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Donald Winnicott. Pediatra e psicanalista inglese, opera nel periodo della seconda guerra mondiale in cui accadde
spesso che mamme e bambini venissero separati; amava osservare come la mamma “monitorasse” la relazione
che il bambino instaurava con gli oggetti presenti nel suo studio; la sua unità di osservazione era costituita dalla
coppia mamma-bambino.
Winnicott pone al centro delle sue riflessioni l’origine relazionale del sé. Si tratta di comprendere come la madre,
il padre e l’ambiente circostante possano, con la loro presenza e le cure necessarie, evitando che il bambino si
senta minacciato da assenza o eccessiva presenza, garantire lo sviluppo di un sé di un bambino sufficientemente
sano. Relazioni ab-usanti (utilizzo del bambino per la soddisfazione dei bisogni di un’altra mente) determinano la
disorganizzazione del sé. E’ importante che le figure parentali riconoscano e tollerino la differenziazione del
bambino dal proprio sé (il genitore non dovrebbe caricare il figlio di proprie aspettative). Winnicott ci invita a
riflettere sui primi mesi di vita di un bambino, essi sono fondamentali per la strutturazione del nucleo del sé,
progressivamente in grado di decodificare la realtà. La mente della madre, nei primi mesi, è il contenitore delle
proiezioni e dei vissuti del bambino; infatti, la possibilità che ha un bimbo di organizzare l’esperienza è
strettamente correlata alle percezioni che la madre ha di lui e di se stessa. Il bambino ha bisogno di percepire che
la madre è in grado di raccogliere tutte le sue emozioni. Secondo Winnicott esiste una capacità naturale e
biologicamente innata che negli ultimi mesi di gravidanza e nei primi mesi di vita consente alla madre di mettere
mente e corpo totalmente a disposizione del figlio; è definita “preoccupazione materna primaria”. Questa
preoccupazione permette al bambino di vivere l’allucinazione di onnipotenza, perché ha una mante a sua
completa disposizione che accoglie le sue emozioni, offre cibo e oggetti per lenire le sue mancanze. Questo
comportamento materno permette al bambino di sviluppare una fiducia in se e nell’ambiente circostante
(ambiente nutritivo), importante per crescere. Successivamente ai primi 5/6 mesi, la madre è chiamata a ridurre i
suoi interventi sostenendo le funzioni autonome del figlio, evitando di riavere comportamenti sostitutivi non più
utili ed adattivi. Una madre “sufficientemente buona” è in grado di rispettare i tempi di quiescenza del bambino,
cioè quei momenti in cui egli giace in solitudine e tranquillità, in cui scopre il mondo che lo circonda e sé stesso.
La madre “sufficientemente buona” saprà anche lasciar esperire al figlio momenti di frustrazione sostenibile che
gli insegneranno ad attendere e a posticipare la soddisfazione dei propri bisogni e a sviluppare meccanismi per
l’autonoma ricerca di soluzioni nei momenti di difficoltà. I più pesanti fallimenti in cui possono incorrere i
genitori sono due: l’assenza (carenza di sensibilità ai bisogni del figlio) e l’eccessiva presenza. Nel secondo caso,
l’eccessiva intrusione e la presenza di troppe aspettative da parte dei genitori, possono sviluppare nel bambino
una struttura a “falso se” (sono come tu mi vuoi), cioè il bimbo finisce per anteporre le esigenze e i bisogni dei
genitori ai suoi (soddisfare i bisogni delle persone più significative nella propria esistenza è talmente prioritario da
assorbire la maggior parte della sua energia psichica). In queste situazioni il vero sé tende ad abbandonare il
campo per l’inconscia convinzione che il suo manifestarsi risulterebbe intollerabile. Questo sistema “a falso se” a
volte si accompagna alle grandi crisi di passaggio da una fase all’altra della vita; possono emergere sintomi come
l’attacco di panico o esperienze di break-down (a volte positive, l’inconscio segnala di non poter più tollerare
un’esperienza sacrificale ed irrompe alla coscienza con una richiesta forte che non può restare inosservata). Ad
una genitorialità eccessivamente intrusiva ed incapace di sintonizzarsi con i reali bisogni del bambino può
corrispondere anche un differente cammino di sviluppo. Il bambino può quindi strutturarsi nello sforzo
continuo di differenziarsi nettamente dalla richiesta genitoriale, giungendo a sacrificare a questo obiettivo
oppositivo, aspetti salienti della propria esistenza (anoressia).E’ evidente che l’origine di comportamenti
genitoriali disfunzionali è spesso da ricercare nella storia trigenerazionale, trattandosi di stili famigliari trasmessi
per lo più a livello inconscio.
Il bambino tollera l’assenza della madre, la frustrazione, attraverso gli “oggetti transizionali”, oggetti paradossali a
metà strada tra la soggettività e l’oggettività: l’oggetto transizionale viene vissuto come qualcosa che non è creato
e controllato soggettivamente e neppure separato e trovato; per il bambino rappresenta la madre e gli permette di
conservare un legame fantasmatico con questa man mano che si separa da lei. E’ un oggetto a metà strada tra la
madre che il bambino crea nella fase di onnipotenza e la madre che il bambino scopre agire in modo separato ed
indipendente; è quell’esperienza che consente di ammortizzare il passaggio alla realtà oggettiva ed alla
indipendenza.