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LA CARICA DI PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale. Egli è eletto per
7 anni dal Parlamento in seduta comune e integrato dai rappresentati delle Regioni. Può essere
eletto Presidente qualsiasi cittadino italiano che abbia compiuto 50 anni e che possegga i diritti
civili e politici. Per l’elezione occorre per le prime tre votazioni la maggioranza dei due terzi
dell’assemblea, dopodiché è sufficiente la maggioranza assoluta.
Il Presidente della Repubblica non è a capo di nessuno dei poteri dello Stato, ma è il simbolo del
“concentrarsi” dello Stato in un'unica persona che lo rappresenta ovunque, in tutte le circostanze in
cui sia necessario.
Come si è detto al Parlamento in seduta comune vengono integrati rappresentati delle Regioni, più
precisamente 3 per ogni Regione (scelti dal Consiglio Regionale), volti ad assicurare la
rappresentanza delle minoranze.
Prima di assumer le funzioni il Presidente eletto presta giuramento di fedeltà alla Repubblica e di
osservanza alla Costituzione; con il giuramento si enunciano anche i fondamentali doveri del
Presidente la cui trasgressione dà luogo ai reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione.
La Costituzione prevede che il Presidente non sia responsabile degli atti compiuti nell’esercizio
delle sue funzioni. Tale irresponsabilità va collegata al fatto che la responsabilità degli atti è assunta
tramite la cosiddetta controfirma dei ministri che gli propongono.
In caso di impedimento temporaneo le funzioni del Presidente della Repubblica sono assunte da
quello del Senato. Terminati i 7 anni di carica, 30 giorni prima della scadenza sono indette le
elezioni del nuovo Presidente. Il Presidente uscente è rieleggibile, caso che non si è mai verificato, e
una volta cessata la carica prende la qualifica di senatore a vita, salvo sua rinuncia.
IL PRESIDENTE E I POTERI DELLO STATO
Se si prendesse alla lettera la Costituzione, il Presidente della Repubblica è un autentico capo dello
Stato per i poteri a lui attribuiti.
Ad esempio, per quanto riguarda gli atti normativi, il Presidente da una parte promulga le leggi e
può chiedere alle Camere una nuova deliberazione, dall’altra emana i decreti aventi valore di legge,
emana i regolamenti e indice referendum chiesti dal popolo. Influisce sullo stesso Parlamento, non
solo nominando 5 senatori a vita ma indicendo le elezioni e fissando la prima riunione delle
Camere.
Per quanto riguarda la funzione di governo e di pubblica amministrazione il Presidente nomina il
Presidente del Consiglio e i ministri. Nei rapporti internazionali ratifica i trattati, riceve i
rappresentati di altri Stati. Ha il comando delle forze armate, dichiara lo stato di guerra deliberato
dalle Camere.
Perfino sulla funzione giurisdizionale il Presidente della Repubblica sembra esercitare dei poteri:
presiede il Consiglio Superiore della Magistratura e nomina un terzo dei giudici della Corte
costituzionale, inoltre egli può in casi singoli concedere la grazia o commutare le pene.
È certo che, tuttavia, il Presidente della Repubblica è estrano all’esercizio di tutti e tre i massimi
poteri dello Stato. Il fatto che molti poteri sopra descritti sono propri del Governo; il Presidente
della Repubblica si limita ad emanare l’atto, senza poter incidere sulle decisioni del Governo.
LE FUNZIONI E IL RUOLO DEL PRESIDENTE
Secondo Costituzione il Presidente della Repubblica può, sentiti i rispettivi Presidenti, sciogliere
anticipatamente le Camere o solo una di esse. Questo potere non può essere esercitato negli ultimi 6
mesi del suo mandato (semestre bianco) e se non in presenza di particolari circostanze quali
l’impossibilità da parte del Parlamento di esprimere una maggioranza di governo oppure quando si
verifica una paralisi dell’attività legislativa dovuta ad un radicale contrasto tra le due Camere. Si
discute se esso sia un vero potere del Presidente, comunque molti pensano che nella decisione di
scioglimento delle Camere oltre al Presidente debba concordare anche il Governo.
Sempre secondo Costituzione il Presidente della Repubblica prima di promulgare la legge, può con
messaggio motivato alle Camere richiedere una nuova deliberazione. Tuttavia se le Camere
approvano nuovamente la legge questa deve essere promulgata. Questo potere è detto voto
sospensivo. Il Presidente non può ovviamente rinviare una legge per una ragione qualunque, lo fa
quando ritiene che essa contrasti con la Costituzione; ma anche nel merito il Presidente può
chiedere una nuova deliberazione nella quale, per esempio, si tengano conto di aspetti di interesse
generale finora trascurati. In ogni modo i Presidenti hanno usato il potere di rinvio con molta
discrezione.
Al Presidente spetta la nomina di 5 senatori a vita da nominarsi tra coloro che hanno illustrato la
Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario; e la nomina di 5
giudici della Corte costituzionale.
Il Capo di Stato presiede il Consiglio Superiore della Magistratura, volto ad assicurare il prestigio e
l’autonomia dell’organo di governo dei giudici ordinari.
Infine sono ancora da riferire al Presidente la presidenza del Consiglio supremo di difesa e il potere
di conferire onorificenze, di concedere le grazie e commutare le pene.
