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-IVA:
L’imposta sul valore aggiunto tassa il consumo, essa viene
prelevata ogni qual volta si consuma economicamente qualcosa.
L’onere economico viene quindi sostenuto dai consumatori e non
dai soliti soggetti passivi.
L’iva si basa su due principi: la riserva di legge e la capacità
contributiva (sulla base del consumo), questo secondo un’analisi su
base costituzionale.
L’iva tuttavia ha un elemento aggiuntivo, è di origine comunitario;
la norma comunitaria è nata con lo scopo di avere una legificazione
unitaria al fine di far circolare liberamente le risorse e di base non
discriminatoria, ossia ogni cittadino dell’unione europea viene
trattato ugualmente in ogni stato dell’unione in quanto parte di
quest’ultima.
Una cosa in particolare circa la libera circolazione di beni e servizi
riguarda l’imposta sui consumi.
Tuttavia le varie differenze tra le diverse imposte sui consumi
all’interno dell’unione europea comporta distorsioni concorrenziali ai
confini di suddetti paesi, l’unione europea lavora al fine di ridurre al
minimo queste distorsioni, anche quelle sociali.
Per operare in tal senso l’unione europea necessita di fondi
monetari, i quali sono in parte rimpinguati dalle imposte sui
consumi, circa il 2% dell’iva viene destinato all’unione europea.
L’imposta sul valore aggiunto è una direttiva dell’unione, come tale
necessita di essere recepita dagli stati membri e viene tradotta nei
rispettivi ordinamenti, in caso di controversie o disallineamenti
rispetto a quanto previsto dall’unione prevale il diritto dell’unione a
meno che non disponga diversamente la corte di giustizia
dell’unione europea. La sua natura comunitaria fa sì che ci siano
perennemente tensioni circa l’applicazione dell’iva.
Ricapitolando:
1) L’iva è un’imposta sui consumi
2) Chi sopporta l’onere è il consumatore
3) È una norma di origine europea, con normative sia unitarie e
europee
4) Una quota parte dell’iva è destinata all’unione europea
Occorre innanzitutto chiedersi cos’è il consumo, l’iva non è tanto
un’imposta sul consumo quanto un’imposta sulla spesa; tale
imposta non fa distinzione tra i diversi redditi percepiti, ma colpisce
indiscriminatamente tutti i consumatori.
Si può tuttavia considerare un’imposta solo ideologicamente non
corretta, poiché viene prelevata con lo scopo di essere in parte
redistribuita sotto forma di incentivi da parte dello stato.
Sul piano normativo l’iva opera su due piani, uno comunitario, sulla
base della direttiva 2006/112 e a livello nazionale Dpr m. 633/1972.
Come dispone tale decreto l’iva si applica sulla cessione di beni e
prestazioni di servizi e questo rappresenta il presupposto oggettivo;
il presupposto soggettivo ossia vengono tassate i beni e i servizi
offerti dalle imprese o chi esercita un’attività professionale; il terzo
presupposto è che la cessione deve verificarsi sul territorio dello
stato.
Perché vi sia l’applicazione dell’imposta devono essere soddisfatti
tutti e tre i presupposti.
La norma comunitaria è differente da quella nazionale e pone enfasi
sull’attività economica, mentre quella nazionale pone enfasi sulla
condizione giuridica di imprenditore o professionista, questa
differenza è dovuta al fatto che la normativa dell’unione europea
comunica a paesi diversi con ordinamenti diversi.
Per l’oggetto dell’iva, la normativa comunitaria dispone che sono
beni tutti gli oggetti tangibili, il resto per esclusione e attraverso
alcune specifiche disposizioni è considerato un servizio.
Ad esempio per la somministrazione di cibi e bevande in un
ristorante il legislatore considera quanto costa l’elemento umano
speso per offrire quel servizi, se quindi il costo sostenuto è
particolarmente incidente tale prestazione viene considerata un
servizio e vi si applica un’aliquota iva ridotta, in caso contrario
viene considerata una cessione di beni e si applica l’iva ordinaria.
L’iva è inoltre un’imposta multifase, ossia viene applicata ad ogni
fase della produzione e tassa il corrispettivo, ossia prezzo, anziché il
costo di produzione, per questo ha incidenza nello stato di consumo
e non di produzione.
Il terzo presupposto dell’iva, infatti, è la territorialità, ossia
indipendentemente dal luogo o stato di residenza l’iva viene
percepita dallo stato nello stato in cui è consumata, diverso
discorso è per i servizi digitali, ossia alcuni servizi consumati in
Italia ma che fanno capo a luoghi fisici esteri: l’iva è percepita dallo
stato a cui fanno riferimento i dati di fatturazione utilizzati dal
consumatore durante il consumo del servizio e non tanto dove egli
risiede fisicamente durante l’acquisizione del servizio.
Un’altra differenza dell’iva rispetto alle altre imposte è che
quest’ultima non si riferisce ad un periodo d’imposta ma ad ogni
singola operazione economica e successivamente liquidata da
determinati soggetti passivi in un determinato periodo dell’anno.
