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Il problema del suicidio assistito e dell'accanimento terapeutico è di forte attualità in questi
ultimi anni, e l'argomento viene dibattuto sempre più frequentemente così da sottolineare
l'importanza di effettuare dei cambiamenti nell'assistenza ai malati terminali.
In particolare, il caso di Pietro, fa riflettere su dove sia il confine tra accanimento
terapeutico ed eutanasia.
Nel nostro Paese l'eutanasia attiva, secondo il Codice Penale (ex art. 575), è equiparabile
all'omicidio volontario mentre quella passiva è consentita per legge solo nei casi di morte
cerebrale e con consenso da parte di medici e parenti del malato.
Nel caso in questione è l'assistito a chiedere esplicitamente l'interruzione volontaria delle
cure asserendo che “... non ritiene più dignitosa questa vita completamente dipendente da
altri, limitata in un letto e in un corpo che non sente più come proprio.” ma nonostante ciò il
medico non può assecondare la richiesta di Pietro poiché si tratterebbe di omicidio del
consenziente e punibile con reclusione da 6 a 15 anni secondo l'art. 579 del Codice
Penale.
A supporto della decisione di Pietro abbiamo:
La Carta dei Diritti Del Malato che sottolinea il diritto alla libera scelta ed alla
• decisione (art. 11)
La Carta Dei Diritti Del Morente la quale afferma i diritti a “partecipare alle decisioni
• che lo riguardano e al rispetto delle sue volontà” (art.4) ed a “non subire interventi
che prolunghino il morire” (art. 7)
La Carta Costituzionale che secondo quanto sancito dall'art. 32 “Nessuno può
• essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di
legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della
persona umana.”
A questo proposito possono sorgere dibattiti bioetici su quali siano “i limiti imposti dal
rispetto della persona umana”, il rispetto secondo i principi fondamentali di etica è il tenere
in considerazione l'autonomia della persona e delle sue scelte non tralasciando però il
benessere della stessa (principio di beneficità) e la giustizia nei confronti dei suoi bisogni
individuali.
Medici ed infermieri, in casi come questi, oltre alle disposizioni di legge devono attenersi al
proprio Codice Deontologico, in particolare agli articoli 3,6,35,36,37,38 del C.D.
dell'Infermiere e agli articoli 16,17,39 del C.D. Medico ove si dettano le regole
comportamentali.
In particolare sono da citare l'art. 36 del C.D. dell'Infermiere che afferma: “ L'infermiere