Quindi il Presidente della Repubblica non è a capo di nessuno dei poteri statali e di conseguenza
non ne è nemmeno responsabile. Non si può dire che la sua funzione sia solamente rappresentativa
o cerimoniale; infatti, dispone di molti poteri effettivi al fine di agire come meccanismo di garanzia
del funzionamento delle istituzioni cui compete la guida dello Stato.
CAP. 17 - LE FONTI COSTITUZIONALI
LA COSTITUZIONE COME ATTO NORMATIVO
Si deve affermare, in primo luogo, che la Costituzione è un vero atto normativo e le sue
disposizioni hanno pieno effetto cioè sono in grado di produrre e modificare altre regole, vincoli,
situazioni giuridiche. Naturalmente le disposizioni costituzionali valgono per ciò che dicono. La
Costituzione italiana ha un carattere rigido nel senso che essa non può essere modificata attraverso
un procedimento legislativo ordinario ma soltanto attraverso un procedimento “costituzionale”
molto più gravoso. Dunque la Costituzione è fonte del diritto, anzi la massima delle fonti
dell’ordinamento italiano. La Costituzione ha caratteri alquanto particolari se paragonata alle altre
fonti del diritto: è un atto storicamente individuato, e come tale non ripetibile; difatti non ci sono,
nell’ordinamento, diversi atti denominati “Costituzione”.
La Costituzione e il relativo procedimento costituente sono dunque atti e avvenimenti storicamente
determinati come criterio ultimo di legittimazione dell’ordinamento, e non una fonte stabilmente
operante in esso. Operanti nell’ordinamento giuridico invece sono la legge costituzionale o la legge
di revisione costituzionale.
LA LEGGE COSTITUZIONALE E DI REVISIONE COSTITUZIONALE
Dato il carattere rigido della Costituzione, non esiste legge ordinaria che possa modificare o
comunque contrastare con essa; e se le contenesse tali norme, sarebbero illegittime e perciò possono
essere eliminate dalla Corte Costituzionale. Tuttavia la stessa Costituzione prevede che le proprie
disposizioni possano essere modificate attraverso un procedimento più complicato di quello
ordinario. S’individua così una fonte chiamata legge di revisione costituzionale. Più precisamente
l’art. 138 Cost. parla delle “leggi di revisione della Costituzione” e delle “altre leggi
costituzionali”. Le prime sono rivolte a modificare il testo della Costituzione, le seconde seppur
non modifichino il testo hanno ugualmente rango costituzionale e quindi non possono essere
modificate dalla legge ordinaria.
Rispetto al procedimento legislativo ordinario, il procedimento di revisione costituzionale presenta
le seguenti diversità che lo rendono più gravoso e difficile: la legge di revisione deve essere
approvata due volte da ciascuna Camera e tra le due approvazioni devono trascorre almeno 3 mesi,
nella seconda approvazione da parte di ogni Camera si deve ottenere la maggioranza assoluta e
sulla modifica può venir richiesto un referendum (a meno che nella seconda votazione non si
raggiunga la maggioranza dei due terzi). I primi due aggravamenti servono ad assicurare che la
volontà di modificare la Costituzione sia duratura; la necessità della maggioranza assoluta invece
mira ad assicurare una vera maggioranza del Parlamento, e non il frutto dell’assenza di molti
parlamentari. La possibilità di indurre il referendum sospensivo, sull’opportunità della modifica, è
stato introdotto per assicurare una volontà del Parlamento concordante con quella degli elettori. Il
referendum può essere richiesto da 500.000 elettori, o da 5 consigli regionali, o da un quinto dei
componenti di una Camera; e va richiesto entro 3 mesi dalla pubblicazione.
LIMITI ALLA MODIFICA DELLA COSTITUZIONE
Secondo Costituzione uno degli elementi che non possono essere modificati attraverso il
procedimento di revisione costituzionale è la forma di governo, ovvero quella repubblicana. Il
divieto di mutare la forma repubblicana è l’unico limite espresso dalla Costituzione. Tuttavia molti
studiosi individuano limiti impliciti che, anche se non espressamente, non potrebbero essere
modificati: tra essi, ad esempio, il principio dell’unità nazionale e quello della sovranità
popolare, più in generale il carattere democratico dello Stato, il principio di eguaglianza e simili.
CAP. 18 – LE FONTI DELL’UNIONE EUROPEA E LE FONTI
INTERNAZIONALI
PREMESSA
Gli atti normativi dell’Unione europea, in particolare i suoi regolamenti, sono fonti che pur non
essendo proprie dell’ordinamento italiano, producono disposizioni o norme direttamente operanti in
esso; nel senso che sono d’immediata applicazione da parte di chiunque, a prescindere da uno
specifico richiamo di una legge italiana ed almeno, in certe ipotesi persino in presenza di una legge
italiana che dispone diversamente.
LE FONTI DELL’UNIONE EUROPEA
Le norme straniere in genere non trovano applicazione nell’ordinamento italiano, salvo che non vi
siano appositamente richiamate. Anche le regole che stipula lo Stato con un trattato internazionale
non diventano efficaci nell’ordinamento interno se non siano introdotte da un ordine di esecuzione
del trattato contenuto in una legge italiana.
Tuttavia la stessa regola non vale per i regolamenti emanati dall’Unione europea che, al contrario,
acquistano direttamente vigore in Italia (come del resto anche negli