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CT
variabili, ad una politica basata sull’aumento della quantità ( caso ) potrebbe essere
2
preferita una strategia di contenimento dei prezzi nei confronti dei fornitori e/o un
miglioramento nelle condizioni di produttività nei fattori variabili.
Nella realtà le modificazioni delle singole componenti di costo o ricavo sono spesso
Y
cumulate. In questo caso, come evidenziato dalla figura d), l’equilibrio iniziale viene
1
Y
sostituito da una quantità minore , generata da un aumento dei prezzi nella funzione
2
di ricavo totale e da un incremento dei costi fissi e una riduzione dei costi variabili unitari
CT
nella funzione di costo totale . Abbiamo altre differenti configurazioni produttive
2
CT CT
prospettate dalla retta e . Nel primo caso l’investimento comporta un
2 3 28
miglioramento tecnologico evidenziato dalla riduzione del costo variabile unitario, nel
secondo non si rilevano miglioramenti di efficienza dei fattori variabili (come accade
quando amplio la capacità produttiva a parità di tecnologia).
IL GRADO DI LEVA OPERATIVA
Natura della leva operativa-> La leva operativa è un indice di elasticità del reddito al
variare dei volumi di produzione. R.O-> reddito operativo e con CTFO i costi totali fissi di
natura operativa, il grado di leva operativa (G.L.O.) sarà:
Per comprendere l’utilità dell’indicatore, bisogna esaminare il suo andamento rispetto ai
volumi di attività e alle modificazioni della struttura. La denominazione dell’indice va
associata alla capacità di evidenziare la sensibilità del reddito al variare dei volumi di
attività. Per esempio, nell’ultima equazione, un grado di leva operativo pari a 3 implica
che, a fronte di un incremento delle quantità del 10%, si avrà un aumento del reddito
operativo del 30%. La relazione è valida con una riduzione delle quantità (con segno
opposto). Un valore elevato dell’indice implica maggiore variabilità dei risultati aziendali e
maggior rischio. È importante capire quali sono gli elementi che condizionano l’indice. Con
un’analisi di statica comparata è possibile isolare le variazioni di quantità ( a parità di tutte
le altre variabili) dalle modificazioni strutturali (a parità di quantità), quali la consistenza dei
costi fissi o dei costi variabili. 29
Andamento della leva operativa al variare dei volumi di produzione
Prendiamo in esame le variazioni della leva rispetto alle modificazioni della quantità di
produzione. Essendo un indicatore di elasticità del reddito, assumerà valori via via
decrescenti in assoluto, man mano che ci si allontana dal punto di equilibrio aziendale, in
cui il reddito operativo è pari a 0.
La rappresentazione del G.L.O. in funzione della quantità consente di verificare tale
affermazione (grafico sotto). L’andamento è descritto da una iperbole equilatera con
asintoti verticali rispetto al punto di pareggio e asintoti orizzontali che tendono all’unità per
il primo quadrante e a zero per il terzo. Nell’intorno del punto di pareggio, l’elasticità sarà
infinita, mentre all’aumentare delle quantità (rispetto a quest’ultimo) le variazioni relative
del reddito operativo risultano sempre più ridotte e pertanto il G.L.O. si riduce e tende a 1,
come conseguenza della progressiva perdita di importanza dei costi fissi. Si può affermare
che i volumi di attività e reddito operativo variano nella medesima proporzione.
Nel caso di riduzioni di quantità rispetto al punto di pareggio, il G.L.O. tende invece a 0 da
valori negativi perché in presenza di una produzione nulla si avrebbero solo costi fissi e
assenza di margine. 30
Esempio-> La MAN vende 20.000 unità di un bene, con uno sfruttamento della C.P. pari al
100%. La società decide di incrementare la C.P. fino a 28.000 unità. Il prezzo di vendita
unitario è pari a 3.000, i costi variabili unitari attuali sono pari a 1.000 e con la nuova
struttura si riducono a 600. I costi fissi attuali sono pari a 20 milioni e si incrementano a 30
milioni nel caso dell’investimento.
Si calcoli il GLO nella situazione attuale.
Si dimostri che nella situazione attuale un GLO pari a due indica che un
aumento del fatturato del 10% comporta un aumento del reddito operativo
del 20%.
Si calcoli il GLO post investimento in assenza dei miglioramenti nei costi
variabili e in assenza di incrementi di produzione.
Si calcoli il GLO post investimento in presenza del miglioramento nei costi variabili e una
produzione pari a 27.000.
Relazione tra leva operativa e costi di struttura
La relazione tra G.L.O. e quantità permette di conoscere le caratteristiche dell’indicatore,
ma l’utilità di quest’ultimo viene evidenziata dal legame con i costi di struttura. Nella 3 31
formula (che si trova sopra, nella natura della leva operativa) al denominatore troviamo
l’ammontare dei costi fissi. Essi sono dedotti dall’entità globale del margine di
contribuzione, riportato pure a numeratore del rapporto. A una variazione dei volumi di
produzione corrisponde una variazione della profittabilità tanto più elevata quanto più
accentuata risulta la dimensione dei costi fissi. Operazioni di riorganizzazione e
ristrutturazione produttiva, alterano il precedente rapporto tra costi fissi e variabili, a parità
di prezzo di vendita, determinano una diversa reattività dell’indicatore al variare dei volumi
di produzione. La leva esprime gli effetti (per quanto riguarda il reddito) di una variazione
dei livelli di attività, in presenza di mutamenti strutturali. La leva operativa quindi misura le
ricadute economiche relative a un mutamento intervenuto nelle strutture di costo e del
rischio d’impresa.
