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ESEMPI:
COCA COLA→competenze distintive: il marketing, la comunicazione (la ricetta segreta, il mistero) e
gli aspetti distributivi (coca-cola è presente in tutto il mondo. I consumatori valutano i supermercati
dalla sua presenza).
TOYOTA→competenze distintive: il just in time, gestione del magazzino. I giapponesi riducono al
minimo il quantitativo del magazzino, che risulta essere quasi vuoto: cioè si traduce in una forte
diminuzione dei costi.
AMAZON→competenze distintive: la logistica, sia in entrata (approvvigionamento, scelta del
fornitore) che in uscita (come portare il prodotto al consumatore finale).
SONY→competenze distintive: la miniaturizzazione (come la mini-videocamera).
A loro volta le competenze, per poter essere definite distintive, devono possedere tre
caratteristiche:
i) la scarsità;
ii) la rilevanza (devono essere fondamentali per l’ottenimento di una posizione di
leadership→devono essere percepite come delle competenze che consentono di vincere
la concorrenza);
iii) l’appropriabilità (l’azienda deve possederle. In costiera amalfitana, ad esempio,
competenza distintiva sarà non la costiera in sé, quanto il panorama, la location).
4.4 Risorse e competenze: come ottenere la leadership
Abbiamo appena detto che il carattere distintivo delle risorse e competenze interne all’azienda sono
essenziali per l’ottenimento di una maggiore redditività. L’obiettivo di ciascuna impresa, di
conseguenza, deve essere quello di rendere tale carattere distintivo più duraturo possibile nel
tempo. Si intuisce che questa durevolezza è legata a due caratteristiche intrinseche delle risorse e
competenze distintive: la loro trasferibilità e la loro replicabilità.
In questa partita, un ruolo essenziale è quello ricoperto, ad esempio, dai brevetti che consentono
all’impresa di tutelarsi e proteggersi dalla “copia” della loro invenzione da parte dei concorrenti.
Altro modo per rendere la risorsa distintiva nel tempo è il fatto che la sua conoscenza sia tacita e
non codificabile. Ciò significa, in sostanza, che quella specifica competenza è trasferita tacitamente
di generazione in generazione (es. la ricetta segreta della coca-cola che, da quello che si dice, viene
trasmessa da CEO a CEO) ed è insuscettibile di essere compresa in modo alternativo dalle altre
imprese sul mercato che, così, non potranno imitarla. E’ anche vero, sotto un altro punto di vista,
che il capitale umano la conoscerà attraverso il learning by doing: infatti, di frequente, l’impresa si
tutela tramite appositi non disclosure agreements (NDA).
30
Ancora, le aziende ricorrono spesso a meccanismi di isolamento o casual ambiguity, creando
incertezza ed ambiguità sulle fonti su cui si basa la propria posizione dominante sul mercato (i.e. su
come vengono effettuate alcune attività, su come vengono utilizzate determinate risorse). Tuttavia,
il contro dell’ambiguità è la possibilità, tutt’altro che remota nelle imprese di grandi dimensioni, che
essa si rivolga anche all’interno dell’impresa stessa, mettendo dei paletti alla flessibilità e alla
trasferibilità di risorse e competenze all’interno di un medesimo gruppo.
Finora, quindi, abbiamo elencato una serie di metodi interni all’impresa che le consentono di
rendere il carattere distintivo delle proprie risorse e competenze duraturo nel tempo. Tuttavia, il
carattere distintivo è talvolta influenzato da fattori esogeni all’impresa stessa, dipendenti dal
mercato in cui essa opera. Il gusto del consumatore, l’iper-competizione all’interno di un mercato,
gli shock tecnologici in mercati come quello dell’elettronica, sono tutti fattori incontrollabili e
imprevedibili.
La variabilità dell’ambiente esterno, quindi, esige che un’impresa si doti delle cd. competenze
dinamiche (Teece, Pisano, Shuen), ossia competenze che le consentano di rinnovare la propria
offerta ed attuare i cambiamenti strategici e organizzativi richiesti per rispondere all’evoluzione
dell’ambiente competitivo, adattando i propri comportamenti di conseguenza e giocando in
anticipo rispetto ai competitors (Nokia, che aveva al proprio interno competenze distintive,
difettava di competenze dinamiche e predittive: non ha percepito l’evoluzione del mercato ed ha
abdicato ad un cambio di direzione). Gli ostacoli alle competenze dinamiche sono solitamente frutto
del cd. effetto di path dependency: le imprese, di frequente, si focalizzano soltanto su un percorso
strategico e su determinate risorse e competenze, dimenticando la necessità di monitorare
costantemente il mercato per prevedere eventuali cambiamenti di rotta. Questa inerzia
organizzativa e strategica, spesso, è data dal fatto che ciascuna impresa, innanzitutto, crede troppo
in quello che fa; inoltre, ciò è vero maggiori sono gli investimenti sostenuti per implementare il
percorso strategico originariamente pensato dal management. Soprattutto le imprese familiari,
ossia quelle imprese evolute all’interno di una stessa famiglia e in cui le decisioni sono prese dal
fondatore, sono caratterizzate da un accentramento decisionale che, spesso, comporta una
complessità gestionale dovuta, nei fatti, a sprechi di tempo. A ciò, appunto, si aggiunge la path
dependence: il capofamiglia crede in quello che fa e porta avanti la propria idea costi quel che costi,
rifiutando il cambiamento (Dellavalle, ad esempio, che pure assunse un manager proveniente da
una Public Company per internazionalizzarsi, alla fine vi rinunciò: l’apertura di una sussidiaria estera
avrebbe infatti comportato la direzione di un amministratore esterno alla famiglia, su cui egli non
avrebbe avuto controllo diretto). 31
5 Il vantaggio competitivo
5.1 La performance reddituale ed i fattori critici di successo
Obiettivo finale di qualsiasi impresa che operi in un mercato concorrenziale è l’ottenimento di un
vantaggio competitivo. Esso è il risultato di una strategia che conduce l’impresa ad occupare e
mantenere una posizione favorevole nel mercato in cui opera e si traduce in una redditività
stabilmente superiore a quella media dei competitors.
