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Il legame tra distribuzione funzionale del reddito e crescita economica
Per i neoclassici, invece, la distribuzione funzionale del reddito non ha influenza sulla crescita in quanto si pone l'ipotesi che tutti gli agenti possano risparmiare. La quota di risparmio che viene investita dipende dalla crescita della popolazione e dagli ammortamenti. Il meccanismo per garantire una crescita bilanciata e di piena occupazione è da individuarsi in un mutamento delle tecniche indotto da modificazioni dei prezzi dei fattori (lavoro e capitale). Se si è lontani dalla piena occupazione la riduzione dei salari induce ad adottare tecniche intensive di lavoro e viceversa.
Conclusioni:
- Per i keynesiani risulta chiaro il legame tra distribuzione funzionale e crescita. Meno chiaro invece risulta essere la relazione tra distribuzione personale e crescita. Il legame, in questo caso, deve essere individuato negli incentivi al risparmio ed alla accumulazione che anche i lavoratori potrebbero avere. Ne consegue: diseguaglianza crescente nelle fasi iniziali del...
processo di sviluppo e/o al di sotto della piena occupazione; diseguaglianza costante (o decrescente) nella fase matura dello sviluppo. In linea generale, tuttavia, lo stato stazionario è caratterizzato da una diseguaglianza permanente. Ad un aumento della quota dei profitti corrisponde un aumento della diseguaglianza.
2. Per i neoclassici lo stato stazionario finisce con il produrre "la scomparsa della diseguaglianza". E questo nell'ipotesi che "tutti gli individui abbiano preferenze ed abilità identiche" e quindi si giunga ad un livellamento delle retribuzioni e dei rendimenti dei beni capitali. Se si parte da una situazione caratterizzata da diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza e dei redditi l'incentivo al risparmio delle classi più ricche sarà minore, a causa dei rendimenti marginali del capitale decrescenti, così che progressivamente il tasso di accumulazione più elevato che caratterizza le classi
più povere provoca un processo di convergenzanella distribuzione della ricchezza (indipendentemente dalle eredità) e dei redditi complessivi (derivantedalla somma dei redditi da lavoro e da capitale). Nello stato stazionario dovrebbe scomparire ladiseguaglianza. Questa conclusione non vale se gli agenti differiscono per abilità e/o per diversepropensioni al risparmio.
Entrambi i modelli presuppongono la crescita e non la spiegano. Comunque non si spiega il legameinverso e cioè come la crescita condizioni i fattori che sono all’origine della diseguaglianza.Modelli di crescita endogena, investimenti in capitale umano e distribuzione personale del reddito.
La principale conclusione del modello di crescita neoclassico di Solow è che l’accumulazione capitalisticanon garantisce di per sé, senza cioè l’intervento di un progresso tecnico esogeno, una crescita persistentedel reddito pro capite. A causa dei rendimenti marginali
decrescenti del capitale si verifica una convergenza per i paesi poveri verso quelli ricchi «condizionale » (a parità di ogni altra condizione).
Per Roemer (1986): il “capitale” non è solo capitale fisico (tangibile) ma anche capitale intangibile, prima di tutto conoscenza. a) si può immagazzinare nel tempo, b) il suo acquisto implica un atto di rinuncia al consumo corrente.
La produzione di conoscenza genera esternalità positivealtre imprese utilizzeranno, senza pagarla, la conoscenza generata dall’impresa che invece ha investito in Ricerca e Sviluppo. La produzione di ciascuna impresa dipende a) dal capitale fisico, b) dal lavoro, c) dalla conoscenza pagata (spese in Ricerca e Sviluppo) d) dalla conoscenza non pagata e cioè da quella di cui si beneficia grazie al meccanismo delle esternalità appena messo in luce.
In particolare la relazione tra livello di reddito per lavoratore e capitale per lavoratore è
rappresentatada una funzioney = Ak
che presenta rendimenti marginali costanti del capitale per l'economia nel suo complesso, proprio come nel modello di Harrod e Domar. La differenza con il modello Harrod-Domar è che in questo caso i rendimenti costanti non sono stati assunti; essi sono stati spiegati, ricorrendo ad un concetto più corretto di "capitale" ed a un meccanismo microeconomico molto diffuso quale è quello delle esternalità. Per Harrod-Domar i rendimenti marginali del capitale per l'economia sono costanti perché lo sono per ciascuna impresa. Per Roemer e i teorici della crescita endogena i rendimenti marginali del capitale sono costanti al livello dell'intera economia, benché non lo siano per le imprese che ne fanno parte, a causa del fatto che esistono esternalità positive nella produzione di conoscenza. Mutano le conclusioni del modello di Solow e le conseguenti implicazioni di politica economica.è piùvero che il meccanismo dell’accumulazione capitalistica conduca a uno stato stazionario senza l’interventodi un progresso tecnico esogeno. Vale la conclusione di Harrod-Domar: il tasso di crescita del reddito procapite dipende sempre, e positivamente, dal tasso di risparmio che favorisce gli investimenti in conoscenza.
Se i rendimenti del capitale sono costanti non è più vero che l’incentivo ad investire è tanto minore quanto maggiore è il capitale disponibile già accumulato, e dunque non è vero che esiste una tendenza verso la convergenza.
