Diritto Penale A parte 1
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“Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con
altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032.
La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 1.549:
1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare
taluno dal servizio militare;
2) se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l'erroneo
convincimento di dovere eseguire un ordine dell'autorità;
2 bis) se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’articolo 61, numero 5).
Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal
capoverso precedente o un'altra circostanza aggravante”
È il caso di un reato di evento, nel caso di silenzio può essere considerato come omissivo tuttavia anche il
silenzio fa parte del raggiro e quindi è incompatibile con l’omissione, ma può esserci un concorso di persona
in forma omissiva.
Il giudice deve provare il nesso causale dunque deve riscontrare la posizione del garante e poi il nesso fra
l’omissione e la lesione di un interesse della vittima attraverso la teoria condizionalistica. Deve anche
individuare quella condotta positiva che avrebbe potuto impedire l’evento e individuare la figura del garante
che avrebbe dovuto tenere quella condotta.
L’omissione antidoverosa deve essere condizione necessaria dell’evento e l’azione omessa deve avere una
sicura efficacia impeditiva.
(03/11) REATO DI DANNO E REATO DI PERICOLO. La distinzione sta nel fatto che la condotta abbia
prodotto una lesione o un pericolo in capo ad un bene giuridico. Il reato di danno è prodotto da una
lesione dell’interesse protetto attraverso un’azione o un’omissione, la consumazione del reato infatti coincide
con la lesione del bene; possono essere reati di mera condotta o reati di evento. Nel reato di pericolo il fatto
tipico è una condotta pericolosa o la messa in pericolo di un bene giuridico. Un reato di danno è l’omicidio,
un reato di pericolo è l’omissione di soccorso; per definire un reato di pericolo e non di danno bisogna
valutare quale sia il bene protetto, ad esempio norma sull’accesso abusivo ad un sistema informatico non
permette la distinzione netta: se si considera il contenuto un reato di pericolo, se invece si considera la
violazione si considera un reato di danno.
“
Art. 615-ter. Accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico.
Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si
mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, è punito con la reclusione fino a tre anni. La
pena è della reclusione da uno a cinque anni:
1) se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con
violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di
investigatore privato, o con abuso della qualità di operatore del sistema;
2) se il colpevole per commettere il fatto usa violenza sulle cose o alle persone, ovvero se è palesamente armato;
3) se dal fatto deriva la distruzione o il danneggiamento del sistema o l'interruzione totale o parziale del suo
funzionamento, ovvero la distruzione o il danneggiamento dei dati, delle informazioni o dei programmi in esso contenuti.
Qualora i fatti di cui ai commi primo e secondo riguardino sistemi informatici o telematici di interesse militare o relativi
all'ordine pubblico o alla sicurezza pubblica o alla sanità o alla protezione civile o comunque di interesse pubblico, la
pena è, rispettivamente, della reclusione da uno a cinque anni e da tre a otto anni.
Nel caso previsto dal primo comma il delitto è punibile a querela della persona offesa; negli altri casi si procede d'ufficio.”
Solo considerando quale interesse è stato leso o messo in pericolo si riesce a capire se il fatto è una lesione
o mette semplicemente in pericolo l’integrità o la vita di una persona. Come si fa a ricostruire quale sia il
bene? In base alla sezione e al titolo in cui l’articolo che regola la norma è stato raggruppato, ossia
bisogna analizzare la collocazione sistematica del reato, che in realtà non è vincolante per il giudice
perché il legislatore non può valutare astrattamente i beni giuridici tutelati, ma è nella realtà delle cose la
tutela di un interesse piuttosto che un altro.
Un altro esempio di reato di pericolo: “ Art. 423. Incendio.
Chiunque cagiona un incendio è punito con la reclusione da tre a sette anni.
La disposizione precedente si applica anche nel caso d'incendio della cosa propria, se dal fatto deriva pericolo per
l'incolumità pubblica.”
Questo è un reato di pericolo rubricato fra i delitti contro l’incolumità pubblica. Nel secondo comma è
presente un accertamento ulteriore in capo al giudice chiamato a verificare che quella pericolosità astratta si
sia verificata concretamente e abbia messo in pericolo l’incolumità pubblica. Si parla di reato di pericolo
astratto nel 1° comma, mentre di reato di pericolo concreto nel 2°. La regola che si usa per distinguere un
reato di pericolo è leggere la norma incriminatrice ed individuare quale sia il bene giuridico protetto, ossia va
individuato il momento consumativo; il procedimento da compiere per distinguere astratto da concreto (=
obbliga il giudice all’accertamento) è:
1. Verificare che nella norma del reato concreto sia presente la parola “pericolo”
2. In caso non ci sia la parola pericolo verificare che sia presente il carattere di idoneità nella
descrizione della fattispecie
3. Se non sono presenti né il numero 1 né il 2 verificare che ci siano indicazioni delle
proporzioni del pericolo causato, come ad esempio la parola disastro;
il questi casi dunque il giudice sarà sempre obbligato a compiere l’accertamento della pericolosità del fatto.
