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PRINCIPIO DI PERSONALITÀ (PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA)

Passiamo al secondo principio in materia costituzionale sancito dall’art. 27 della

costituzione il quale al primo comma statuisce che la responsabilità penale è personale.

Poi prosegue: L’imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva

(presunzione cosiddetta di non colpevolezza).

Al terzo comma statuisce che Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al

senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Quarto comma: Non è ammessa la pena di morte. La norma aggiungeva se non nei casi

previsti da leggi militari e di guerra ma la pena di morte è stato tolta anche dalla

possibilità di essere prevista da leggi militari e di guerra.

Dobbiamo considerare l’art. 27.1 e la seconda parte dell’art. 27.3 (le pene devono

tendere alla rieducazione del condannato). 1

Si tratta di una interpretazione del principio di personalità che si fa appunto combinata tra

il primo ed il terzo comma dell’art. 27.

DOMANDA: Cosa vuol dire che la responsabilità penale è personale?

RISPOSTA: Ampio ed articolato dibattito durato decenni e decenni, anzi per l’esattezza

40 anni e cioè dal 1948 al 1988 sul significato sostanziale da attribuire alla formuletta La

responsabilità penale è personale.

Questo perché nei lavori preparatori non vi è un’articolata discussione che chiarisca

esattamente la portata della formula.

Vi furono due posizioni molto lontane l’una dall’altra di giurisprudenza e dottrina:

1. Secondo la giurisprudenza e fino alla sentenza 364/1988 della corte costituzionale

il principio di personalità di cui all’art. 27.1 voleva dire divieto di responsabilità per

fatto altrui;

2. La dottrina ribadiva che non vi sarebbe stato gran bisogno di costituzionalizzare

espressamente questo divieto perché ormai, alla metà del secolo scorso, era

acquisizione pacifica, limitare quindi a questo spazio la disposizione era

assolutamente ed ingiustificatamente limitativo perché la formula doveva voler dire

necessariamente qualcosa di più ampio: secondo la dottrina, infatti, passiamo dal

nulla pena sine lege (principio di legalità) al nulla pena sine culpa.

In realtà, quindi, la dottrina afferma che il principio di personalità non può che voler

significare una personalità penale fondata su di una qualche partecipazione

soggettiva del reo per la ragione semplicissima che il rimprovero (e dunque le

forme della pena) non può muoversi a chi non abbia in qualche modo

psicologicamente par tecipato alla commissione, con una qualche

consapevolezza, con un qualche collegamento con la sua psiche.

E’ vero, quindi, che esistono i delitti dolosi dove il fatto è cosciente e volontario,

esistono i delitti colposi dove il fatto non è voluto, tuttavia un collegamento minimo

sul piano soggettivo deve esservi, un minimo di consapevolezza, un minimo di

relazione con il momento soggettivo deve esservi.

Per la giurisprudenza, invece, non era così perché per la giurisprudenza il

principio si reggeva – come detto pocanzi – come semplice divieto di

responsabilità per fatto altrui, là dove la coerenza costituzionale delle singole

fattispecie veniva recuperata sulla base (questo è importante) del rapporto di

causalità: la norma costituzionale, cioè, pone il divieto della responsabilità per fatto

altrui, sarà fatto proprio – e dunque la previsione non sarà incostituzionale – ogni

qualvolta la responsabilità si lega al rapporto di causalità.

Certo, se non vi è neanche un rapporto di causalità allora questo è davvero un

fatto altrui non addebitabile.

La dottrina unanimemente contraria vede finalmente accolta la tesi con la sentenza

364/1988 della corte costituzionale e di cui parleremo fra poco.

Dice la dottrina che il rimprovero deve necessariamente legarsi ad un dato di tipo

soggettivo oltre a quello di tipo oggettivo rappresentato dal rapporto di causalità ed io

posso dunque rimproverarti per aver voluto quello che non dovevi volere (delitto doloso)

o posso al minimo rimproverarti per esserti comportato come non ti dovevi comportare

(colpa: si pensi all’automobilista che per imprudenza cagiona la morte di un passante).

Questi, dunque, sono i limiti: è possibile un rimprovero penale che priva della libertà

costituzionalmente coerente solo se riguarda l’aver voluto ciò che non dovevi volere o

l’esserti tenuto come non dovevi tenerti, dunque non basta il mero rapporto di causalità 1

per dire che il rimprovero previsto dalla norma X o dalla norma Y è costituzionale ai sensi

dell’art. 27.1.

Questa tesi veniva avvalorato (ormai la soluzione è stata accolta dalla corte

costituzionale) proprio dal disposto dell’art. 27.3 in forza del quale la pena tende alla

rieducazione del condannato.

Innanzitutto dobbiamo capirci sul fatto che neanche la costituzione statuisce che la pena

consiste nella rieducazione ma la pena tende alla rieducazione, la pena – secondo il

pensiero della scienza – ha tre sostanziali funzioni:

1. La pena è retribuzione, cioè è castigo;

2. La pena è prevenzione generale, ha un carattere di prevenzione generale di

deterrenza: già la sola minaccia astratta della pena dovrebbe trattenere i

consociati dal commettere reati;

3. La pena consiste nella rieducazione.

La carta costituzionale accoglie e costituzionalizza solo questo terzo aspetto e con

onestà intellettuale relativizzandolo: non dice, infatti, che la pena è un trattamento

rieducativo ma afferma che la pena tende alla rieducazione, cioè noi facciamo il possibile

ma al di là del possibile non si può andare.

