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LA TUTELA DELLA TRASPARENZA SOCIETARIA
10. La trasparenza societaria tra vecchia e nuova disciplina
Con il termine “trasparenza” si indica, nel diritto penale commerciale, l’interesse ad
un’informazione societaria completa e veritiera.
Si tratta sicuramente di un interesse diffuso, in quanto fa capo ad una molteplicità di soggetti interni
ed esterni alla società che, per la cura dei loro interessi, devono poter confidare sull’attendibilità
delle comunicazioni provenienti dai soggetti che si occupano della gestione e del controllo.
Nel disegno originario del codice civile questa funzione era affidata alla fattispecie di false
comunicazioni sociali, di cui all’art. 2621 n. 1 c.c., oggi abrogata dal D.Lgs 61/2002. Essa puniva,
con la pena della reclusione da 1 a 5 anni e la multa da 2 a 20 milioni, “i promotori, i soci fondatori,
gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori, che, nelle relazioni, nei bilanci o in
altre comunicazioni sociali, fraudolentemente espongono fatti non rispondenti al vero sulle
condizioni economiche della società o nascondono in tutto o in parte fatti concernenti le condizioni
medesime”. Questa formula legislativa molto ampia aveva dato adito a numerosi contrasti
interpretativi.
Tale disposizione, da un lato, non riusciva ad individuare una precisa tipologia di aggressione al
bene tutelato e, dall’altro, risultava proiettata verso un’applicazione generalizzata e in continua
espansione ai limiti dell’indeterminatezza.
Per questo la dottrina più sensibile alle istanze della legalità cercava di correggere
• la genericità dell’incriminazione. Tale obiettivo veniva perseguito intervenendo ora
sul bene giuridico, ora sugli elementi costitutivi. Tuttavia, si di delineava una serie
di epiloghi interpretativi molto diversi fra loro.
Di contro la giurisprudenza tendeva a dilatare oltremodo l’ambito applicativo di
• tale fattispecie, in nome di una concezione distorta della legalità; secondo
qualcuno tale operazione era volta ad assecondare l’impeto di giustizialismo che
veniva avvertito nei confronti del mondo economico (come dimostra l’esperienza
di “Tangentopoli”, in cui si fece larga applicazione del reato in esame). Per
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descrivere questo fenomeno c’è chi ha parlato di “straordinario sviluppo delle false
comunicazioni” nella giurisprudenza degli anni ’90. Altri, invece, hanno
considerato il protagonismo giudiziario della “vecchia” fattispecie alla stregua di
una “moda”.
Da qui la scelta della riforma 2002 di modificare profondamente al disciplina delle false
comunicazioni (in seguito è intervenuta anche la riforma della riforma del 2005).
L’esito della riforma, però, non è stato felice, sia per le scelte politico-criminali, sia per la
loro realizzazione. La nuova disciplina risente troppo di uno spirito di reazione nei
confronti delle storture della normativa previgente e delle sue applicazioni
giurisprudenziali.
Non è mancato chi, ponendo l’accento sulla notevole delimitazione applicativa, ha
visto nella riforma un intervento di sostanziale depenalizzazione;
C’è un altro profilo controverso della riforma, che riguarda l’individuazione delle
informazioni sociali penalmente rilevanti. Il legislatore aveva frantumato questa figura
di reato in tre diverse fattispecie, ciascuna delle quali prevista sia in forma delittuosa,
sia in forma contravvenzionale (a seconda che si fosse verificato o meno un evento di
danno patrimoniale), in ragione dei soggetti attivi e dei destinatari della
comunicazione, ossia:
False comunicazioni sociali in senso stretto (art. 2621 e 2622 c.c.);
• Falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione (art. 2624
• c.c.);
Falso in prospetto (art. 2623 c.c.): Quest’ultima fattispecie, tuttavia, a seguito
• dell’entrata in vigore della L. n. 262/2005, è stata trasferita, in seguito
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all’accorpamento delle altre due ipotesi in un’unica figura delittuosa, nell’ambito
del T.U. in materia di intermediazione finanziaria, con contestuale abrogazione
dell’art. 2623 c.c.
11. La fattispecie di false informazioni sociali:
Concentrando l’attenzione sulle “false comunicazioni sociali in senso stretto”, va detto subito che le
due fattispecie previste dagli artt. 2621 e 2622 c.c. sono identiche sotto il profilo dei soggetti attivi,
della condotta, dell’oggetto materiale e dell’elemento soggettivo, ma si distinguono per la presenza
(nell’art. 2622) del requisito del “pregiudizio patrimoniale".
+ Trattamenti sanzionatori a seguito delle modifiche apportate dalla L. n. 262/2005:
Art. 2621: Punisce con l’arresto fino a 2 anni gli amministratori, i direttori generali, i
A. dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili, i sindaci e i liquidatori, i quali, con
l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un
ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla
legge, dirette ai soci o al pubblico, espongono fatti materiali non rispondenti al vero ancorché
oggetto di valutazioni oppure omettono informazioni la cui comunicazione è imposta dalla
legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al
quale essa appartiene, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari sulla suddetta
situazione. E’ Perseguibile d’ufficio. Questa è l’ipotesi “contravvenzionale”.