Il reato tentato è sempre di pericolo.
(07/11) REATI DI PERICOLO ASTRATTI E REATI DI PERICOLO CONCRETI. I reati di pericolo sono diversi
e tale diversità si riflette nel tipo di accertamento che il giudice deve compiere e nella diversa intensità della
tutela. Per accertare l’effettiva presenza di reato viene richiamato il principio di offensività (es furto di acino
d’uva non è furto).
I reati di pericolo dunque si dividono in reati di pericolo ASTRATTO (la cui pericolosità deve essere
valutata dal legislatore) e reati di pericolo CONCRETO (il pericolo deve essere requisito esplicito della
fattispecie, ed è fondamentale l’accertamento del giudice sulla concreta pericolosità del fatto).
Un esempio di reato di pericolo astratto è rappresentato dall’art. 423, 1° co, cp “incendio”, in cui viene
considerato un delitto contro l’incolumità pubblica e la condotta di cagionare tale incendio non prevede,
affinché sia reato, la morte o la lesione di altri interessi giuridici, per questo motivo è un reato di pericolo. Il
giudice per il principio di offensività dovrà considerare solo il fuoco di tali dimensioni da effettivamente
mettere in pericolo la pubblica incolumità. In realtà siccome il giudice deve accertare le dimensioni e la
natura del pericolo previsto dal fatto tipico, anche se non è presente la parola pericolo, è un reato solo
apparentemente astratto, dunque in realtà concreto.
Art. 56, 1°co, cp, rubricato “Delitto tentato” (SOLO PER I DELITTI SI PUNISCE LA FORMA TENTATA!)
rappresenta un reato di pericolo perché non si è arrivati concretamente alla lesione del bene, ma alla tentata
lesione, ossia alla messa in pericolo del bene
“Chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato,
se l'azione non si compie o l'evento non si verifica”
questo caso è un reato di pericolo concreto perché subentra il carattere dell’inequivocità. Se si considerasse
solo l’idoneità sarebbe astratto, ma di fronte alla marea di comportamenti idonei il legislatore mette il
filtro dell’inequivocità, rendendo cosi il delitto tentato un reato di pericolo concreto.
Art. 430, cp rubricato “Disastro ferroviario” è un reato di evento (c’è “cagiona”!) di pericolo perché il
legislatore non prevede che ci sia la lesione di un bene giuridico.
“Chiunque cagiona un disastro ferroviario è punito con la reclusione da cinque a quindici anni”
Se qualcuno morisse nel disastro si applicherà in aggiunta un’altra fattispecie a seconda che ci sia
l’intenzione di uccidere (fattispecie della strage - dolo) o meno (omicidio). È apparentemente astratto ma in
realtà è concreto.
ASTRATTO = “chiunque getti un mozzicone di sigaretta acceso vicino a una discarica è punito”.
CONCRETO = “chiunque getti un mozzicone di sigaretta acceso vicino a una discarica, mettendo in
pericolo l’incolumità pubblica, è punito”.
Le caratteristiche specifiche del caso concreto sono l’oggetto dell’accertamento del giudice, ad esempio se
piove e il mozzicone si è spento non ha costituito pericolo per l’incolumità pubblica, mentre nel caso del
reato astratto non importa che le condizioni abbiano impedito o meno il verificarsi del pericolo, si punisce la
condotta.
La dottrina penalistica è contraria all’utilizzo del reato di pericolo di astratto perché contrario al principio di
offensività, è cioè contraria al modello astratto tutte le volte in cui il legislatore avrebbe potuto usare il
modello del reato di pericolo concreto. In alcuni casi (alcuni notevoli) però la fattispecie di pericolo
astratto è indispensabile per tutelare al meglio l’interesse giuridico protetto:
1. Es per la tutela dell’ambiente le singole azioni non sono in grado di mettere in pericolo l’ambiente,
ma la somma delle azioni di tutti si, dunque si prevedono delle soglie massime di sostanze inquinanti
che si possono versare nei fiumi o nei mari, il legislatore pone quindi una fattispecie di reato astratto
in cui il giudice non procede all’accertamento in concreto ma valuta solo l’infrazione della soglia in
questo caso sarebbe assurdo impedire lo strumento del modello astratto.
2. Es per le sostanze e i nuovi modelli in produzione dei quali non si conoscono ancora gli effetti sul
corpo umano, si può prevedere l’uso di tali sostanze fino a che non venga accertata la non tossicità.
Anche in questo caso è necessario il modello astratto perché il giudice non ha i mezzi scientifici per
l’accertamento della fattispecie e dunque finirà per assolvere ingiustamente nel caso di un modello
concreto.