Altre operazioni tassate dall’iva sono le importazioni da chiunque
effettuate, indipendentemente che sia un soggetto passivo oppure
no. A seguito di una direttiva europea e il conseguente Di 33/1993
di recepimento della direttiva nel sistema legislativo italiano
vengono rimosse le barriere doganali; occorre quindi fare
distinzione tra beni provenienti al di fuori della comunità, i quali
sono considerati importazioni quindi tassate, il bene importato e
non dichiarato è soggetto a confisca ed eventualmente a
distruzione; le esportazioni non sono tassate.
I beni prodotti e venduta all’interno dell’unione europea sono
considerati intracomuntari.
L’iva è un’imposta regressiva qualora confrontata con i redditi delle
persone, o, per così dire, socialmente ingiusta, poiché ha un peso
diverso per redditi diversi; il legislatore ha tentato di risolvere
parzialmente il problema rimuovendo l’imposizione su determinati
beni o servizi socialmente utili come l’istruzione e le spese mediche;
così come l’applicazione di aliquote diverse su consumi diversi, ad
esempio per i beni alimentari l’aliquota è ridotta.
Tuttavia il fatto che alcuni beni e servizi sono esenti da iva non è un
bene, poiché per chi offre il servizio o vende il bene l’iva è
considerata una partita patrimoniale in circolazione a carico, in
fondo alla filiale produttiva, del consumatore, se quest’ultimo è
esente da iva l’azienda non è in grado di detrarre l’iva.
-Ires:
Si tratta di quella categoria che riflette i redditi prodotti dalle
imprese e dalle società, occorre quindi innanzitutto chiedersi
quand’è che un reddito è riconducibile ad un’impresa.
Il codice civile definisce l’imprenditore come colui che svolge
professionalmente un’attività organizzata allo scopo di produrre
ricchezza, in primis devo quindi distinguere l’attività d’imprenditore
da altre attività soggette a redditi diversi.
Una possibile sovrapposizioni interpretativa con l’attività d’impresa
può essere il lavoro autonomo o libera professione, in quanto
entrambi non derivano da un rapporto di subordinazione, si
differenzia per l’impiego di risorse in quanto non si basa sull’utilizzo
di particolari beni strumentali quanto l’utilizzo dell’intelletto.
Il TUIR definisce il reddito d’impresa come: reddito prodotto
nell’esercizio di imprese commerciali o comunque derivanti da altre
attività indicate all’art.55, comma 2 TUIR (in forme giuridiche non
rientranti tra i soggetti IRES, ad esempio: impresa individuale o
società di persone); in ogni caso mi affido all’art. 2195 del codice
civile; per il resto si rinvia alle disposizioni in materia IRES.
Quindi, i principi disposti per la determinazione dei redditi da
attività d’impresa delle persone fisiche sono utilizzate con certi
adattamenti per le persone giuridiche, tuttavia vi sono norme
specifiche non adattabili alle persone giuridiche che richiedono
norme specifiche proprie delle società.
Ad esempio la fusione, possibile per le società ma non altrettanto
possibile per le persone fisiche.
I soggetti passivi dell’Ires non sono tutte le società, vi sono alcune
società, quelle prive di personalità giuridica, tipicamente le società
di persone o società trasparenti, nelle quali, come dispone l’art.5, il
reddito viene determinato autonomamente come reddito societario
tuttavia ricondotto al singolo socio e tassato come reddito di
persona fisica.
L’art.73, definisce i soggetti passivi:
Società di capitali residenti
Società cooperative e di mutua assicurazione residenti
Enti commerciali residenti, ad esempio un consorzio
Enti non commerciali residenti, ad esempio un ente pubblico
che produce e vende qualcosa per finalità benefiche
Società ed enti di ogni tipo non residenti, tutti i soggetti esteri
che producono reddito sul territorio dello stato
L’aliquota proporzionale è il 24% (prima 27,5%, ridotta a24% con la
legge di stabilità del 2016) ed è dovuta per periodi d’imposta, a
ciascuno dei quali corrisponde un’obbligazione tributaria autonoma;
il periodo d’imposta coincide con l’esercizio sociale o periodo di
gestione della società o ente.
In altri paesi l’aliquota è minore, ad esempio nel Regno Unito è il
19%, con possibile riduzione nei prossimi anni.
Per questi soggetti passivi il periodo d’imposta non è l’anno solare
ma l’anno di bilancio, conteggiato a partire da quando previsto
nell’atto costitutivo.
Si considerano residenti nel territorio dello stato le società o gli enti
che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno: la sede
legale o la sede amministrativa o l’oggetto principale nel territorio
dello stato.
La sede legale è indicata sullo statuto, è un elemento formale e
corrisponde all’iscrizione all’analisi per le persone fisiche.
La sede dell’amministrazione è il luogo dal quale provengono gli
impulsi direzionali inerenti all’attività di gestione, corrisponde
sostanzialmente al domicilio delle persone fisiche.
L’oggetto principale è l’attività concreta e fattuale necessaria al
co