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Con la sentenza “Cassandro” – 1957 – si ebbe un primo chiarimento circa i criteri per
attribuire alle autorità giurisdizionali la legittimità ad adire la Corte costituzionale. In
tale sentenza venne sollevata una questione nel corso di un procedimento di
omologazione di uno statuto di una società per azioni (la vicenda postulava la
necessità di chiarire se un procedimento di tale natura, ricompreso nella categoria
della “volontaria giurisdizione”, rappresentasse una sede idonea per sollevare
l’incidente di costituzionalità).
La Corte riconobbe piena legittimazione precisando che nessuna legge (né
costituzionale né ordinaria) imponeva di escludere i procedimenti di giurisdizione
volontaria da quelli da cui possa sorgere una questione di legittimità. La ratio di tale
decisione è quella di garantire la massima attuazione “del quadro valoriale della
Costituzione, sì da non lasciare zone franche, esenti dal controllo di legittimità
costituzionale”.
L’accesso alla giustizia costituzionale è legata al requisito:
- c.d. Oggettivo, necessario esercizio di funzioni giurisdizionali da parte dell’organo
remittente
- c.d. Soggettivo, sussistenza di un organo soggettivamente considerato
giurisdizionale
Una sentenza, che ebbe Mortati quale relatore, considerò sufficiente per adire la Corte
anche uno soltanto dei requisiti.
Alla stregua dell’interpretazione adottata, i due requisiti, soggettivo e oggettivo, non
debbono necessariamente concorrere affinché si realizzi il presupposto processuale
richiesto.
In sintesi: “Il preminente interesse pubblico della certezza del diritto, insieme con
l’altro della osservanza della Costituzione, vieta che dalla distinzione tra le varie
categorie di giudizi e processi si traggano conseguenze gravi, quali la vigenza di
norme incostituzionali”.
Può essere ritenuto giudice a quo ogni organo che risulti legittimato a decidere
definitivamente sull’applicazione di una norma, in posizione di terzietà rispetto alle
parti e in contraddittorio con esse.
Affinché un organo – in ambito comunitario – possa reputarsi giurisdizionale è
necessaria la presenza di alcuni requisiti, quali:
- Origine legale e non convenzionale
- Stabilità (il carattere permanente)
- Obbligatorietà della relativa giurisdizione
- Applicazione del diritto
- Indipendenza, terzietà e natura contraddittoria del procedimento
Non esiste coincidenza tra la nozione comunitaria di “giurisdizione”, elaborata dalla
Corte di Giustizia e quella di “autorità giurisdizionale” elaborata dalla Corte
Costituzionale.
Esulano dalla nozione di “giurisdizione” comunitaria: gli arbitri e i tribunali arbitrali,
il Tribunale in sede di volontaria giurisdizione (non essendo, in tale contesto, 25
l’organo adito chiamato a risolvere una controversia), la Corte dei conti
(nell’esercizio di valutazione e controllo).
Diversamente da quanto previsto dalla giurisprudenza costituzionale, hanno natura
giurisdizionale, secondo la giurisprudenza comunitaria: il Consiglio di Stato,
chiamato a rendere il suo parere in sede di ricorso straordinario al Presidente della
Repubblica e le Autorità amministrative indipendenti.
Altro discorso vale per la Corte costituzionale e se è possibile attribuirle natura di
organo giurisdizionale al fine di adire il giudice comunitario. Fino a poco tempo fa la
Consulta si rifiutava di dialogare con la C.G.E., fu nel 2008 che la Corte effettuò il
suo primo rinvio pregiudiziale, mutando la precedente giurisprudenza. Le funzioni
del giudice a quo possono essere assunte anche dalla stessa Corte Costituzionale, che
in caso di dubbio non può essere costretta ad applicare norme non conformi a
Costituzione. Tali impugnative sono possibili nel corso di
- Conflitti di attribuzione
- Giudizi di legittimità costituzionale delle leggi
- Giudizi di accusa del Presidente della Repubblica
- Ammissibilità di referendum
La Corte dei conti ha facoltà di adire la Corte quando esercita funzioni
giurisdizionali, in sede di controllo preventivo sugli atti del Governo, in tal caso la
sua funzione è più assimilabile a quella giurisdizionale che a quella amministrativa.
La Consulta dichiara che le funzioni di controllo esercitate dalla Corte dei conti sono
di controllo esterno, neutrale e disinteressato, volto unicamente a garantire la legalità
degli atti ad essa sottoposti.
Si utilizza la tecnica dei “limitati fini” in quanto si legittima un organo o un’attività
come giurisdizionale limitatamente al fine della proposizione della questione di
legittimità, permettendo di eliminare leggi che, altrimenti, rimarrebbero in vita
nonostante la loro incostituzionalità.
Il potere di adire la Corte costituzionale è negato alla Corte dei conti quando questa
agisce in sede di controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio
delle amministrazioni pubbliche.
Piena legittimazione ad adire la Corte costituzionale è ammessa nel corso dei
procedimenti di volontaria giurisdizione, caratterizzati dall’esercizio di funzioni
giurisdizionali non contenziose. In quanto “ la proponibilità alla Corte di una
questione di legittimità dipende non dalla qualificazione del procedimento in corso,
ma dalla circostanza che il giudice (contenzioso o volontario che sia il processo)
ritenga fondato il dubbio di legittimità costituzionale della legge che egli deve
effettuare”.
