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P P P P
α 1−α 1−α α
T N N T
Definiamo il tasso di cambio reale in base alla regione di scambio definito l’indice in base alla
quarta die beni esportati e dei beni importati. Supponiamo che i prezzi dei beni esteri coincidano
con i prezzi dei beni esteri importati, ed inoltre che i beni improntati coincidano con i beni
esportati:
P * = P * M
P = P
X
Possiamo definire i Terms of Trade come il rapporto tra il prezzo dei beni esportati e quello dei
beni importati. Possiamo quindi interpretare il tasso di cambio reale come il reciproco dei Terms of
Trade. P * S
IM M
Q =
EX P
X
Una terza misura del tasso di cambio reale spesso utilizzata e quella di essere un rapporto tra i
costi del lavoro per unità di prodotto. Indichiamo con a la quantità necessaria per produrre un
L
a =
bene: (ore di lavoro per unità di prodotto) è il reciproco della produttività media del
Y
lavoro(π). Indichiamo con W il salario orario, quindi a W è il costo del lavoro per unità di prodotto
CLUP. Ipotizziamo che il prezzo del bene sia uguale al costo medio P=a W.
Quindi possiamo definire il tasso di cambio reale:
a * W * S π SW *
ULC
Q = =
aW π * W
Una riduzione del salario orario interno rispetto al salario estero equivarrà ad una svalutazione
reale del tasso di cambio. Questa nozione del tasso di cambio permette da dove posso derivare
variazioni del tasso, infatti se aumenta il salario orario nazionale rispetto a quello internazionale,
farà apprezzare il tasso di cambio reale (perdita di competitività). Infatti ad esempio se osserviamo
l’andamento del costo del lavoro medio negli anni in Italia e lo paragoniamo con quello in
Germania, si può osservare che a partite dagli anni 2000, abbiamo un aumento del costo del
Pagina 14
lavoro per unità prodotto in Italia e una riduzione in Germania, cui differenziale andrà ad
aumentare del 30%, in termini di tasso di cambio reale, avremo un apprezzamento reale del 30%,
a parità di tasso di cambio nominale S.
Questo apprezzamento può derivare:
1) Apprezzamento del tasso di cambio nominale (con l’euro non può succedere)
2) Aumento del salario orario nazionale su quello internazionale
3) Riduzione della produttività oraria nazionale su quello internazionale
Riprendendo l’esempio di Italia e Germania, è possibile osservare come questo aumento del
CLUP sia dovuto al fatto che la produttività del lavoro in Italia è rimasta costante, mentre in
Germania è cresciuta.
Per cercare di aumentare la misura di competitività deprezzando il tasso di cambio reale può
avvenire tramite riforme strutturali o tramite la riduzione dei salari nazionali.
PARITA’ DEI POTERI D’ACQUISTO
Se supponiamo di essere in un mondo dove non vi sono barare al commercio internazionali e gli
agenti comprano e vendono beni per sfruttare la differenza di prezzo, ci aspettiamo che i prezzi
esteri e interni espressi con la stessa valuta coincidono. Allora il tasso di cambio reale dovrebbe
essere uguale a 1 o costante.
Se osserviamo il tasso di cambio reale americano negli anni, osserviamo che non è costante o
pari a 1, come accade per gli altri Paesi, queste oscillazioni del tasso di cambio reale determinano
la competitività dei Paesi.
Rogof afferma che vi è una specie di “Puzzle”, affermando che il tasso di cambio reale dovrebbe
essere reale, e solo nel breve periodo potrebbe variare, però nel lungo termine vi dovrebbe essere
una tendenza all’equilibrio. Quando gli economisti hanno cercato di capire a che velocità il tasso
di cambio reale converge al nuovo equilibrio, hanno osservato che tale processo è molto dilatato.
Vi possono essere differenti ragioni che spiegano le oscillazioni del tasso di cambio reale.
Dalla definizione del tasso di cambio reale sappiamo che:
P*S
Q = P
q = Log Q ; p = log P ; s = log S
q = p* + s - p
Molto spesso gli economisti determinano le relazioni economiche in termini di logaritmi, per
semplicità di calcolo e perchè la variazione dei logaritmi di una variabile è uguale alla variazione
percentuale della variabile.
Sappiamo dalla teorie della parità dei poteri d’acquisto (PPP), Q = 1 e allora q = 0. Quindi
dovremmo avere p = s + p*.
Tale teoria mostra qual’è il livello del tasso di cambio in equilibrio, andando a determinare il tasso
di cambio s che determina l’equilibro ed è dato da: s = pt-pt*. Osserviamo che s, tenderà ad
aumentare quando i prezzi nazionali p crescono maggiormente rispetto ai prezzi esteri p*.
Se definiamo: essendo ∆St/ St = ∆s_t = st - st-1. Avremo che :
∆s = ∆pt - ∆p*
∆S/s S = ∆P/P - ∆P*/P*
Quindi osserviamo che la percentuale di deprezzamento è pari alla differenza tra il tasso di
inflazione nazionale e quello internazionale:
∆st = πt - π*t
Questo è il modo in cui il tasso di cambio reale non cambia nel tempo se vale la relazione sopra
citata. Però il tasso di cambio reale varia nel tempo ed inoltre queste variazioni tenendo a
persistere nel tempo. Come mai queste variazioni tendono a persistere nel tempo? Quanto tempo
ci mette il tasso di cambio reale a tornare in equilibro?
Quando si cerca di misurare dal unto di vista empirico la persistenza di queste variazioni, si
ottiene che in media i tassi di cambio reale ci mettono tra i 3/5 anni per fare metà del loro
percorso verso l’equilibro.
