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DEMOCRATICOLIBERALE
3.1 Il finanziamento della spesa pubblica tramite la crescente emissione
monetaria (1965-1972)
Dalla metà degli anni ’60, i maggiori oneri della finanza pubblica
allargata sono stabilmente trasferiti sull’emissione monetaria. Dal 1965 fino agli
anni ’90, l’inflazione non scende mai sotto il5% annuo. Cresce la pressione del
Governo sulla Banca d’Italia per sopperire, con l’emissione monetaria, al fabbisogno
di cassa del Tesoro.
3.2 Violazione del divieto costituzionale del finanziamento del bilancio
con ricorso all’indebitamento
Sul precario equilibrio della finanza pubblica si abbatte la crisi del sistema monetario
internazionale di Bretton Woods, con l’abbandono, da parte degli USA, del Gold
Standard; la crisi del dollaro e la fluttuazione del mercato monetario che ne consegue,
unita ad uno stabile innalzamento dei prezzi del petrolio, provoca una recessione
dell’economia mondiale. In questo quadro, il ricorso all’indebitamento sul
mercato finanziario finisce per apparire un passaggio obbligato per contenere
l’emissione monetaria e il tasso di inflazione; finanziando il crescente fabbisogno
con l’emissione di titoli del debito pubblico si realizzano immediate
disponibilità di cassa, la cui restituzione è differita nel tempo, con minore impatto
sulla circolazione monetaria e sul tasso di inflazione e con più contenuti effetti
sulla svalutazione della lira. La soluzione è stata avallata con la Sentenza della
Corte Costituzionale n.1/1966, con la quale si riteneva non in contrasto con l’art.81
Costituzione la possibilità di ricorrere nei confronti della copertura dispese future
all’emissione di prestiti e vie enumerando; si legittima così la prassi della copertura
della spesa anche con il ricorso all’indebitamento da parte del Tesoro. Si apre così
una crepa destinata ad ampliarsi: il finanziamento della spesa sarà, negli anni ’80,
gestito con una specie di “Politica dei due forni”, alternando emissione di nuova base
monetaria e emissione di titoli del debito pubblico collocati al pubblico dei
risparmiatori.
4. CRISI DELLA COSTITUZIONE ECONOMICA E DELLA
GOVERNANCEISTITUZIONALE
4.1 Dinamiche della spesa e deresponsabilizzazione finanziaria
La riforma fiscale del 1972, con l’introduzione di IRPEF e IVA, elimina la potestà
impositiva dei Comuni e delle province. Lo scopo principale della riforma era quello
di adeguare il nostro sistema fiscale al modello comunitario, riordinando il sistema
tributario. L’abbandono del principio del pareggio sostanziale tra entrate e spese nel
bilancio dello Stato si accompagna alla nascita della finanza trasferita e alla definitiva
deresponsabilizzazione fiscale di Comuni e Regioni. La mutazione della
finanza locale e della finanza regionale in finanza di trasferimento, infatti,
segna il venire meno del vincolo del principio del pareggio di bilancio a livello
locale. Il bilancio dello Stato viene ad essere snaturato, trasformandosi in uno
strumento di trasferimento di risorse finanziarie, il cui effettivo impiego viene deciso
in altre sedi istituzionali le quali, però, non sono tenute a preoccuparsi del
reperimento delle risorse. La razionalizzazione del nuovo modello di finanza pubblica
si avrà con l’introduzione della Legge finanziaria e del bilancio pluriennale nel 1978;
si perviene così alla rimozione anche del vincolo di trasparenza delle decisioni di
spesa che dovrebbero essere assunte con apposita legge. Così facendo, la legge
finanziaria diventa una specie di legge, allegata al bilancio, con cui si contravviene al
divieto di stabilire in maniera cumulativa nuove entrate e nuove spese, inoltre, con
l’introduzione del bilancio pluriennale si aggira il vincolo dell’annualità del bilancio.
4.2 Accentramento finanziario e competizione dissipativa nell’erogazione della
spesa pubblica
L’accentramento finanziario segna la fine della responsabilizzazione finanziaria di
tutti gli enti pubblici. Questo periodo, infatti, sarà caratterizzato da una
competizione incrementale alla crescita dei trasferimenti finanziari tra i diversi centri
di spesa. I meccanismi adottati dal centro per il contenimento dei trasferimenti
finanziari e della spesa al cd “settore pubblico allargato”, intervengono con la
previsione di tagli lineari e in modo necessariamente indiscriminato; l’effetto
di queste politiche è generalmente negativo: da un lato, il carattere generalizzato dei
tagli obbliga a continue deroghe per consentire lo svolgimento dei servizi essenziali,
dall’altro, il loro carattere indiscriminato finisce con il premiare i centri di erogazione
dispesa più dissipativi.
4.3 Deresponsabilizzazione e crisi dei sistemi decisionali istituzionali
Il Parlamento si trova al punto di confluenza delle richieste di interventi più disparati.