Ecco quindi che se la pena tende alla rieducazione del condannato allora sicuramente vi

è un elemento di questa possibilità ineludibile e cioè che l’evento reato per il quale il

soggetto espia la pena e rispetto al quale lo dobbiamo rieducare deve essere collegabile

non soltanto alla causazione materiale che ha posto in essere ma in qualche maniera alla

sua situazione psicologica, cioè io non posso essere rieducato ad un valore diverso dal

disvalore che quel fatto comportava se non ne sono in qualche maniera partecipe, se

sono stato un esecutore materiale c’è ben poco da rieducarmi, non sono rieducabile.

Si diceva, dunque, che la piena attuazione dell’art. 27.3 relativo alla funzione rieducativa

della pena può spiegarsi soltanto secondo il principio di personalità ex art. 27.1 che non

significhi soltanto divieto di responsabilità per fatto altrui ma che significhi una

responsabilità costituzionalmente orientata in quanto è una responsabilità per un fatto

colpevole.

Questa lettura è recepita dalla nostra giurisprudenza con questa celebre sentenza del

1988 in un OBIETER DICTUM (cioè in via incidentale) anche abbastanza diffuso: la corte

costituzionale si occupava in realtà dell’art. 5 del codice penale dove era detto che

l’ignoranza della legge non scusa.

La corte costituzionale, dunque, interpreta l’art. 5 e con una sentenza interpretativa

afferma che l’art. 5 va bene, per cui l’ignoranza della legge non scusa, tranne che si tratti

di ignoranza inevitabile per cui se l’ignoranza non era evitabile allora l’errore di diritto

scusa.

Naturalmente per poter affrontare questo tipo di ragionamento la corte costituzionale

deve spingersi sulla frontiera del soggettivo e deve inserire coerentemente a questa

soluzione sull’art. 5 una osservazione generale sul principio di personalità ex art. 27.1.

Di conseguenza la corte ragione come Carmona ha sinteticamente spiegato ed arriva

alla conclusione che la responsabilità penale, per essere costituzionalmente

coerente, deve fondarsi almeno sulla colpa.

Questo, in sintesi, è il dibattito sul principio di colpevolezza.

In questo modo, con questa interpretazione, il principio di personalità viene meglio

chiamato principio di colpevolezza, cioè la personalità significa non già fatto proprio in 1

quanto materialmente causato bensì fatto proprio in quanto materialmente causato e

soggettivamente colpevole.

In questo modo, dunque, può fondarsi un rimprovero coerente alla costituzione, in questo

modo e solo in questo modo si può privare della libertà anche perché la rimproverabilità

comporta necessariamente a monte una scelta libera di cui abbiamo tante volte parlato:

è chiaro, infatti, che io ti posso rimproverare in un sistema penalistico liberale in quanto tu

fossi libero di commettere il reato o di non commetterlo ed allora è evidente che io non

posso ammettere una situazione in cui non vi fosse a monte questa condizione di

conoscibilità ed in cui la responsabilità fosse esclusivamente legata al dato oggettivo

tradotto nel rapporto di causalità fra la condotta e l’evento.

Il rapporto di causalità fra la condotta e l’evento, infatti, è indispensabile sotto il profilo

materiale ma non può fondare la piena responsabilità penale perché noi dobbiamo avere

due criteri di imputazione:

1. Uno oggettivo: un nesso causale e vedremo cosa si intende, quali sono le regole

giuridiche perché non dovremo accontentarci di un nesso causale naturalistico

perché altrimenti dovremmo dire che se oggi Tizio è morto perché qualcuno gli ha

sparato dovremo risalire fino ai genitori ecc, per cui sul piano naturalistico si

innesta un regresso all’infinito che non possiamo accettare e dunque dobbiamo

trovare delle regole giuridiche di causalità.

2. Ed uno soggettivo: criterio di imputazione di un fatto al soggetto

Avremo, quindi, una imputazione oggettiva fondata sul nesso di causalità secondo regole

giuridiche ed una volta accertato che il piano oggettivo è integrato dovremo scoprire

quali sono le regole della imputazione soggettiva che è coerente a costituzione se, come

afferma la corte nel 1988, si fonda almeno sulla colpa.

Dunque non mi basta più il mero nesso causale fondato su regole giuridiche perché a

questo bisogna accoppiare un meccanismo di imputazione soggettiva che preveda

almeno una responsabilità per colpa.

In questo, dunque, si traduce il principio di colpevolezza.

Per capire meglio il principio di colpevolezza dobbiamo fare un accenno alla

colpevolezza, cioè esattamente come adesso in estrema sintesi abbiamo richiamato

l’imputazione oggettiva dobbiamo ora vedere come il nostro codice prevede

l’imputazione soggettiva per capire dove andremo a parare perché ade

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A.A. 2010-2011
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SSD Scienze giuridiche IUS/17 Diritto penale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher albertovadala di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto penale I e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Libera Università internazionale degli studi sociali Guido Carli - (LUISS) di Roma o del prof Carmona Angelo.