Supponiamo che il tasso di cambio reale, espresso come deviazione logaritmica da un suo
ipotetico livello di equilibrio (q), segua un processo autoregressivo del primo ordine, AR1, cioè un
processo stocastico dove si presume che una variabile possa variare tramite un |ρ| ≤ 1 più shock
ℇt.
idiosincratici con media pari a 0. Quindi ad esempio: xt = ρ xt-1 + Nel caso di ρ=1 un shock
temporaneo persiste in maniera definitiva. Ipotizziamo il caso di ρ molto piccolo, in cui nel periodo
1 la variabile sarà un centesimo rispetto al valore precedente, e quindi la variabile tornerà
all’equilibrio molto velocemente. Se poniamo xt = qt-q Pagina 15
q − q = ρ(q − q) + u 0 < p < 1
t t−1 t
L’idea e quindi quella di stimare il coefficiente ρ in modo tale da avere una misura della
persistenza delle deviazioni del tasso di cambio reale.
Una misura che si può ottenere una volta stiamo ρ è la deviazione Half-Life dalla PPP.
ℇ.
Supponiamo di partite da un certo livello di equilibro, per poi avere uno shock
ℇ.
Avremo che qt - q =
La domanda è quanto ci mette il tasso di cambio per arrivare almeno alla metà dello shock
ϵ
q − q =
iniziale: T 2
T = ?
q − q = u
t t q − q = ρu + 1
Patiamo al tempo 1: t+1 t
…. T
q − q = ρ u
t+T t
1
q − q = (q − q)
t+h t
2
1
T
ρ u = u
2
Quindi il valore di T per arrivare a metà del processo è:
1
2
ρ
T: 2
T ln ρ = ln 1- ln 2 = - ln2
−ln2
T = >0
lnρ
Questa relazione tra T e ρ può essere descritto graficamente:
T
15
10
5
0 ρ
0,0 0,2 0,4 0,6 0,8 1
Quando ρ = 0, avremo una convergenza istantanea, quando ρ = 1 questa deviazione è
persistente; quando ρ è un valore intermedio tra 0 e 1 avremo un tempo intermedio.
La stima di ρ è un numero compreso tra 0,8 e 0,9. Possiamo inserirlo nella formula precedente
per ottenere una stima di T che è compresa tra i 3.10 e i 7 anni, quindi abbiamo una persistenza
molto forte degli shock dovuta da una mancanza di arbitraggio molto lunga difficile da spiegare.
Per spiegare questa mancanza di arbitraggio può essere spiegato tramite due linee:
1) può essere dovuto dal fatto che i prezzi dei beni non viene arbitrato tra i Paesi dovuto da
politiche commerciali, barriere per gli scambi…
2) oppure può essere dovuto da un problema di aggregazione dei prezzi, che forma indici che
potrebbero distorcere i test
La seconda possibilità afferma appunto che questa evidenza empirica sia frutto da errori di
aggregazione. Supponiamo che vi sia perfetto arbitraggio per tutti i beni quindi a livello
microeconomico vale la legge del prezzo unico quindi i prezzi sono uguali quando espressi nella
stessa valuta.
Quando usiamo al posto die singoli prezzi degli aggregati potremmo avere delle distorsioni. Se
γ
γ γ
P = P + P + . . . + P n
1 2
l’indice dei prezzi è costruito usando una media geometria: .
n
1 2 Pagina 16
∑
P = lnp = ln P γ
Il logaritmo di i i
∑
Δln P = Δln P γ
Quindi: i i
Se vale la PPP a livello dei singoli beni, se aggreghiamo un singolo indice dei beni nazionali,
avremo che la media geometrica dei beni in prezzi nazionali deve essere uguale a quella con
prezzi esteri per il tasso nominale.
Consideriamo una trasformazione logaritmica e se vale la PPP otteniamo che:
∑ ∑
γ p = γ p *
i it i it γ = γ *
Stiamo ipotizzando che i i
In questo caso la legge del prezzo unico implica la legge PPP. Quindi se vale che per ogni i Pi = S
Pi* per tutti i beni; allora P = S P*.
γ ≠ γ *
Se invece i i
Allora anche se vale la legge del prezzo unico a livello di singoli beni non necessariamente vale la
PPP, quindi P ≠ SP*. questo perchè i pesi con cui sommo i prezzi sono differenti.
Consideriamo l’indice dei prezzi interni:
∑
ln(P) = γ p
i i
con: s + pi* = pi
∑ ∑ ∑ ∑ ∑
ln(P) = γ ( p * +s) = γ * p * + γ p − γ * p * +s = p * +s = (γ − γ *)p *
I i i i i i i i i i i
Infatti:
γ = γ *
Se ; abbiamo che vale la PPP perchè s+p_i* = pi.
i i
Viceversa se non vale l’uguaglianza dei pesi non varrà la PPP.
Se osservi tale espressione come variazione dovremmo avere che:
∑ (γ − γ * )p *
∆p = ∆s + ∆p* + ∆ i i i
Però è difficile che la variazione persistente del tasso di cambio reale sia spiegata tramite la
variazione degli indici.
Per quanto riguarda l’altra spiegazione, esistono dei beni che possono non essere commerciabili
a causa dei prezzi di trasporto, quindi non sono soggetti all’arbitraggio e quindi vi è la possibilità
che la PPP possa fallire. L’indice dei prezzi interni può essere così definito:
γ 1−γ
P = P(T ) (PN T ) s + p * −p = 0
Dato che la PPP vale solo per i be