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Il partenariato pubblico-privato di tipo istituzionalizzato
La figura della società mista, come modalità di gestione di servizi pubblici locali, è stata introdotta nel 1990 con la legge 142/90, perché già molti enti locali, anche in assenza di una previsione normativa specifica, avevano costituito, rifacendosi alla disciplina privatistica del codice civile, alcune società miste per gestire servizi pubblici locali attraverso questi moduli procedimentali. Con la predetta legge 142/90, viene introdotto un modello rigido di società con la previsione di una società a partecipazione pubblica prevalente e, quindi, con capitale sociale detenuto in maggioranza dall'Ente pubblico locale. Le altre forme di gestione dei servizi pubblici locali, erano quelle tradizionali: la gestione in economia e la concessione a terzi (che sino a quel momento era l'unico modello di esternalizzazione dei servizi), nonché le aziende speciali che.andavano a sostituire le ex aziende municipalizzate dei Comuni. Nel 1992 con la legge 498 (art. 12) è stata modificata la legge 142/90 con la previsione di una società a partecipazione pubblica minoritaria. Nei Comuni e nelle Province oggi si sta affermando, sempre più, il modello della società di capitali a discapito dell'azienda speciale che la legge n° 142 del 1990 proponeva quale modello alternativo di gestione dei servizi pubblici a rilevanza imprenditoriale e che, ora, il T.U. n° 267 del 2000 incentiva ad abbandonare. Si pone all'attenzione dell'interprete un problema e cioè quello di considerare se le società miste sono o meno organismi di diritto pubblico, ai sensi del diritto comunitario anche perché spesso la costituzione di una società mista avviene per eludere la normativa in materia di appalti pubblici. Per cercare di dare uniformità all'applicazione del diritto comunitario, si ècreata la nozione di "organismo di diritto pubblico" che è fondata su tre requisiti: 1. deve trattarsi di enti con personalità giuridica; 2. L'ente deve essere istituito per soddisfare specificatamente bisogni di interesse generale senza carattere industriale e commerciale; 3. il controllo dell'ente pubblico sul funzionamento, sulla vita del nuovo soggetto. In mancanza, anche di uno solo di questi elementi, non si può qualificare un ente come ente di diritto pubblico. Il terzo elemento si riscontra in presenza di una di queste tre condizioni, alternativamente: - finanziamento maggioritario dello Stato o di altri Enti pubblici; - essere assoggettato al controllo di Enti pubblici od organismi di diritto pubblico; - avere un organo di amministrazione, di vigilanza, di controllo costituito da soggetti dei quali, più della metà, siano nominati da amministrazioni o enti pubblici. Occorrerà, quindi, verificare, nel concreto, lo statuto ele finalità in esso contenute della società mista, per verificarne se si è in presenza o meno di un "organismo di diritto pubblico". Nel diritto comunitario la Corte di Giustizia Europea ha escluso, infatti, in modo categorico, che una società mista possa considerarsi organismo di diritto pubblico per una parte della propria attività e organismo non di diritto pubblico per un'altra parte.
Con il D.P.R. 533 del 1996 è stata, poi, dettata la disciplina attuativa delle società miste ed è stato previsto espressamente, probabilmente per un difetto di normazione, che la scelta del socio avvenga con evidenza pubblica, con la procedura dell'appalto concorso, solo nella società in cui il capitale appartiene in misura maggioritaria al privato.
La giurisprudenza ha di fatto equiparato tale fattispecie a quella della società mista in cui la maggioranza del capitale sociale appartiene al "pubblico".
stabilendo che, in tutti i casi, il socio privato va sempre scelto con procedura ad evidenza pubblica. Dopo il DPR 533/96 si è avuta la legge n°127/97 (la c.d. "Bassanini-bis") la quale ha introdotto due novità di rilievo, in materia di società miste. Innanzitutto ha statuito la possibilità che il modello societario sia anche quello della società a responsabilità limitata e, non soltanto la società per azioni, come previsto dalla legge 142/90. Poi ha stabilito una novità che andava assolutamente in deroga al codice civile ed è quella del procedimento per la trasformazione delle aziende speciali in società miste: il Comune poteva restare azionista unico della società per un tempo massimo di due anni, anziché di sei mesi. Dopo la legge Bassanini-bis, abbiamo il D.to Leg.vo n° 267/2000 che si limita a rimettere in ordine sistematico tutte le norme che si erano succedute nel tempo in tale materia.materia. È da rilevare che, con riferimento alla composizione del capitale sociale, sono quattro le tipologie di società di capitali possibili per l'ente locale:
- società a capitale interamente pubblico incedibile;
- società a capitale pubblico totalitario e con caratteristiche "in house";
- società mista, con socio privato scelto con gara ad evidenza pubblica;
- società mista con socio privato o soci privati scelti senza gara.
