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Parametri economici del Trattato di Maastricht e l'andamento dell'economia italiana
Con l'avvio della moneta unica a partire dal 1999, il Trattato di Maastricht rappresentava lo strumento con cui gli stati dell'unione monetaria hanno disciplinato le condizioni per accedere alla stessa. Queste disposizioni devono ancora essere rispettate da coloro che desiderano fare parte dell'unione monetaria e possono essere suddivise in quattro tematiche fondamentali:
- Stabilità dei prezzi: il tasso d'inflazione nazionale può scostarsi di massimo 1,5 punti percentuali dal tasso medio dei tre paesi più virtuosi.
- Finanze pubbliche: il rapporto tra il deficit annuale e il PIL (indebitamento delle pubbliche amministrazioni) non deve superare il 3%, o per lo meno se diverso avvicinarvisi con ritmo costante.
- Rapporto tra debito pubblico e PIL: non deve superare il 60%.
Questi parametri economici del Trattato di Maastricht hanno avuto un impatto significativo sull'economia italiana. L'Italia ha dovuto affrontare sfide per rispettare i requisiti stabiliti dal trattato, in particolare per quanto riguarda il controllo dell'inflazione, la gestione delle finanze pubbliche e la riduzione del debito pubblico.
menodimostrare di avvicinarvisi con ritmo costante (a fine 2019 in Italia tale rapporto era al 134,8 %); tasso dicambio→occorre rispettare i margini normali di fluttuazione previsti dal meccanismo di cambio del SistemaMonetario Europeo (SME) per almeno due anni, senza svalutazione nei confronti della moneta di qualsiasialtro Stato membro; tassi di interesse a lungo termine→non devono superare di più del 2 % quelli dei treStati membri con i prezzi più stabili.
Si illustri l’andamento del debito pubblico italiano dagli anni 60 ad oggi. Possiamo distinguere cinqueperiodi per identificare l’andamento del debito pubblico italiano dagli anni 60 ad oggi: 1960-1968, 1968-1980, 1980-1992,1992- 2005, 2005 ad oggi. Nel secondo dopoguerra il debito italiano si ritrova poco al disopra del 20% del PIL. Nel 1964, in pieno boom economico, quando l’economia italiana cresce in media del5% annuo sostanzialmente senza inflazione, il rapporto debito-PIL si trova al 33%.
Questo perché il costo del debito è inferiore al tasso di crescita e la politica fiscale si mantiene molto equilibrata, un po' per scelta ma soprattutto per effetto del boom economico. Dal 1968 la situazione delle nostre finanze pubbliche inizia a precipitare (con la crisi petrolifera del 1973 esplose un'inflazione galoppante) arrivando agli anni '80 con un saldo primario costantemente in negativo, perciò all'inizio di questi la pressione fiscale è andata aumentando ma con essa anche le uscite, mantenendo un saldo primario negativo, inoltre i tassi di interesse in quel periodo dovevano coprire sia il rischio di cambio che il rischio di inflazione, ovvero un'ulteriore voce al debito pubblico. Nel decennio '90, con l'obiettivo di ammissione nell'unione europea, il saldo primario ha per la prima volta raggiunto livelli positivi grazie ad un aumento della pressione fiscale, un mirato controllo sul saldo e un.risparmio sulla spesa per interessi sui titoli di Stato, poiché questi grazie all'ingresso nell'unione non dovevano più coprire il rischio di svalutazione della Lira. Il rapporto debito/PIL, superiore al 100%, inizia lentamente ad erodersi fino al 2005, dove subisce un'inversione di tendenza, con un saldo primario azzerato ed un nuovo incremento del debito. Negli ultimi anni l'Italia si è allontanata parecchio dai parametri europei a causa della crisi economica internazionale, con una contrazione del PIL (unica spiegazione dell'andamento negativo) e la non adozione di politiche anticicliche per superare la crisi.
