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Capo 23 - La tutela del contribuente contro la "dottrina" del fisco

Con due discutibili sentenze (una del TAR del Lazio del 23.10.1986 e una della Cassazione a sezioni unite del 09.01.1986) si è posto un interessante problema di diritto tributario e cioè: quale tipo di giustizia si possa invocare di fronte agli orientamenti della P.A. aventi per oggetto l'interpretazione di leggi tributarie e cioè quale debba essere la giurisdizione che debba occuparsene. L'amministrazione ha potere di indirizzo che si esplicita in vari modi (circolari, pareri, direttive etc) e che derivano sia su sua iniziativa sia su richiesta del privato. Le direttive, comunque chiamate, non sono però comprese nell'elenco tassativo degli atti impugnabili davanti alle commissioni tributarie, in quanto le stesse possono pronunciarsi di fronte a un concreto atto di imposizione. Si è cercata allora la soluzione della tutela preventiva di fronte al giudice amministrativo.

con il TAR del Lazio, il quale, ritenendo la risoluzione ministeriale come atto generale di imposizione e come tale censurabile davanti alle commissioni tributarie ai soli fini dell'annullamento su cui vale la competenza del giudice amministrativo. Due sono le cose discutibili di questa sentenza. L'efficacia erga omnes in quanto un pronunciamento della P.A. può essere disatteso dal giudice competente ma con effetti limitati al caso specifico e, soprattutto il fatto che le circolari non sono atti amministrativi impugnabili davanti al TAR. Giustamente la Cassazione riconosce la competenza esclusiva del giudice tributario nella interpretazione della legge tributaria, ma non ha senza parlare di impugnare una direttiva o circolare prima di giudicare la questione tributaria, in quanto si tratterebbe di impugnare un atto presupposto, a meno che esso non sia un atto prescritto dalla legge. Il giudice tributario non ha bisogno di annullare una circolare o una direttiva, in quanto silimita a valutarle e basta. Va comunque valutato un aspetto (politico) della sentenza della cassazione e cioè il problema di giustizia che essa solleva rispetto all'uso e all'abuso delle circolari che comunque generano incertezze: in casi del genere può essere instaurata una lite tributaria prima che l'atto arrivi e in previsione dell'atto? Essendo la risposta negativa doveva sollevarsi questione di legittimità costituzionale e questo perché se è vero che la questione è prettamente tributaria e, quindi rientra nelle competenze delle commissioni tributarie, la richiesta di giustizia non può passare attraverso l'annullamento delle direttive in quanto ne mancano i presupposti, ma attraverso una pronuncia del giudice tributario con un giudizio di accertamento negativo che attualmente non è consentito.

CAPO 26 - LA BUONA FEDE IN DIRITTO TRIBUTARIO (quando l'ammin. Cambia orientamento)

Ci si domanda cosa

succede nell'ipotesi (che spesso si verifica) di un cambiamento di orientamento dell'amministrazione finanziaria, per cui ciò che prima era ritenuto intassabile diventa tassabile con la conseguenza che il contribuente diventa evasore per un comportamento non suo. Ci si chiede quindi se il principio della buona fede sia applicabile nel diritto tributario. Il caso concreto riguardava la qualificazione del reddito dei segretari generali comunali derivanti dall'esercizio dell'attività di levata dei protesti cambiari. Secondo l'A.F. tali redditi erano assimilabili a quelli di lavoro dipendente in quanto ritenuti attività e compensi percepiti a carico di terzi prestatori di lavoro dipendente per incarichi svolti in tale qualità. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 274/86, non ha accolto tale tesi, in quanto ha ritenuto che tali redditi rientrassero fra quelli di lavoro autonomo, per cui il segretario comunale può portare in deduzione.le spese effettuate per la produzione di tale reddito. In conseguenza di tale sentenza il ministero ha cambiato indirizzo qualificando i predetti redditi come da lavoro autonomo, con la conseguente necessità per gli stessi di munirsi di partita IVA. Casi del genere generano la necessità di tutela del contribuente che si trova nella situazione di evasore senza colpa in quanto si è limitato a seguire l'orientamento dell'amministrazione finanziaria: la tutela si trova nel principio della buona fede. Infatti se è vero che la P.A. può mutare l'interpretazione di una norma o allontanarsi dai comportamenti di massima pronunciati, è anche vero che i privati vanno tutelati dal principio della buona fede se in base alla prima interpretazione hanno posto in essere i conseguenti comportamenti. Ci si è chiesto anche se il contribuente che si è adeguato alla prima interpretazione, una volta revocata la circolare stessa, possaessereconsiderato evasore, tenuto conto che, in certi casi, è stato costretto a adottare una soluzione piuttosto che un'altra che gli avrebbe consentito di ottenere un risultato più favorevole. La soluzione trovata è quella di ritenere la nuova interpretazione di valore innovativo. Esiste sempre comunque un obbligo di correttezza da parte della P.A. che è fissato dal principio di buon andamento di cui all'art.97 della costituzione e che si traduce anche nel dovere di buona fede per cui l'amministrazione non può pretendere dal cittadino comportamenti diversi da quelli che essa stessa ha determinato. 30- GIUDICE TRIBUTARIO E ORDINAMENTO COMUNITARIO La crescente importanza dell'ordinamento comunitario fa sì che sempre più spesso il giudice italiano si trovi a doverne applicare le norme e in particolar modo nella materia tributaria. Può affermarsi tranquillamente che nei rapporti tra Corte Cost. Italiana e Corte dGiustizia dell'U.E.: le questioni fiscali sono state spesso l'occasione per formulare principi anche di portata più generale. Il trattato di Roma fissa le regole volte per lo più a garantire la neutralità degli scambi tra i paesi membri, ma le disposizioni comunitarie tributarie sono passate ad una fase di integrazione con l'obiettivo di avvicinare sempre più le legislazioni interne tra loro. Di certo i Regolamenti sono atti di portata generale obbligatori in tutti i loro elementi e applicabili con efficacia diretta in tutti gli stati membri e sono in grado di attribuire ai cittadini diritti tutelabili davanti ai giudizi nazionali. Ma lo strumento comunitario più usato rimangono comunque le Direttive che vincolano lo stato membro cui sono rivolte per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi interni nazionali in merito alla forma e ai mezzi. Le direttive, pur essendo vincolanti, necessitano di un'apposita legge nazionale che neconsental'applicazione ma, secondo una giurisprudenza della C.d G. dell'U.E., sn ank'esse da consideraredirettamente applicabili e vincolanti.Infatti già cn la sent. 170/84 era stata stabilita l'applicazione immediata d regolamenti cn l'obbligod disapplicare le disposizioni interne incompatibili cn essi; ma poi cn la sent. 113/85 e la sent.39/89 il principio d diretta applicazione si è esteso anke alle statuizioni risultanti dalle sentenzeinterpretative della corte di giustizia e infine anche alle direttive comunitarie cn la sent. 64/90 e cnla sent. 168/91: cn qst'ultima la corte Cost. ha rilevato ke x stabilire l'immediata applicabilità delle direttive si deve fare riferimento alla giurisprudenza della C.d.G. dell'U.E. la giurisprudenza oggiriconosce la categoria delle direttive self-executing cioè ke nn necessitano d alcun provvedimentoattuativo. In particolare sn tali x la C.d. G. le direttive le cui