3. Reati di economia, es per poter svolgere l’attività di istituto di credito occorre essere autorizzati, per
verificare l’affidabilità a tutela della massa dei risparmiatori. Se un soggetto esercita abusivamente
tale attività va in contro a pena dettata da una norma la cui fattispecie è di pericolo e astratto in
quanto il giudice non deve accertare l’affidabilità o meno ma scatta automaticamente nel caso in cui
non ci sia l’autorizzazione. Si usa la fattispecie di pericolo astratto perché la tutela in questione è
della massa ed in particolare è la tutela di un bene finale (il patrimonio) attraverso un bene
strumentale (autorizzazione alla Banca d’Italia).
REATO DI PERICOLO DIRETTO E REATO DI PERICOLO INDIRETTO. Si ha pericolo diretto quando si ha
pericolo di una lesione, ad esempio tentativo di omicidio, incendio; si ha pericolo indiretto quando si punisce
una condotta pericolosa perché da essa può nascere il pericolo di una lesione (pericolo di pericolo di
lesione). Esempio art. 615 quater che punisce chi diffonde le password per entrare in un sistema
informativo protetto; oppure ancora l’art. 431 cp “Pericolo di disastro ferroviario”, ossia punisce una condotta
che crea il pericolo di pericolo della lesione). Il principio di proporzione interviene solo nel reato
indiretto: se si deve tutelare un interesse di particolare valore ci si può spingere indietro al pericolo di
pericolo, ma per reati in cui l’interesse non abbia cosi particolare valore è impensabile retroagire così tanto.
DIFFERENZE DELITTI E CONTRAVVENZIONI:
1. Criterio formale si distinguono in base al nome e alla pena prevista per essi, in particolare
ergastolo, reclusione e multa per i delitti e arresto e ammenda per le contravvenzioni;
2. La forma tentata esiste solo per i delitti
3. La forma preterintenzionale esiste solo per i delitti
4. Forma omissiva solo per delitti da art.56
(10/11) REATO CONSUMATO E REATO TENTATO. Il reato consumato si realizza se la condotta vietata è
stata posta in essere o non si è tenuta la condotta prevista nel caso di reati omissivi.
Il reato è punibile se nel codice esiste una disposizione per cui il giudice può punire anche la parziale
realizzazione del reato commissivo previsto. Questa disposizione è l’art. 56 cp. Bisogna ricordare il principio
di legalità perché il comportamento tenuto dal soggetto sia punibile, tuttavia l’art. 56, definito come
moltiplicatore di tipicità, apre le fattispecie. Si chiama cosi perché grazie alla disposizione consente di
rendere tipici molti altri fatti rispetto a quello che precisamente è descritto dalla legge, in particolare tutti quei
fatti che rispondono ad alcuni requisiti. Nell’ordinamento sono tre i moltiplicatori di tipicità:
1. Art. 56 cp. Delitto tentato
2. Art. 110 cp. Concorso in reato
3. Art. 40 cp. Clausola di equivalenza.
Art. 56. Delitto tentato.
“Chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato,
se l'azione non si compie o l'evento non si verifica.
Il colpevole di delitto tentato è punito:; con la reclusione non inferiore a dodici anni, se la pena stabilita è l'ergastolo;
e, negli altri casi con la pena stabilita per il delitto, diminuita da un terzo a due terzi.
Se il colpevole volontariamente desiste dall'azione, soggiace soltanto alla pena per gli atti compiuti,
qualora questi costituiscano per sé un reato diverso.
Se volontariamente impedisce l'evento, soggiace alla pena stabilita per il delitto tentato, diminuita da un terzo alla metà.”
Le due condizioni per cui il comportamento è punibile come delitto tentato sono molto importanti in quanto
segnano il limite tra la condotta lecita e la condotta illecita. I requisiti dunque sono due, gli atti devono essere
idonei ed univoci (univocità solo degli atti!!). Il carattere di idoneità è sinonimo di pericolo, dunque quegli atti
sono anche pericolosi ed occorre che si sia raggiunto uno stadio tale della volontà criminosa al punto che si
sia messo in pericolo un bene giuridico protetto. Per una teoria più soggettiva (che non è apprezzata nel
nostro ordinamento) il tentativo può essere anche inidoneo ma basta che sia univoco e che dunque ci sia la
volontà di compiere quel delitto e di mettere in pericolo quell’interesse. Il nostro è un diritto penali dei fatti e
non delle intenzioni.
Nel nostro ordinamento non ci può essere univocità senza idoneità.
Il delitto tentato è un reato di pericolo concreto e dunque il giudice dovrà verificare caso per caso che il
comportamento del soggetto abbia determinato una situazione di pericolo.
