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La reiterazione del comportamento e la mancata adozione di contromisure

Nel caso oggetto della sentenza in epigrafe, la reiterazione del comportamento, la mancata adozione di contromisure, la piena consapevolezza dei rischi connessi al proprio stato di salute, l'obiettiva impossibilità di dominare il decorso causale degli eventi, l'essere stato più volte richiamato a considerare seriamente i rischi (es. i ripetuti moniti da parte delle sorelle), sono tutti elementi che, unitariamente considerati, corroborano a maggior ragione la tesi che l'imputato avesse operato una "scelta precisa" e non fosse soltanto incorso in "una semplice forma di negligenza o imprudenza": il che induce con maggiore certezza a propendere per una condanna a titolo di dolo eventuale, e non di colpa cosciente.

Infine, l'organo giudicante precisa che il dolo va riferito alla rappresentazione e volizione non solo dell'evento-contagio (dolo di lesioni), ma anche dell'evento-morte (dolo di omicidio): infatti dovrebbe costituire nozione.

di conoscenza comune, quella secondo cui oggi non esiste nessuna cura efficace e definitiva contro la malattia dell'Aids, sicché essa conduce inevitabilmente alla morte. Per questo non è ipotizzabile che l'imputato avesse previsto e voluto la possibilità del contagio ma non quella della morte della moglie. Inoltre, la reiterazione del comportamento per un lungo periodo di tempo, rende ancor più insostenibile l'ipotesi che il marito non si fosse rappresentato l'alta probabilità della morte della moglie oltre che del contagio. Comunque va osservato che vicende come quella in questione, possono presentare una complessità tale, in termini psicologici, da rendere problematica la verifica processuale del passaggio dall'accettazione del rischio di contagio all'accettazione dell'evento letale in quanto tale. È presumibile che la previsione della possibile morte della moglie, come conseguenza del contagio, si sia andatarelativa all'elemento soggettivo presenta qualche ambiguità. In particolare traspare la tendenza a risolvere la ricerca dell'elemento volitivo in quella dell'elemento rappresentativo: infatti il giudice sembra accogliere l'idea di una contaminazione tra rappresentazione/previsione e volontà, in virtù della quale una rappresentazione dell'evento lesivo da parte dell'imputato in termini di alta probabilità sarebbe sufficiente per dedurre con certezza anche la sussistenza della componente volitiva, cioè per ritenere che l'evento sia non solo previsto, ma anche voluto. Senonché, muovendo da questa premessa, l'opzione del giudice per il dolo eventuale potrebbe sembrare contraddittoria: difatti egli dapprima richiama l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale la previsione dell'evento lesivo da parte dell'imputato, come conseguenza certa o altamente probabile della propria condotta, integrerebbe

Gli estremi del dolo diretto, e non del dolo eventuale; poi, pur affermando che l'imputato "certamente era consapevole che vi fosse la rilevantissima probabilità di far contrarre la malattia al coniuge", conclude invece per la sussistenza del dolo eventuale. Probabilmente il giudice ha operato questa deviazione da un percorso argomentativo rigorosamente logico, per la comprensibile preoccupazione di evitare conseguenze troppo gravose per l'imputato, nei confronti del quale apparirebbe eccessivo ritenere la sussistenza del dolo diretto, in casi così drammatici e particolari.

CORTE D'ASSISE D'APPELLO DI BRESCIA. SENTENZA 26-9-2000 CONTAGIO DI AIDS TRA MARITO E MOGLIE RIQUALIFICATO COME OMICIDIO COLPOSO NEL GIUDIZIO DI SECONDO GRADO.

La Corte di assise d'appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, che aveva dichiarato l'imputato colpevole di omicidio doloso, commesso con dolo eventuale, attribuendogli una piena

accettazione dell'alto rischio di cagionare, con la propria reiterata condotta, tanto un eventuale contagio quanto la morte della moglie, è derubricato il fatto in omicidio colposo (art.589 c.p.), aggravato dalla previsione dell'evento (art.61 n.3 c.p.), "attesa la conoscenza in capo al prevenuto sia della regola di condotta che costantemente violava con il proprio comportamento, sia della particolare finalità preventiva cui questa mirava". Tuttavia non sembra che il passo indietro fatto dalla corte bresciana abbia lasciato completamente isolata la qualificazione in termini di responsabilità dolosa effettuata dalla sentenza di primo grado: c'è infatti una sentenza della Corte d'assise di Livorno che, a proposito di un caso pressoché analogo, ha anch'essa pronunciato una condanna a quattordici anni per omicidio doloso, perché l'imputato "sapeva di essere ammalato ed era stato informato dei pericoli che correva e"

poteva facorrere alla moglie”.Ad oggi restano comunque poche le sentenze edite che si sono occupate del drammatico problema della rilevanza penale del contagio di Aids sotto il profilo di una responsabilità tanto dolosa quanto colposa.Va rilevato innanzitutto, come i rilievi critici mossi dai giudici bresciani alla sentenza di primo grado, vertano esclusivamente sul problema della corretta ricostruzione dell’elemento soggettivo (ein particolare sull’esistenza di un atteggiamento psicologico riconducibile alla figura del dolo eventuale), che costituisce la parte della sentenza appellata maggiormente suscettibile di destare perplessità.L’indagine sulla configurabilità del nesso di causalità tra la condotta dell’imputato e la morte della moglie,è stata invece considerata ineccepibile.Il vero punto dolente della sentenza di primo grado, a giudizio della corte bresciana,è invece costituito dalla ricostruzione dell’elemento