Ipotesi, implicazioni e limiti del teorema di Ricardo-Barro. Il teorema si appoggia a diverse ipotesi: un mercato dei capitali perfetto, dove tutti possano prestare e prendere in prestito quanto necessitano ad un tasso fisso uguale per tutti, dove il sentiero temporale di spesa del governo è dato, ed inoltre ipotizza
Il teorema sostiene che quando lo Stato ottiene un prestito, gli appartenenti alla vecchia generazione internalizzeranno il vincolo di bilancio della nuova generazione, aumentando così gli lasciti a questa, sufficienti per coprire le imposte aggiuntive che saranno dovute in futuro. Perciò possiamo assumere che sia equivalente finanziare la spesa pubblica G con imposte T introdotte oggi o con debito B che deve essere ripagato domani al tasso I. Nel primo caso il consumo della generazione di oggi si riduce di G=T, nel secondo caso, pur dovendo ripagare domani il debito tramite una tassazione, inizio a risparmiare riducendo il consumo oggi di G=T. Poiché in entrambi i casi il finanziamento deve avvenire tramite l'imposizione di imposte, secondo il teorema l'unica differenza nei due casi è di tipo temporale. In realtà, tralasciando il fatto che il teorema si basi su ipotesi sulle quali lo stesso Barro esprimeva dei dubbi,
dato che l'eccesso di pressione è funzione dell'aliquota al quadrato, è preferibile in termini di benessere spalmare l'aliquota in più periodi, perciò sarebbe da preferire l'indebitamento a più rate. Ricordiamo però che il teorema esclude la presenza dell'effetto spiazzamento, ma nel caso esso si verifichi il finanziamento mediante imposizione fiscale risulta preferibile.PENSIONI
Si illustrino le funzioni di un sistema pensionistico. Si consideri un sistema pensionistico che mantiene fisso il tasso di sostituzione tra pensione e retribuzione lorda: quali funzioni del sistema pensionistico persegue? Quale patto intergenerazionale assume implicitamente? Le funzioni di un sistema pensionistico sono principalmente tre: assistenziale, previdenziale ed assicurativa. La prima assicura a tutti i cittadini un reddito minimo adeguato a garantire una dignitosa sopravvivenza; la seconda garantisce all'individuo (che ha
capitalizzazione, si pone il problema della transizione. Nel sistema a ripartizione, i contributi dei lavoratori attivi vengono utilizzati per pagare le pensioni degli anziani. Nel sistema a capitalizzazione, invece, i contributi vengono investiti e accumulati nel corso della vita lavorativa dell'individuo, per poi essere restituiti sotto forma di rendita pensionistica. Durante la transizione da un sistema all'altro, è necessario trovare un modo per garantire che gli anziani continuino a ricevere le loro pensioni, mentre i giovani lavoratori iniziano ad accumulare i loro risparmi pensionistici. Questo può essere fatto attraverso meccanismi di finanziamento temporanei, come ad esempio l'utilizzo di riserve accumulate nel sistema a ripartizione o l'istituzione di un fondo di transizione. Un altro problema che può sorgere durante la transizione è l'equità intergenerazionale. Nel sistema a ripartizione, le generazioni più giovani sostengono finanziariamente le generazioni più anziane. Nel sistema a capitalizzazione, invece, ogni individuo accumula il proprio capitale pensionistico. Ciò può portare a una disparità tra le generazioni, in quanto i giovani lavoratori potrebbero dover sostenere un doppio onere contributivo: contribuire al sistema a ripartizione per finanziare le pensioni degli anziani e accumulare risparmi pensionistici nel sistema a capitalizzazione. In conclusione, il passaggio da un sistema a ripartizione a uno a capitalizzazione comporta sfide nella gestione della transizione e nell'equità intergenerazionale. È importante considerare attentamente questi aspetti prima di prendere una decisione in merito al sistema pensionistico da adottare.Capitalizzazione siverificherebbe un effetto ultima generazione: l'ultima generazione che contribuisce al sistema a ripartizionenon riceverà trasferimenti dalla generazione successiva, ma continua a pagare la pensione a ripartizionedella generazione precedente. Perciò in seguito al passaggio ad un sistema a capitalizzazione dovràfinanziarsi la propria pensione sostenendo un doppio onere contributivo. Questo costo è dovuto alcontratto implicito intergenerazionale e l'assenza di accantonamenti nel mercato dei capitali,caratteristiche del sistema a ripartizione.
