere vissuta, deve essere addomesticata.

Nella cultura umana c’è sempre la necessità di concepire un luogo dello spazio come punto

di riferimento e di sicurezza.

3.4 LA CORRELAZIONE DI TEMPO E SPAZIO

L’antropologo britannico Christopher Hallpike ha sviluppato un esempio di teoria della

distinzione tra tempo operatoria e concezione preoperatoria del processo temporale,

riconducendo queste due concezioni alla distinzione di Piaget tra pensiero operatorio e

pensiero preoparatorio.

Il pensiero operatorio mette in relazione spazio e tempo considerandoli due variabili

dipendenti e produce una concezione quantitativa, lineare e misurabile sia del tempo che

dello spazio.

Il pensiero peroperatorio è privo di questa caratteristica ed è tipico del pensiero infantile

fino a 8 anni, e non stabilisce una connessione t

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A.A. 2016-2017
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-DEA/01 Discipline demoetnoantropologiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher matteo.romano95 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Elementi di antropologia culturale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano o del prof Fabietti Ugo.