I modelli di crescita endogena forniscono una giustificazione teorica per un attivo intervento pubblico a sostegno della crescita. L’attività in Ricerca e Sviluppo genera economie esterne e dunque deve essere parzialmente sovvenzionata dal governo e cioè dalle tasse dei contribuenti.
In altri modelli si è cercato di spiegare i risultati derivanti
dall'analisi empirica con modelli di crescita endogena nei quali l'intervento dello Stato e la politica economica fossero un fattore endogeno, ovvero dipendente dalla distribuzione funzionale e/o personale del reddito. Le ipotesi comuni ai vari modelli sono:- Eterogeneità degli agenti (superamento dell'ipotesi di agente rappresentativo) in funzione del possesso dei diversi fattori di produzione.
- Lo Stato e la politica economica diventano lo strumento per conciliare le diverse istanze ed i conflitti distributivi.
- La scelta delle politiche redistributive, ed in particolare il livello della spesa pubblica, nonché quella della tassazione sono il risultato della delega che i cittadini attuano mediante il voto (teorema "dell'elettore mediano").
- La scelta delle diverse politiche di intervento ha esiti differenziati in termini di crescita e sviluppo, e dunque anche sulla distribuzione del reddito. In alcuni modelli la distribuzione determina la
Quotadi spesa pubblica sul prodotto nazionale. In un paese povero potrebbe accadere che solo i più ricchi partecipano al processo politico e determinano le politiche redistributive. In questo caso il livello di reddito dell'elettore mediano potrebbe essere superiore a quello medio così che il voto favorisce politiche regressive che finiscono con l'accrescere il grado di diseguaglianza. Il contrario accade in un sistema a livello di reddito medio-alto.
Canale "istruzione" (indivisibilità). Diseguaglianza --> investimenti in capitale umano --> aumento della crescita (Fig. 2). Il caso del Sud-Est asiatico è un buon esempio.
Infine, alcuni autori hanno iniziato a formulare una teoria della disuguaglianza basata sugli incentivi. Secondo questa teoria, un livello di disuguaglianza "troppo basso" o soprattutto "troppo elevato", può risultare dannoso per la crescita, dato che i compensi effettivi dei
Lavoratori e imprenditori effettivi non sempre riflettono adeguatamente le diverse dotazioni di talento, di capitale umano, i diversi meriti e sforzi, mentre riflettono posizioni di corruzione, di rendita ed un accesso asimmetrico alle risorse.
Crescita e diseguaglianza. L'ipotesi di Kuznets.
La natura e le cause dell'evoluzione di lungo periodo della distribuzione dei redditi tra le persone, o le famiglie, sono state lungamente discusse. Il punto di partenza ideale del dibattito è costituito dall'intuizione brillante, ancorché erronea, di Vilfredo Pareto, secondo cui la distribuzione del reddito è sostanzialmente immutabile nel tempo e nello spazio. Mezzo secolo dopo, l'interesse veniva ravvivato da Simon Kuznets e dalla sua famosa relazione a "U capovolta" tra disuguaglianza e crescita del reddito pro-capite. Si tratta di verificare la presunta esistenza (individuata da Kuznets) di una curva ad U rovesciata, e cioè
ed indice di diseguaglianza è stata osservata in molti paesi e in diverse epoche storiche. Tuttavia, la natura di questa relazione è ancora oggetto di dibattito tra gli studiosi. Alcuni sostengono che la relazione sia puramente accidentale, cioè il risultato di fattori specifici a determinati contesti storici o geografici. Ad esempio, potrebbe essere dovuta a politiche economiche particolari o a eventi eccezionali che hanno influenzato la distribuzione del reddito in un determinato periodo. Al contrario, altri studiosi sostengono che la relazione sia sistematica, cioè che esista una connessione intrinseca tra reddito pro-capite e indice di diseguaglianza. Secondo questa prospettiva, l'aumento del reddito pro-capite potrebbe portare inizialmente ad un aumento dell'indice di diseguaglianza, a causa di processi di accumulazione di ricchezza concentrati in poche mani. Tuttavia, una volta raggiunto un certo livello di sviluppo economico, l'indice di diseguaglianza inizierebbe a diminuire, grazie a politiche di redistribuzione del reddito e ad un maggior accesso alle opportunità economiche per tutti i cittadini. I fattori esplicativi di questa relazione possono essere molteplici. Tra i principali, si possono citare: 1) La struttura economica di un paese: ad esempio, la presenza di settori ad alta intensità di capitale potrebbe favorire la concentrazione della ricchezza in poche mani, aumentando l'indice di diseguaglianza. 2) Le politiche economiche e sociali adottate: politiche di tassazione progressive, investimenti in istruzione e sanità pubblica, politiche di welfare possono contribuire a ridurre l'indice di diseguaglianza. 3) Il grado di sviluppo istituzionale e la qualità della governance: un sistema giudiziario indipendente, una buona amministrazione pubblica e la lotta alla corruzione possono favorire una distribuzione più equa del reddito. In conclusione, la relazione tra reddito pro-capite ed indice di diseguaglianza può essere considerata sia come puramente accidentale che come sistematica. I fattori esplicativi di questa relazione sono molteplici e dipendono da contesti storici, geografici ed istituzionali specifici.L'indice di Gini era attribuita, in una 1° fase del processo di sviluppo, essenzialmente ai mutamenti intersettoriali dell'occupazione, nonché all'aumento del risparmio delle classi più ricche.