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La nobiltà in Italia e in Piemonte
In Italia, e specialmente in Piemonte, vi sono molte famiglie nobili aventi lo stesso cognome; per esempio, i Ferrero, i Della Chiesa, che si distinguono solamente per il nome dei rispettivi loro feudi. Il vero cognome del Conte di Cavour era Benso, ma è passato alla posterità sotto il nome del feudo da cui, secondo l'espressione di Dante: "lo titol del suo sangue è sua elma".
Tralasciando di approfondire il significato politico del limite temporale contenuto nella citata norma costituzionale, è opportuno chiarire cosa il costituente abbia voluto significare con la frase "esistenti prima del 28 ottobre 1922".
A nostro avviso, secondo una interpretazione letterale del dato normativo, esso esige, ai fini della cognomizzazione dei predicati nobiliari, soltanto la preesistenza del titolo nobiliare alla data del 28 ottobre 1922. Più precisamente, poiché l'articolo summenzionato parla di esistente, si deve ritenere che il costituente si...
Dall'atto giuridico creativo del diritto stesso che è l'atto di concessione. D'altra parte, sotto diverso profilo, la concessione sovrana di un titolo nobiliare con predicato non comportava soltanto la concessione di un titolo onorifico, ma anche di un secondo cognome, In quanto il predicato diveniva il cognome d'uso della famiglia. Tale predicato, come secondo cognome trapassava dal concessionario del titolo a tutti i suoi discendenti, non soltanto in forza delle leggi araldiche, ma soprattutto in forza delle leggi sul nome; tant'è che il predicato continuava a competere ai discendenti anche nel caso di perdita del feudo o di ritorno del titolo alla Corona. E', quindi, l'atto di concessione del titolo che fonda il legittimo uso del predicato nobiliare ancorché l'annesso titolo sia stato a suo tempo ufficialmente riconosciuto dalla Consulta Araldica del Regno d'Italia. Sul punto, tuttavia, è intervenuta la Corte
Costituzionale (sentenza n.101 dell'8 luglio 1967) che ha viceversa ritenuto non sufficiente la semplice esistenza del titolo nobiliare al 28 ottobre 1922.
La Corte ha ritenuto che il reale significato della norma costituzionale in esame non possa essere accertato se non alla luce del principio espresso dal primo comma della disposizione, secondo il quale l'ordinamento repubblicano non riconosce i titoli nobiliari. Ed infatti l'incertezza intorno all'interpretazione della qualifica esistente riferita ai titoli anteriori al 28 ottobre 1922 non può essere superata da considerazioni meramente letterali. Vero è che nel passato ordinamento un titolo nobiliare era da considerare esistente indipendentemente dal riconoscimento amministrativo o giurisdizionale, che aveva solo una funzione di accertamento (peraltro necessario al legittimo uso ufficiale del titolo), ma è da escludere che la lettera della norma costituzionale si riferisca all'esistenza del titolo.
incontrapposto al suo riconoscimento: la contrapposizione, invero, è solo fra titoli anteriori e titoli posteriori al 28 ottobre 1922, e la proposizione normativa esprime in forma lessicalmente positiva la esclusione dei secondi dal c.d. diritto alla cognomizzazione. Sicché, equivalendo la frase "esistenti prima del 28 ottobre 1922" a quella "non conferiti dopo il 28 ottobre 1922", è chiaro che l'interpretazione letterale non è idonea alla risoluzione del diverso problema qui in esame, che va, perciò raggiunta con l'impiego di altri canoni ermeneutici: ed anzitutto attraverso il coordinamento dei due primi commi della disposizione, nel senso che al secondo deve essere attribuito quel significato che maggiormente si concili col primo. E' questo, infatti, ad esprimere la scelta di fondo operata dal costituente, e con essa ogni altra norma relativa alla materia va di necessità coordinata. Ciò posto, è damettere in rilievo che il divieto di riconoscimento dei titoli nobiliari per l'accertamento ed il conseguente legittimo uso di un titolo già di per sé esistente non attiene solo all'attività giudiziaria o amministrativa necessaria, come accadeva nel precedente ordinamento, ma comporta che i titoli nobiliari non costituiscono contenuto di un diritto e, più ampiamente, non conservano alcuna rilevanza: in una parola, essi