Disposizioni sono così particolareggiate da escludere qualsiasi discrezionalità da parte degli stati membri, a prescindere dal precetto contenuto. In ultimo la C.d.G. dell'U.E. ha affermato che tutte le amministrazioni nazionali hanno l'obbligo di applicare le disposizioni di una direttiva ovviamente comunque sulla base della sussistenza di alcuni presupposti ritenuti necessari:

  1. La prescrizione deve essere incondizionata = nessuna discrezionalità agli stati membri
  2. La prescrizione deve essere sufficientemente precisa = determinata con compiutezza
  3. Lo stato destinatario della direttiva deve risultare inadempiente per non aver dato attuazione alla stessa direttiva.

Qualora sussistano questi 3 presupposti sostanziali, il contribuente può opporre all'Amministrazione Finanziaria la diretta applicabilità della norma comunitaria contenuta nella direttiva e il giudice adito in sede di contenzioso è tenuto a disapplicare la norma interna confliggente eventualmente dichiarando la non debenza dell'imposta.

E' evidente che spetta al giudice decidere in questo caso. D'altra parte, già in passato le commissioni tributarie hanno affrontato il problema della diretta applicabilità delle norme comunitarie. Ad esempio, per quanto riguarda la questione di applicabilità delle norme di cui alla direttiva 335/69: si prende atto che la normativa italiana prevede l'assoggettamento dei conferimenti in società di capitale all'imposta di registro ad aliquota differenziata a seconda della natura dei conferimenti, mentre la direttiva prevede una sola aliquota dello 0,05%. Si constata che le disposizioni comunitarie sono di diretta applicabilità e che il giudice può disapplicare quelle interne direttamente; non si rinvia la questione alla Corte Costituzionale, ma si conclude per l'applicazione diretta degli articoli 4 e 7 della direttiva, quindi si ordina all'ufficio di disapplicare gli articoli della normativa italiana in contrasto e di procedere alla liquidazione dell'imposta.

registro cn aliquota dello 0,05% restituendo le maggiori imposte.

In concreto xò qual è il procedimento ermeneutico cui è chiamato il giudice interno?

In tal senso lagiurisprudenza della corte Cost. nn è stata molto precisa. La dottrina ha invece chiarito che-

Nn applicazione = piano ermeneutico interpretativo cn cui si giunge alla inapplicabilità dellesingola norma ke disciplina il caso corrente-

Disapplicazione = potere d nn applicare ad 1 singola fattispecie 1 atto ke x altre fattispeciee altri effetti resta valido ed efficace

In ultimo si è poi affermata l’illegittimità delle norme interne in contrasto cn quelle comunitarie enn più in base alla gerarchia tra le fonti ma sulla base del fatto ke una di esse è assistita dallaregola della prevalenza pratica.

Se dal p.d.v. degli effetti pratici nn c’è differenza, i punti d partenza nn sn uguali xkè mentre x lacorte comunitaria il diritto comunitario

prevale su quello interno (cn cui si integra) x propria forza;x la corte cost. le norme comunitarie restano estranee al sistema d fonti interne e il giudiceitaliano nell'applicarle agisce da giu

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Publisher
A.A. 2008-2009
26 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/12 Diritto tributario

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Chiakka87 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto Tributario e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università Cattolica del "Sacro Cuore" o del prof De Mita Enrico.