Si indichino i criteri utilizzati attualmente per calcolare la pensione, illustrandone punti di forza e didebolezza: criteri stabiliti dalla riforma Fornero del 2011. La riforma Fornero consiste nel Decreto legge deldicembre 2011 intitolato "Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici", con cui l'allora ministro dellavoro e delle politiche sociali riformò il
sistema pensionistico italiano. La riforma impose in particolare il sistema contributivo al posto di quello retributivo introdotto dalla riforma Dini nel 1995; contestualmente la riforma ha innalzato l'età pensionistica di uomini e donne, stabilendo i requisiti per la "pensione di vecchiaia" (in base all'età anagrafica): minimo 20 anni di contribuzione e 66 anni di età per donne del pubblico impiego e uomini, 62 anni per donne del settore privato (poi 66 anni e 3 mesi nel 2018), 63 anni e 6 mesi per donne lavoratrici autonome (che diventeranno gradualmente 66 anni e 3 mesi nel 2018); abolì poi la "pensione di anzianità" (stabilita in base al numero di anni di lavoro) sostituendola con la "pensione anticipata": questa richiede una minore età anagrafica ma requisiti contributivi più stringenti (41 anni e 3 mesi per le donne e 42 anni e 3 mesi per gli uomini). Inoltre la riforma prevede un adeguamento.periodico dei requisiti di pensionamento in funzione dell'allungamento della speranza di vita. La norma prevede l'aumento dei versamenti contributivi per una serie di categorie occupazionali, tra cui artigiani, commercianti, lavoratori agricoli e lavoratori autonomi. Infine taglia le rivalutazioni delle prestazioni pensionistiche che superano tre volte il trattamento minimo e dispone l'incorporazione di Inpdap e Enpalspresso l'Inps.
Tra gli "effetti collaterali" della Riforma Fornero il problema causato agli esodati, cioè ai lavoratori che avevano sottoscritto accordi aziendali o di categoria che prevedevano il pensionamento di vecchiaia anticipato rispetto ai requisiti richiesti in precedenza. Complice l'innalzamento dell'età del pensionamento costoro sono rimasti senza più stipendio e senza ancora pensione, per alcuni periodi di tempo. Un caso che ha riguardato diverse decine di migliaia di persone, per i quali è
intervenuto successivamente l'Esecutivo per garantir loro uno "scivolo" per questa fase di passaggio. I critici della Riforma hanno inoltre sottolineato come la manovra sulle pensioni non sia riuscita a contenere la spesa pensionistica italiana, pari a oltre il doppio della media europea in proporzione al PIL, salita dal 15% del 2011 fino a oltre il 17% del prodotto interno lordo. Si consideri un sistema pensionistico a ripartizione a beneficio definito nel quale il tasso di sostituzione tra pensione ed ultima retribuzione è fisso. Si calcolino l'aliquota d'equilibrio, la pensione pro-capite ed il salario netto, evidenziando cosa questo sistema pensionistico implichi in termini di patto intergenerazionale. Nel sistema a ripartizione il gettito contributivo riscosso in ogni periodo è destinato al finanziamento delle prestazioni erogate in quello stesso periodo, ovvero i lavoratori pagano la pensione degli ex-lavoratori. In questo caso parliamo diIl sistema a ripartizione a beneficio definito è un sistema pensionistico in cui è definito l'ammontare della pensione che un lavoratore riceverà una volta conclusa la sua vita lavorativa. Tuttavia, non è certo l'ammontare dei contributi che dovrà versare per riceverla.
Nel caso in cui il patto preveda un tasso