Ci sono, al riguardo, due elementi da prendere in considerazione:
i) la performance reddituale deve essere stabilmente superiore a quella dei competitors.
Deve essere ottenuta, cioè, non soltanto nel breve periodo, ma deve protrarsi nel corso
degli anni;
ii) il dominio dei fattori critici di successo, cioè “il dominio delle variabili sulle quali il
management può agire con le sue decisioni, che possono incidere in modo consistente
sulla posizione competitiva delle imprese all’interno di un settore” (Hofer e Schendel,
1984). In sostanza, essi sono i fattori chiave che consentono all’impresa di vincere la
competizione. Ovviamente, variano da settore a settore e, a loro volta, variano a seconda
del punto di vista da cui vengono presi in considerazione. Infatti:
- dal punto di vista del mercato, i fattori critici di successo sono costituiti dai gusti del
consumatore, dal tipo di prodotto che egli desidera e dal prezzo;
- dal punto di vista delle aziende, i fattori critici di successo sono costituiti dalle
caratteristiche dell’impresa attraverso le quali è possibile convincere il consumatore
della qualità dei propri prodotti e servizi (ad es., nel mercato e-commerce il consumatore
cerca, in primis, rapidità ed affidabilità, sono questi i fattori critici ed Amazon li domina;
ancora, nel mercato dei prodotti di largo consumo dell’alimentare noi cerchiamo qualità
e presenza capillare nei supermercati: i piccoli agricoltori, che sicuramente realizzano
prodotti di qualità, non sono in grado di ricoprire interamente la domanda di mercato).
Altro fattore critico, talvolta, può essere il timing di ingresso in un determinato mercato.
Molto spesso, infatti, le imprese, anziché rispondere a bisogni esistenti in una
popolazione, creano esse stesse un bisogno nella mente del consumatore esplorando per
prime nuovi mercati. Non è un caso, d’altronde, che essere first mover significhi, il più
delle volte, essere leader: è il caso di Apple, prima azienda a creare gli smartphone e gli
iPad. Certo, essere first mover è allo stesso tempo un rischio: specie nei settori ad alto
livello tecnologico, l’alto rischio di insuccesso si traduce in un rischio di elevate perdite
degli investimenti sostenuti (pensiamo al rischio e ai costi sostenuti da McDonald nel
penetrare nel mercato russo: non esistendo imprenditori, e quindi fattorie ed aziende
produttrici di beni alimentari, McDonald ha dovuto crearsi tutto l’indotto per la
produzione di alcune materie prime, importandone invece altre dai paesi europei. I
followers come Kfc e Burger King, invece, si sono trovati la strada spianata: il tessuto
imprenditoriale già esisteva e, a costi molti più ridotti, hanno ridotto il vantaggio
competitivo di McDonald).
5.3 La freccia del valore 32
Ogni azienda, una volta creato il valore per il consumatore finale, dovrà provvedere a trasformarlo
in redditività e profitto. Secondo il modello della freccia del valore sopra rappresentato, la capacità
di ciascuna impresa di accaparrarsi il valore finale si basa nel considerare da un lato i costi
dell’impresa medesima – costi di produzione, distribuzione, comunicazione – e dall’altro i bisogni
del consumatore. Il consumatore, in base al suo bisogno, conferirà a quei prodotti un determinato
valore, equiparato al beneficio da lui percepito al momento dell’acquisto e del consumo del
prodotto stesso. Questo beneficio, in altri termini, altro non è nella mente del consumatore se non
la massima disponibilità a pagare per avere un determinato bene. E questa disponibilità a pagare,
mutuando concetti di economia industriale, è ridotta dai costi di transazione, cioè tutti quei costi
aggiuntivi che il consumatore deve sostenere per avere un prodotto (per acquistare un televisore,
ad es., il consumatore deve recarsi al negozio, perdere tempo dovuto al traffico e al parcheggio,
deve sceglierlo, se è troppo grande avrà problemi di trasporto e dovrà quindi pagare un servizio
aggiuntivo, etc.). I costi di transazione, quindi, riducono la disponibilità del consumatore a pagare
per avere un prodotto. L’azienda, per ottenere redditività, fisserà il prezzo ad un livello compreso
tra il beneficio che il nostro consumatore percepisce ed i costi di produzione dell’impresa. Così
facendo, da un lato si avrà surplus del consumatore – dato dalla differenza tra il beneficio percepito
ed il prezzo – e dall’altro lato si avrà valore, in termini di reddit