Dove per MC si intende il margine di contribuzione totale.
Si può notare che esiste un legame diretto tra la leva operativa e l’entità dei costi fissi,
rapportata al margine di contribuzione. Questo rapporto (CTFO/MC) può essere una
misura della rigidità della struttura del costo, in quanto la consistenza assoluta dei costi
fissi è messa in relazione (pesata) con il margine che residua, dopo aver spesato i vari
costi variabili.
Il rapporto tra costi fissi e margine di contribuzione misura il peso dei costi fissi rispetto al
reddito da essi generato. La scelta di una struttura produttiva comporta una connessione
diretta tra la dimensione della capacità produttiva (costi fissi) e i volumi di attività
realizzabili. Il costo variabile incide negativamente sul margine di contribuzione,
determinando la capacità di copertura dei costi fissi. Per esprimere un giudizio sulla rigidità
dell’azienda occorre considerare anche i margini di contribuzione indotti dalla
configurazione produttiva prescelta.
Esempio -> 32
UTILIZZO DEL MARGINE DI CONTRIBUZIONE IN CHIAVE DECISIONALE
Dall’utile marginale al margine di contribuzione 33
L’andamento dei costi, la variare dei volumi di produzione, è studiato con funzioni continue
e il costo marginale è ottenuto tramite il calcolo della derivata del costo totale rispetto alle
quantità prodotte. Derivando le funzioni di ricavo totale rispetto alle quantità viene
determinato il ricavo marginale e l’ottimizzazione si completa con il confronto tra ricavo
margine e costo marginale.
L’impostazione marginale di decide in riferimento al margine di contribuzione unitario. Se
tenessimo costanti il prezzo e i costi variabili unitari nell’intervallo di produzione, il ricavo
marginale e il costo marginale risultano rispettivamente pari al prezzo di vendita e al costo
variabile unitario e il margine di contribuzione unitario si sostituisce all’utile marginale.
Esempio: tabella dove compare l’analisi del costo variabile di un’impresa per livelli di
sfruttamento della capacità produttiva (molto flessibile), compresi tra il minimo e massimo
programmato in sede di definizione della struttura.
L’analisi marginale si rivela utile per definire una quantità di produzione ottimale. La curva
del costo variabile unitario rappresenta un andamento discontinuo, segnato dalla presenza
di lotti economici di produzione e vendita che richiedono incrementi di costo per quantità 34
superiori al livello normale di produzione. Le variazioni in aumento nel costo variabile che
interessano i lotti (f,g,h,i)possono trovare molteplici motivazioni: investimenti promozionali
necessari per aumentare i volumi di vendita, compensi per il lavoro straordinario,
incrementi dei costi di trasporto per raggiungere nuovi mercati. In questo caso i maggiori
costi sono da ascrivere unicamente ai lotti di produzione oggetto di potenziamento.
Un’analisi a carattere marginale, che confronti i costi e i ricavi dei singoli loti, consente di
dare una risposta corretta all’opportunità di incrementare o meno lo sfruttamento della
capacità produttiva. Nell’esempio si può constatare che la differenza tra il prezzo e il costo
variabile unitario (cioè il margine di contribuzione) inizia a decrescere a partire dal lotto “f”
e diviene negativa dal lotto “h” in poi. Risulta conveniente, a parità di altre condizioni,
aumentare la produzione fino al lotto “g”, dove il margine di contribuzione è ancora
positivo, anche se decrescente. Se si optasse anche per il lotto “h”, il complesso dei costi
variabili ad esso relativi risulterebbe superiore ai ricavi e ne deriverebbe un peggioramento
del risultato aziendale.
Caso ROMI
La società ROMI produce un bene che vende al prezzo di 100 Euro sfruttando all’80% la
capacità produttiva.
La seguente del costo unitario medio è la seguente:
Consumi 30
Lavoro 25
Ammortamenti 15 35
Costi diversi 20
In tale situazione, l’incidenza unitaria dei costi fissi sul lavoro e sui costi diversi è di 5 Euro,
per unità prodotta.
Non esistono costi gamma.
Un cliente che assorbe il 30% della capacità produttiva chiede che il prezzo gli venga
ridotto a 64 Euro, dichiarando di rinunciare alla fornitura in caso contrario. La società, non
potendo reperire altri clienti, deve scegliere tra l’adesione alla richiesta e la riduzione della
produzione.
Margine di contribuzione e mix produttivo 36
Nuovo aspetto aziendale: giusto bilanciamento delle diverse produzioni, in modo da
servire il maggior numero di clienti e sfruttare al meglio la struttura produttiva. Il margine di
contribuzione, opportunamente confrontato con i vincoli aziendali, può costituire un utile
strumento di indirizzo delle scelte. Possiamo trovarci