restano "fuori del mondo giuridico". Da questa premessa che nessuno contesta, inevitabilmente discende che l'ordinamento non può contenere norme che impongano ai pubblici poteri di dirimere controversie intorno a pretese alle quali la Costituzione disconosce ogni carattere di giuridicità. E perciò, una volta attribuita al primo comma quel contenuto e queste conseguenze, è certo da escludere che il secondo possa essere interpretato in un senso che con l'uno e con le altre sarebbe in contrasto. Ciòaccadrebbe ove si accogliesse la tesi che, al fine della cognomizzazione, il giudice debba accertare l'esistenza del titolo in capo a questo o a quel soggetto, valutarne le vicende alla stregua delle regole proprie del regime successorio nobiliare e dare piena applicazione alla legislazione araldica fino al punto - secondo la teoria che appare più coerente con le premesse - da potersi pronunziare solo previo contraddittorio dell'interessato con l'ufficio araldico (legislativamente definito come rappresentante della regia prerogativa) e con provvedimento destinato ad essere iscritto negli appositi libri nobiliari. Né importa che l'accertamento andrebbe compiuto non in funzione del legittimo uso del titolo, ma come strumentale rispetto al diverso diritto relativo all'aggiunta del predicato al nome: ed infatti, nonostante questa finalità, il titolo costituirebbe pur sempre oggetto di un diritto e di una vera e propria tutela giuridica, laddove l'uno el'altra sonoperentoriamente esclusi dal principio enunciato nel primo comma.Tale irrilevanza giuridica del titoli nobiliari impedisce, dunque, che essipossano essere giudizialmente accertati e perciò il secondo commadella XIV disposizione va interpretato nel residuo senso che l'aggiuntaal nome dei predicati anteriori al 28 ottobre 1922 non trova la suafonte nel diritto al titolo, non più sussistente, ma nel già intervenutoriconoscimento che assume il ruolo di presupposto di fatto del dirittoalla cognomizzazione.Siffatta conclusione, oltre a rispondere all'esigenza di una correttainterpretazione sistematica desunta dal necessario coordinamento deidue primi commi della XIV disposizione, trova pieno conforto nel lavoripreparatori, dal quali si ricava che intento del Costituente fu quello dievitare che dal disconoscimento del titoli nobiliari potesse derivare unalesione del diritto al nome (il che, ovviamente, esclude lacognomizzazione attuale di
predicati mai riconosciuto e perciò mailegittimamente usati come elemento di individuazione del casato) ed ènel contempo l'unica che appaia conciliabile con la "pari dignità sociale"garantita dal primo comma dell'art. 3 della Costituzione.
Secondo la Corte Costituzionale, quindi, la cognomizzazione delpredicati nobiliari può essere ottenuta solo con riferimento ai predicatisu cui poggiano quel titoli nobiliari esistenti prima del 28 ottobre 1922e riconosciuti prima dell'entrata in vigore della Costituzione.
Ma, come giustamente sottolineato dal Prof. Aldo Pezzana (La sentenzadella Corte Costituzionale sui titoli nobiliari, in Rivista Araldica, 1967pagg. 205 e segg.), "nel nostro ordinamento giuridico la CorteCostituzionale ha il potere di invalidare, con sentenze operanti ergaomnes, le norme legislative contrastanti con la Costituzione, ma nond'interpretare in modo vincolante per gli altri giudici le norme dellaCostituzione.
indipendentemente da una questione di legittimità costituzionale (contrasto di una legge con la Costituzione); nell'interpretazione della Costituzione, come di ogni altra legge, ogni giudice è sovrano nel limiti della propria competenza". In altri termini, il giudice competente a conoscere del diritto alla cognomizzazione del predicato nobiliare, "sarà libero di interpretare il precetto costituzionale secondo il proprio autonomo convincimento"; per quanto concerne la questione sostanziale di quali predicati siano suscettibili di cognomizzazione, "la sentenza esprime soltanto una opinione sull'interpretazione della XIV dispos. trans., opinione che è certamente autorevole per l'altissima Magistratura dalla quale promana, ma che nelle future possibili controversie non potrà vincolare il giudice ed avrà in buona sostanza il valore di un precedente giurisprudenziale". E' da precisare, inoltre,