La generale torsione del Paese verso lo “Stato finanziatore” preme su di un sistema
già strutturalmente orientato al legislatore e mette in crisi tempi e modi di
approvazione delle leggi in Parlamento. La soluzione allora adottata fu quella di
trasformare, tramite la modifica dei regolamenti parlamentari del 1971, il
procedimento eccezionale di approvazione della legge ad opera delle
singole commissioni parlamentari previsto dall’art.72 Costituzione, nella procedura
normale di formazione della legge. La scomposizione delle Camere in tante mini
assemblee legislative se da un lato ha conseguito l’obiettivo della accelerazione,
dall’altro ha specializzato l’attività legislativa consentendo agli interessi
settoriali di essere esaminati in un contesto avulso da una visione di insieme,
togliendo alle Camere la responsabilità e il dovere di approvare la legge
all’interno di una complessiva valutazione d’interesse generale.
4.4 Deresponsabilizzazione e crisi dei sistemi decisionali istituzionali ed effetti
collaterali sulla mentalità politica
Il processo di specializzazione dell’attività legislativa e la deresponsabilizzazione
finanziaria hanno prodotto una modifica dell’originaria “mentalità sociale” dello
Stato repubblicano per l’emergere e l’affermarsi di una mentalità politica orientata al
breve periodo, volta a rispondere a contingenti esigenze di carattere settoriale. Tale
mutamento di mentalità si coglie nella modifica del funzionamento delle assemblee
elettive: in Parlamento, la procedura di approvazione delle leggi in commissione è
congegnata in modo da rimettere l’approvazione delle leggi all’aula se un quinto dei
suoi componenti o un decimo dei deputati lo richieda. Questo meccanismo, ideato dal
costituente come limite, ha il risultato opposto in quanto rafforza la posizione di
preminenza della commissione. A differenza delle discussioni in aula, le sedute delle
commissioni non sono pubbliche, inoltre, la prassi di istituire al loro interno dei
comitati ristretti, la cui attività non è riprodotta negli atti parlamentari,
rende il lavoro delle commissione poco trasparente. Inoltre, l’assenza di
una legge che regoli il cd lobbying parlamentare, espone maggiormente
l’attività delle commissioni e i singoli deputati alle pressioni degli interessi di parte,
senza che ci sia una contrapposta pressione a favore dell’interesse generale. Negli
anni ’70, la modifica della mentalità politica non investe solo il Parlamento, bensì
germina anche a livello locale soprattutto riguardo alle modalità di adozione dei piani
regolatori generali e alla gestione dell’urbanistica ad opera dei Consigli Comunali.
Queste modifiche istituzionali e comportamentali che investono le assemblee elettive
del nostro Paese hanno generato conseguenze impreviste e di lungo periodo sulla
mentalità politica, destinate a rafforzarsi e a manifestarsi con maggiore evidenza a
partire dagli anni ’80.
CAP.3: L’AVVENTO DELLA COSTITUZIONE ECONOMICADEMOCRATICO
SOCIALE (1972-1980)
1. FLUTTUAZIONI MONETARIE E RIDUZIONE DEGLI SCAMBI
INTERNAZIONALI
1.1 La flessibilità della politica monetaria
L’abrogazione degli accordi di BW conferisce un imprevisto spazio di
manovra alla politica economica. Negli anni ’80, il cambio della lira tenderà a
seguire il corso del dollaro che però si deprezza rispetto alle altre valute forti (marco
tedesco e yen giapponese).
1.2 Strategie isolazioniste e misure protezionistiche
Le fluttuazioni monetarie introducono un grave elemento di incertezza sulla
convenienza degli scambi commerciali extranazionali. Negli anni ’70 si
registra infatti un ripiegamento verso il mercato interno; nella CE, essendo
ormai aboliti i dazi doganali e liberalizzati gli scambi, il ripiegamento
assume diverse strategie in una guerra commerciale rimessa a misure
aventi apparentemente altre finalità (tutela del consumatore, standard tecnici..).
Queste misure hanno l’effetto di aumentare i costi di commercializzazione
scoraggiando di fatto la libertà di circolazione delle merci. Per evitare che l’unità del
mercato venga compromessa, già a partire dalla seconda metà degli anni ’70, la
Commissione europea e la Corte di Giustizia contrastano la tendenza alla chiusura dei
mercati. La tendenza isolazionista e i processi di deindustrializzazione e le esigenze
di riconversione e ristrutturazione rafforzano le ipotesi interventiste e spingono la
maggior parte dei Paesi comunitari verso politiche Keynesiane di “deficit spending”
per sostenere la domanda interna e la produzione nazionale, con un approccio,
dunque, di tipo socialdemocratico al governo della crisi economica.
2. IL DEFICIT SPENDING E IL SUO FINANZIAMENTO
2.1 La politica dei due forni: emissioni monetarie e indebitamento
Vietata la circolazione dei capitali per motivi diversi dai pagamenti
correnti conseguenti alle transazioni commerciali, vietata altresì la possibilità degli
altri Stati membri di collocare i propri titoli di debito pubblico nei mercati finanziari
dei singoli paesi, il risparmio privato è di fatto alla mercé della regolamentazione
dello Stato nazionale (in Italia è incanalato nel finanziamento della spesa pubblica). Il
risparmio dunque, fino alla liberalizzazione dei movimenti dei capitali del 1990,
rimane una specie di riserva privilegiata per il finanziamento della spesa pubblica.
2.2 L’inagibilità della politica fiscale
La contrazione delle entrate fiscali, che si verifica durante il periodo della politica dei
due forni, è da collegarsi alla riforma del 1972, con la quale il nostro sistema
tributario era stato armonizzato con il sistema comunitario con l’introduzione di
IRPEF e IVA. Questo passaggio provoca una flessione delle entrate tributarie