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B. SISTEMA SANZIONATORIO PENALE-TRIBUTARIO
Le sanzioni penali-tributarie sono comminate dalle autorità giudiziarie,
da un giudice, dalla magistratura, e si basano su delitti e contravvenzioni,
che sono misure restrittive della libertà personale. È prevista la reclusione.
Sono comminate per condotte estremamente gravi.
Le sanzioni penali-tributarie sono contenute nel decreto legislativo 74/2000 che
contiene una serie di delitti. Alcuni di questi sono reati dichiarativi, altri relativi
a versamenti. L’elemento soggettivo è sempre il dolo specifico, cioè la
cosciente volontà di sottrarsi al pagamento delle imposte. I reati dichiarativi
sono:
1. dichiarazione fraudolenta: è punito con la reclusione da un anno e
6 mesi a 6 anni chiunque al fine di evadere le imposte indichi elementi
passivi fittizi (es: fatture per operazioni inesistenti al fine di abbattere il
reddito). In una società, è il legale rappresentante che risponde del reato;
2. dichiarazione infedele: è punito con la reclusione da uno a 3 anni
chi al fine di evadere le imposte dichiara un reddito inferiore a quello
effettivo, senza l’utilizzo di documenti per operazioni inesistenti.
Occorre che l’imposta evasa sia superiore a 50.000€ e la base imponibile
sia superiore a 2.000.000€;
3. dichiarazione omessa: è punito con la reclusione da uno a 3 anni chi
al fine di evadere le imposte non presenta la dichiarazione se l’imposta
evasa è superiore a 30.000€.
I reati legati all’omissione di versamenti sono:
1. omesso versamento ritenute certificate: è punito con la reclusione
da 6 mesi a 2 anni il sostituto di imposta che non versi le ritenute al
sostituito se il loro ammontare è superiore a 50.000€;
2. omesso versamento dell’IVA: è punito con la reclusione da 6 mesi a
2 anni chi non versa l’IVA quando l’importo dovuto è superiore a 50.000€
per ciascun anno;
3. indebita compensazione di imposte: è punito con la reclusione da 6
mesi a 2 anni chi compensa in modo indebito debiti tributari con crediti
inesistenti.
A questi reati si aggiunge il reato della sottrazione fraudolenta al
pagamento delle imposte: è punito con la reclusione da 6 mesi a 4 anni
chiunque al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte alieni simulatamente o
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compia atti fraudolenti idonei a rendere inefficace la procedura di riscossione
coattiva.
C. CONTENZIOSO TRIBUTARIO
Ci sono atti officiosi che si consolidano se non sono impugnati, come la cartella
di pagamento, l’avviso di accertamento e l’atto di irrogazione delle sanzioni.
Questi atti si impugnano proponendo ricorso e/o reclamo e sono impugnabili
entro 60 giorni dalla loro notifica al contribuente.
Il reclamo è l’atto del contribuente che introduce il processo tributario
dinnanzi alle commissioni tributarie. Il sistema contenzioso tributario è
strutturato su 3 gradi di giudizio:
1. Commissioni tributarie provinciali: sono i primi ad analizzare il
reclamo ed emettono ordinanze e sentenze;
2. Commissioni tributarie regionali: sono i giudici di secondo grado (di
appello) ai quali si rivolge chi perde in primo grado. Anch’esse emettono
ordinanze e sentenze;
3. Corte di Cassazione: è il giudice supremo che si preoccupa solo di
questioni di diritto, cioè non può analizzare casi concreti, non può
entrare nel merito, nell’atto. Una sezione della Cassazione è solo
tributaria.
I giudici delle Commissioni tributarie provinciali e regionali non devono essere
necessariamente togati, dei magistrati.
Il ricorso deve contenere:
• l’indicazione della commissione tributaria adita, cioè che deve
pronunciarsi;
• il nome del ricorrente o del legale rappresentante se si tratta di
società e i suoi dati anagrafici;
• l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate contro cui si pronuncia il ricorso;
• l’atto di cui si chiede l’annullamento;
• i motivi del ricorso sulla base dei quali si chiede l’annullamento
dell’atto. Il ricorso delimita l’oggetto del contendere, cioè il giudice è
chiamato a pronunciarsi sulla base dei motivi del ricorso e non altri. I vizi
del ricorso sono validi in tutti i giudizi, non possono essere aggiunti altri
motivi se non nel termine dei 60 giorni;
• la firma del contribuente o del suo difensore se è stato nominato. Il
difensore è obbligatorio se il valore della causa è superiore a
2.500€ e può essere un commercialista, un agronomo (perito agrario)
o un avvocato.
Se il ricorso non contiene uno di questi elementi, la Commissione tributaria
dichiara inammissibile il ricorso.
Il ricorso va presentato presso l’ufficio accertatore a mano o si incarica un
ufficiale giudiziario a effettuare la notifica all’Agenzia delle Entrate. Il
contribuente ha poi l’onere di depositare presso la Commissione
tributaria provinciale il ricorso nei 30 giorni successivi alla sua
presentazione. Questa è la fase della costituzione in giudizio. Il ricorso è
inammissibile se vengono superati i 30 giorni. Il ricorso viene esaminato dal
presidente della Commissione tributaria affinché siano rilevati d’ufficio
eventuali vizi di inammissibilità. Se dovesse riscontrare un vizio, il
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presidente emette un’ordinanza con la quale dichiara l’inammissibilità del
ricorso.