Le prime tre tipologie di società, pur non essendo equiparate alle imprese private, usufruiscono di una posizione di vantaggio nell'affidamento dei servizi.
Le società a capitale interamente pubblico incedibile possono essere affidatarie, qualora la normativa di settore non lo vieti, della proprietà delle reti, degli impianti e delle dotazioni, dietro corresponsione di un canone "a prezzo amministrato".
Le stesse società possono essere affidatarie dirette
il testo fornito è già formattato correttamente utilizzando tag html. Non è necessario apportare ulteriori modifiche.nel nostro ordinamento, esiste dunque un modello delle società miste che non coincide, né con quello ipotizzato dalla Commissione Europea nel "libro verde", né con quello "inhouse" previsto dalla giurisprudenza comunitaria; bensì un modello che, per certi versi, li comprende entrambe:
- da un lato, programmazione, regolazione e monitoraggio da parte della P.A.
- dall'altro gestione da affidare al privato.
Invero, le società miste previste dall'ordinamento interno italiano condividono, con gli organismi "inhouse", la possibilità di essere affidatarie dirette degli incarichi ad esse attribuiti, nonché la prevalenza della loro attività a favore dell'ente o degli enti pubblici che la costituiscono.
Tutela giurisdizionale
L'art. 24 Cost. dispone che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, sancendo in tal modo l'azionabilità
delle situazioni giuridiche soggettive dei privati nei confronti dell'amministrazione ed escludendo esenzioni o privilegi di questa in ordine alla legittimazione passiva; l'art. 113 Cost. afferma che la tutela è sempre ammessa e non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti. Principi fondamentali del diritto comunitario Nell'ambito del diritto comunitario di estremo rilievo è il principio di sussidiarietà. Esso presenta due facce: una garantista a favore del decentramento e dei poteri locali, ai quali sono riservate le competenze, salvo che non siano in grado di assicurare la realizzazione degli obiettivi che debbono perseguire; l'altra che viceversa può agevolare processi di accentramento a favore del livello di governo superiore, consentendo a quest'ultimo di agire anche al di là delle competenze attribuite formalmente, ogni qual volta l'azione comunitaria.Il principio di riparto tra Stati membri e Unione è stato consacrato formalmente nel Trattato Istitutivo della Comunità Europea e costituisce una vera e propria regola di riparto tra Stati membri e Unione. Volendo evidenziare in particolare l'apertura del legislatore italiano ai principi sorti all'interno della comunità europea, diviene opportuno soffermarsi sul nuovo articolo 1 della legge sul procedimento. Soffermando l'attenzione appositamente sui principi, è oggi possibile individuarne tre categorie. Anzitutto, quella dei cd. "principi presupposti", ovvero quei principi che la norma non cita espressamente ma presuppone. Ciò, in ragione del fatto che gli stessi trovano espressa menzione in altre, ed altrettanto autorevoli, fonti. Si pensi, con riguardo al principio di imparzialità o a quello di buon andamento, al recepimento ad opera della Carta costituzionale. In secondo luogo, rinveniamo i principi espressi,
quelli che cioè trovano esplicita menzione all'interno della disposizione. Si tratta di quattro principi basilari: quello di economicità, anzitutto. In base ad esso l'Amministrazione è tenuta non tanto a contenere la spesa, quanto piuttosto ad operare con economia di tempo, pur con l'obiettivo del miglior risultato. Il secondo principio espresso è quello di efficacia. Si tratta, come noto, della necessità che si coniughino nel migliore dei modi il raggiungimento dei risultati concreti con gli obiettivi prestabiliti. Il terzo principio è quello della pubblicità, il quale si lega, da un punto di vista cronologico ed ideologico, a quello della trasparenza. Il principio di conoscibilità impone infatti all'Amministrazione di garantire la conoscibilità esterna del proprio operato. Così concepito tuttavia, non garantisce all'interessato alla conoscenza la reale padronanza delle informazioni. Dunque,vieneprogressivamente esteso fino a divenire trasparenza, ossia dovere dell'Amministrazione di trasmettere ilflusso informativo all'utenza, di modo che questa possa comprendere ed elaborare le