Per quanto riguarda gli arbitri:
- Secondo una prima impostazione, gli arbitri non potevano essere considerati
“autorità giurisdizionali” in quanto giudici privati. Quindi in presenza di un dubbio di
legittimità avrebbero dovuto rinunciare all’incarico e rimettere l’intera controversia al
26
giudice ordinario competente
- Secondo una diversa ricostruzione, agli arbitri spetterebbe soltanto la valutazione
sulla rilevanza e non anche quella sulla non manifesta infondatezza, essendo il
giudice privato tenuto a sospendere il giudizio affinché le parti possano proporre
domande al giudice competente. Cambia poco rispetto alla precedente tesi, ma qui il
giudizio sulla rilevanza spetterebbe al collegio arbitrale, la non manifesta
infondatezza al giudice ordinario. Ma questi due momenti, seppur distinti, fanno parte
di un fenomeno unitario
- Una terza interpretazione nega che l’arbitro possa porre questione di legittimità e
riconosce il suo potere a disapplicare la legge sospetta. Ma essendo l’arbitro un
giudice e pertanto soggetto alla legge, egli è obbligato ad applicarla se conforme a
Costituzione
- Secondo altri, invece, all’arbitro spetterebbe applicare la legge comunque, anche se
incostituzionale, il problema sarà poi risolto in un’eventuale impugnazione. Ma
questa tesi non rispetta i principi del giusto processo.
- La teoria maggiormente accreditata è quella che riconosce agli arbitri il potere di
rimettere la questione di legittimità, rilevante e non manifestamente infondata, alla
Corte costituzionale.
A supporto di tale tesi si parifica, ponendola sullo stesso piano, l’attività
giurisdizionale dei giudici togati e quella degli arbitri.
Ogni giudice è obbligato ad applicare la legge se conforme a Costituzione e
l’incidente di costituzionalità risulta essere il rimedio più adeguato per risolvere il
problema qualora non fosse possibile farlo mediante l’interpretazione. Non si pone
come disapplicazione della norma ritenuta incostituzionale quanto come un modo
per adeguarla all’ordinamento in base ai principi costituzionali.
La qualificazione dell’arbitro quale giudice a quo ha ricevuto un esplicito riferimento
normativo quando, a dimostrazione della collaborazione tra Parlamento e Corte
costituzionale, il legislatore ha modificato le disposizione del c.p.c. prevedendo che
gli arbitri sospendano il procedimento arbitrale con ordinanza motivata quando
rimettono alla Corte costituzionale una questione di legittimità.
Con riguardo alle Commissioni tributarie, inizialmente la Corte gli riconobbe natura
giurisdizionale. Successivamente, in un conflitto di attribuzione tra lo Stato e la
regione Sicilia, la Corte precisò che le Commissioni tributarie, pur chiamandosi
comunemente “amministrative” per ragioni storiche e tradizionali, sono organi di
giurisdizione speciale.
Successivamente la Corte mutò tale posizione dichiarando che tutti gli argomenti ad
essa collegabili concorrevano a convalidare la qualifica amministrativa con la quale
la stessa legge definisce tali organi.
La situazione muta nuovamente con un’altra sentenza con la quale si definisce, dopo
alcune riforme che revisionano le Commissioni tributarie, che queste, oltre a doversi
considerare organi speciali di giurisdizione, hanno piena legittimazione ad adire la
Corte costituzionale 27
Con riguardo al Consiglio Superiore della Magistratura, la Corte opera una
distinzione tra tale organo considerato nel suo complesso e la sua Sezione
disciplinare. In riferimento al primo si nega che abbia una struttura di organo
giurisdizionale. Per quanto riguarda la Sezione disciplinare, la Corte costituzionale
reputa che ne sussistano i requisiti. Molti sono gli indici che ne lasciano intendere la
natura giurisdizionale:
- Il procedimento disciplinare si svolge nelle forme e nei modi tipici del processo e
affinché si producano effetti favorevoli all’interessato si necessita di una sentenza,
contro la quale è ammesso ricorso alle Sezioni unite della Cassazione. Ma la portata
del carattere giurisdizionale è riservata ai “limitati fini che qui interessano”.
In relazione al Consiglio Nazionale Forense, la Corte ha affermato che il Consiglio
Nazionale, a differenza dei singoli consigli dell’ordine, svolge una funzione
giurisdizionale per la tutela di un interesse, esterno e superiore a quello dell’interesse
della categoria professionale: il che può trovare conferma nel fatto che contro le
decisioni del Consiglio Nazionale è ammesso il ricorso alle Sezioni Unite della Corte
di Cassazione. Nel controllo di legittimità del provvedimento sanzionatorio si rileva
un potere decisorio e quindi, il carattere giurisdizionale della funzione, esercitata
rendendo ammissibile la proposizione di questioni di costituzionalità delle norme da
applicare.
A differenza di quanto detto con riguardo al Consiglio Nazionale Forense, la Consulta
nega la legittimità ai Consigli degli Ordini degli Avvocati quando davanti ad essi
siano trattati i procedimenti disciplinari nei confronti degli iscritti agli Ordini
medesimi. Tale procedimento è