Il presidente assegna il ricorso ad una sezione, formata da 5 giudici, della
Commissione tributaria: l’assegnazione avviene sulla base dei carichi di lavoro
e delle competenze dei giudici delle sezioni. All’interno c’è un presidente di
sezione che fissa il calendario dei dibattimenti e il collegio giudicante,
formato da 3 giudici dei 5 che analizzeranno la questione. La discussione
della controversia può avvenire in camera di consiglio (a porte chiuse) o in
pubblica udienza (a porte aperte) se il contribuente la richiede. La
discussione in pubblica udienza avviene soprattutto nel caso in cui il
contribuente sia difeso da un difensore. In ogni caso, il giudizio della
commissione è un giudizio documentale, che si basa sui documenti prodotti
dalle parti. La prova testimoniale non è ammessa nel processo tributario.
Tra la presentazione del ricorso e l’udienza passano dai 3 mesi ai 2 anni.
Dall’udienza al deposito della sentenza nella segreteria della commissione
passano giorni, settimane, anni.
Per le controversie con valore non superiore a 20.000€ prima di
presentare ricorso il contribuente ha l’onere entro 60 giorni dalla notifica
dell’atto di presentare reclamo all’Agenzia delle Entrate che contenga una
richiesta di annullamento totale o una proposta di mediazione. Entro 90
giorni dalla presentazione del reclamo le parti devono raggiungere un
accordo poiché se non lo fanno il reclamo si trasforma in ricorso. Il reclamo è
stato introdotto solo un anno e mezzo fa.
Il dispositivo della sentenza di Commissione tributaria provinciale è comunicato
alle parti. La parte soccombente che ritiene che la sentenza non rispetti i
termini di legge può proporre appello entro 6 mesi (termine lungo) dalla
comunicazione del dispositivo della sentenza oppure entro 30 giorni
(termine breve) dal momento in cui una parte notifica all’altra la
sentenza. Questi termini sono differiti di 45 giorni tra l’1 agosto e il 15
settembre. La sentenza dispone chi ha ragione e chi ha torto e chi paga le
spese processuali, che normalmente rimangono sulla parte soccombente.
Se l’appellante non chiede la censura della sentenza con riferimento ad uno o
più punti, quei punti si consolidano, diventano inoppugnabili. L’appellante deve
proporre tutti i motivi del ricorso altrimenti non può più proporli.
La Commissione tributaria regionale funziona come quella provinciale. Contro
le sentenze di Commissione tributaria regionale è ammesso ricorso in
Cassazione solo per le questioni di diritto. La Cassazione decide o rigetta il
ricorso se la sentenza è in violazione della legge.
Gli strumenti deflattivi del contenzioso fanno sì che le parti sono tentate a
raggiungere un accordo e tali strumenti sono:
1. accertamento con adesione: il contribuente che riceve un avviso di
accertamento può proporre un’istanza per definire il contenuto di tale
avviso e il termine di preposizione del ricorso (60 giorni) è sospeso di
ulteriori 90 giorni. In questi 150 giorni l’Agenzia e il contribuente devono
trovare un accordo. Se le parti trovano un accordo, la sanzione del
contribuente è pari ad 1/3 del minimo di quello definito dal
contribuente. Le parti potrebbero però non accordarsi;
2. conciliazione giudiziale: fino alla data dell’udienza è esperibile la
conciliazione giudiziale, le parti possono trovare un accordo e si
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presentano in udienza chiedendo al giudice di notificare l’accordo. Le
sanzioni sono ridotte al 40% del minimo.
IRPEF
Il presupposto dell’IRPEF è il possesso di redditi, in denaro o in natura,
rientranti nelle categorie di cui all’art. 6 TUIR. “Possesso” significa che il reddito
è riferibile a un bene o a un’attività del soggetto passivo, indica la relazione tra
il soggetto passivo e il reddito collegato al bene o all’attività. “Natura” significa
che qualsiasi bene può essere manifestazione di reddito.
Non esiste un’unica definizione di reddito ma esistono alcune categorie di
reddito. Le regalie non sono reddito, che deriva solo da un’attività o da un
bene. Il risarcimento per danni emergenti non è reddito.
Per ogni categoria di reddito ci sono regole di determinazione della base
imponibile diverse e il processo di qualificazione della fattispecie è
diverso: il contribuente deve qualificare il reddito percepito.
I soggetti passivi dell’IRPEF sono persone fisiche (art. 2 TUIR), residenti e
non residenti nel territorio dello Stato (art. 3 TUIR): per i residenti in Italia la
base imponibile è determinata da tutti i redditi ovunque realizzati, per i non
residenti dai soli redditi realizzati in Italia. Un soggetto per essere considerato
residente, per la maggior parte del periodo di imposta, deve possedere anche
uno solo di questi requisiti:
• iscrizione all’anagrafe della popolazione residente in Italia: è
quella sulla base della quale viene rilasciata la carta di identità. I Comuni
hanno un’anagrafe della popolazione residente e l’AIRE, che è
l’anagrafe della popolazione italiana residente all’estero;
• residenza ai sensi del codice civile in Italia (art. 43 cc): è la di