Art. 2622: In questo caso, le condotte anzidette, sono punite con la reclusione da 6 mesi a 3
B. anni se cagionano un danno patrimoniale alla società, ai soci o ai creditori. Quando, invece,
da queste derivi un grave nocumento ai risparmiatori la pena consisterà nella reclusione da 2
a 6 anni. E’ Perseguibile a querela, salvo che si tratti di società quotate in borsa, nel qual caso
la procedibilità torna ad essere ex officio. Questa è l’ipotesi “delittuosa”.
11.1. Il rapporto tra l’ipotesi contravvenzionale e quella delittuosa
In termini generali bisogna chiedersi quali sono gli effetti del concorso apparente delle due norme,
che si trovano in rapporto di specialità unilaterale:
Se si ritiene che il fenomeno del concorso apparente attiene alla validità delle norme stesse,
a) la norma soccombente risulta già, ab initio, improduttiva di effetti nei confronti del fatto (con
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la conseguenza che la mancata proposizione della querela prevista per il reato speciale, ne
preclude la repressione ai sensi della norma generale, che è procedibile d’ufficio).
Se, invece, si ritiene che il fenomeno del concorso apparente attiene al momento
b) dell’applicabilità delle norme (cioè della loro efficacia) nulla impedisce che si applichi, in
mancanza della querela, la norma generale.
Nel caso delle false comunicazioni sociali è preferibile la seconda soluzione che, facendo
corrispondere alla maggiore gravità della fattispecie speciale un regime di perseguibilità più
favorevole, presenta un profilo di assoluta originalità. Infatti la previsione di tale querela si può
indicare come “querela-commisurazione” (mentre la presenza della querela rende operativa la
cornice edittale prevista per il delitto, la sua assenza non pregiudica la repressione del fatto come
contravvenzione). In sostanza, se il Pubblico Ministero non può procedere per il delitto, in quanto
manca la querela, lo stesso fatto può essere represso in base alla qualifica meno grave.
Quindi per il reato di false comunicazioni sociali, la procedibilità a querela coinvolge il privato solo
in relazione al quantum di pena, non in relazione all’an della repressione.
Il bene tutelato dalla fattispecie contravvenzionale è il bene superindividuale e indisponibile della
trasparenza societaria; a questo si aggiunge, nella fattispecie delittuosa, il patrimonio di soci e
creditori. Se si considerano le due ipotesi congiuntamente, appare chiaro che la trasparenza viene
tutelata non in sé, ma in via strumentale rispetto agli interessi patrimoniali di soci e creditori (le due
fattispecie tipizzano una sorta di progressione criminosa).
Quindi questa ipotesi delittuosa rappresenta un reato plurioffensivo. La fattispecie
contravvenzionale di cui all’art. 2621 c.c. costituisce, allo stesso tempo, un reato di pericolo
presunto (rispetto agli interessi patrimoniali) e un reato di pericolo concreto (rispetto al bene della
trasparenza).
11.2. I soggetti attivi
Si tratta di un reato proprio, in quanto può essere commesso esclusivamente da amministratori,
direttori generali, dirigenti preposti alla redazione di documenti contabili societari, sindaci e
liquidatori. 24
Per individuare i soggetti attivi del reato, l’interprete deve utilizzare come parametro di riferimento
le disposizioni del codice civile che definiscono i poteri e le funzioni di ciascuna delle figure
elencate.
Inoltre c’è da considerare che certe figure sociali sono previste solo per determinati tipi sociali (ad
es.: i direttori generali sono previsti soltanto per le s.p.a.).
+ Dirigente preposto alla redazione dei documenti sociali societari: Bisogna considerare la
nuova figura del “dirigente preposto alla redazione dei documenti sociali societari” (introdotta dalla
L. n. 262/2005), il quale si occupa di predisporre adeguate procedure amministrative e contabili per
la redazione del bilancio d’esercizio e, ove previsto, del bilancio consolidato, nonché ad attestare la
corrispondenza la veridicità delle comunicazioni inerenti le condizioni economiche, patrimoniali o
finanziarie della società che quest’ultima rivolge al mercato.
La nomina di questa figura è obbligatoria solo per gli “emittenti quotati aventi
• l’Italia come Stato membro d’origine”. Di qui il problema di stabilire se dal punto
di vista penalistico la qualifica soggettiva possa rilevare anche al di fuori di tali
società, dato che gli artt. 2621 e 2622 c.c. valgono per tutte le società commerciali.
Se si sceglie la tesi affermativa, essa è destinata ad operare limitatamente ai casi in
cui la società non quotata abbia provveduto, anche di fatto, alla nomina del
dirigente. Infatti, in tal caso, si potrà applicare l’art. 2639 c.c. il quale include fra i
soggetti attivi dei reati sociali anche le c.d. figure di fatto.
Nei casi in cui la società abbia optato per uno dei sistemi alternativi di amministrazione e controllo,
alle qualifiche di amministratore e sindaco, bisogna equiparare quelle di componente del consiglio
di gestione, del consiglio di sorveglianza e del comi