Soggettivo in termini di dolo eventuale. Il g.u.p. del Tribunale di Cremona, si era preoccupato di procedere anzitutto ad una rassegna dei diversi criteri di distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente elaborati in sede dottrinale e giurisprudenziale, al termine della quale, aveva mostrato una propensione per la classica teoria dell'accettazione del rischio, maggioritaria in dottrina e giurisprudenza, integrata però alla luce delle conclusioni raggiunte da Canestrari; dall'applicazione di questa teoria al caso in esame, aveva poi concluso per la sussistenza del dolo di omicidio, convinto che l'imputato si fosse esattamente rappresentato le possibili conseguenze del proprio comportamento, senza poter fare contemporaneamente affidamento su alcun elemento obiettivo idoneo a fondare una ragionevole speranza in un esito della vicenda diverso da quello verificatosi. Le censure rivolte in tema di elemento soggettivo dalla corte d'appello, non riguardano le

  • Una ricostruzione arbitraria del patrimonio conoscitivo dell'imputato, in base alla quale si èritenuta raggiunta la prova di una sufficiente rappresentazione, in capo a lui, dei rischi connessi al proprio comportamento;
  • Una certa tendenza a dedurre automaticamente dall'esistenza di un determinato grado dirappresentazione-previsione anche l'esistenza della volontà.
  • In particolare:
    1. Un insieme di fattori (tra cui il mediocre livello culturale dell'imputato, la scarsa chiarezza delleprime campagne informative anti-aids, i dubbi che all'epoca della condotta attraversavano lo stesso mondo scientifico), inducono i giudici bresciani a censurare una ricostruzione del patrimonio di conoscenze dell'imputato a loro avviso fortemente influenzata da nozioni in tema
    di colpevolezza. Infatti, secondo la Corte, non è sufficiente che l'imputato sia consapevole dei rischi del proprio comportamento, ma è necessario dimostrare che egli abbia accettato pienamente anche i possibili risvolti negativi, cioè che abbia agito con la consapevolezza e la volontà di causare la morte della moglie. c) Infine, la Corte ha rilevato che l'imputato non ha mai manifestato alcun intento di causare la morte della moglie, né è emerso alcun elemento che possa far pensare a una volontà omicida. Al contrario, l'imputato ha sempre dichiarato di amare la moglie e di non volerle fare del male. In conclusione, la Corte ha ritenuto che non siano state fornite prove sufficienti per dimostrare la colpevolezza dell'imputato e ha quindi assolto l'imputato dall'accusa di omicidio volontario.

    autonomo della volontà su quello della rappresentazione. La corte sembra voler dimostrare che, anche a voler ammettere un suffiente grado di rappresentazione, risulta semplicistico trarne conclusioni in merito alla sussistenza della volontà; il fatto di aver agito in presenza di fattori di rischio non andrebbe necessariamente interpretato come sintomo di una disponibilità ad accettare anche un evento negativo, e per spiegare il comportamento dell'imputata o potrebbero invece ipotizzarsi altre situazioni psicologiche, più plausibili, e non riconducibili ad un atteggiamento volontaristico. In particolare andrebbe seriamente considerata l'ipotesi di un atteggiamento psicologico di vera e propria rimozioni e sottovalutazione della propria condizione e dei connessi rischi. L'imputato avrebbe cioè vissuto nella convinzione che nulla sarebbe successo, frutto delle sue scarse conoscenze e delle sue apparentemente buone condizioni di salute, ma rafforzata

    ppello rappresenta un passo avanti nel processo di giustizia. Tuttavia, è importante considerare anche gli effetti a livello psicologico che una sentenza di questo tipo può avere sulle persone coinvolte. Dal punto di vista remoto, cioè nel lungo periodo, la sentenza di appello può avere conseguenze negative sul benessere psicologico delle persone coinvolte. Ad esempio, se la sentenza conferma una condanna, la persona condannata potrebbe sperimentare sentimenti di frustrazione, rabbia e disperazione. Questi sentimenti possono persistere nel tempo e influenzare la qualità della vita della persona. Sotto il profilo statistico, cioè considerando i dati a livello generale, le sentenze di appello possono avere un impatto significativo sulla percezione della giustizia da parte della società. Se una sentenza di primo grado viene ribaltata in appello, potrebbe essere interpretata come un errore del sistema giudiziario. Questo potrebbe minare la fiducia dei cittadini nel sistema e portare a una percezione negativa della giustizia. Dal punto di vista temporale, la sentenza di appello può avere un impatto immediato sulle persone coinvolte. Ad esempio, se la sentenza ribalta una condanna, la persona precedentemente condannata potrebbe sperimentare un senso di sollievo e gioia. Al contrario, se la sentenza conferma una condanna, la persona potrebbe sperimentare una profonda delusione e tristezza. In conclusione, le sentenze di appello possono avere conseguenze significative sul piano psicologico, statistico e temporale. È importante considerare questi aspetti quando si valuta l'impatto di una sentenza di appello sulla vita delle persone coinvolte.
    Dettagli
    Publisher
    A.A. 2012-2013
    9 pagine
    SSD Scienze giuridiche IUS/17 Diritto penale

    I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Menzo di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto penale II e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi Suor Orsola Benincasa di Napoli o del prof Del Tufo Maria Valeria.