Per univocità si intende che gli atti sono stati compiuti in relazione all’intenzione del soggetto, coincidente
con la commissione di un reato. La realizzazione del proposito di commettere un reato è dunque al punto
tale che anche un osservatore esterno sia in gradi di capire quale sia il reato che il soggetto avrebbe voluto
compiere. L’analisi soltanto degli atti preparatori come l’acquisto di una pistola o di veleno, seppur
potrebbero essere considerate condotte pericolose, non basta, deve essere presente anche un
comportamento che faccia emergere quale sia la reale intenzione, dunque deve essere presente un ulteriore
comportamento del soggetto che presenti il carattere di univocità. Ad esempio se uno acquista il veleno e
afferma di volerlo usare per compiere un omicidio non può essere punito perché il diritto penale si basa sui
fatti, sui comportamenti e come tale può solo valutare, giudicare e punire i comportamenti, non le intenzioni.
L’inizio dell’attività punibile è infatti considerato l’inizio del reato (anche se è difficile determinarlo nei reati a
forma libera). L’univocità inizia quando è iniziata la commissione del reato, ma nel codice Zanardelli era
richiesta proprio l’esecuzione in quanto faceva la distinzione fra atti preparatori e atti esecutivi. Oggi questa
distinzione non viene più usata perché manca la certezza assoluta di cosa sia atto preparatorio e cosa sia
atto esecutivo. Ciò permette la punibilità di quegli atti che sono leggermente anteriori all’esecuzione del reato
( teoria molto discussa, c’è desiderio di ampliare la fattispecie o no?).
Esempio= una persona che viene colta di notte ad armeggiare con una serratura di cosa viene accusata?
Tentata violazione di domicilio sicuramente, ma tentato furto? Non c’è la tentata esecuzione del furto, ma la
giurisprudenza potrebbe analizzare una serie di elementi come la presenza di un borsone, ecc tali per cui in
giudizio verrà fatta valere anche l’accusa di tentato furto.
L’accertamento del nesso causale fra la condotta e l’evento è una condotta che si fa ex ante o ex post? In
una situazione di pericolo ci si colloca idealmente nella posizione in cui si trovava il soggetto che ha
agito o nella situazione ormai verificata? Bisogna fare una “prognosi” postuma (come per la
pericolosità) e chiedersi che cosa sarebbe successo se la condotta si sarebbe verificata. Postuma perché
ormai si sa già che il tentativo è avvenuto. Se si facesse ex post la condotta sarebbe sempre inidonea
tanto che il reato non si è consumato. La prognosi serve per accertare se sul piano oggettivo si è
verificata una situazione di pericolo, quindi andranno considerate tutte le circostanze presenti al momento,
invece la giurisprudenza afferma che il giudice deve tenere presente solo delle circostanze conosciute
dall’agente o almeno conoscibili da un agente modello modello del prognostico a base parziale
(selezione delle circostanze concrete in presenza delle quali si sono verificati gli atti).
Ad esempio un ragazzo mette la mano in una borsa con il tentativo di rubare, ma la borsa è vuota. L’assenza
di ogni bene nella borsa è una circostanza che l’agente non conosceva e dunque l’atto è idoneo a provocare
un delitto tentato. Ma ciò non va contro il principio di offensività? La dottrina richiama anche l’Art. 49, 2°co,
cp che dice al giudice di collocarsi anche nella prospettiva della vittima e dunque integra una
valutazione ex ante con una valutazione ex post.
“la punibilità è altresì esclusa quando, per la inidoneità dell’azione
o per l’inesistenza dell’oggetto di essa, è impossibile l’evento dannoso o pericoloso”
Mette in evidenza l’inidoneità dell’azione e l’inesistenza dell’oggetto di essa che caratterizzano il reato
impossibile. Questa valutazione ex post deve essere collegata e intesa insieme alla valutazione ex ante
definita dal 56.
Altro esempio rapina sventata per soffiata. Questi due casi sono caratterizzati dalla protezione di un bene
giuridico che per alcune circostanze non ha corso pericolo.
Se utilizzo la base totale il giudice non può punire il delitto tentato ma può applicare una misura di sicurezza
in seguito alla certezza della pericolosità sociale dell’individuo. La misura adottata sarà la libertà vigilata, di
default quando la legge non specifica quale sia la misura da applicare.
(11/11) REATO MONOSOGGETTIVO E REATO PLURISOGGETTIVO. Si ha reato monosoggettivo quando
la persona che ha commesso reato non ha complici.
Art. 115, 1°co, cp.
“Salvo che la legge disponga altrimenti, qualora duo o più persone si accordino
allo scopo di commettere un reato, e questo non è commesso,
nessuna di esse è punibile per il solo fatto dell’accordo”
è un chiaro esempio del fatto che i soli atti preparatori non fanno il soggetto colpevole di qualche reato; c’è
un problema di offensività perché se fossero puniti quei soggetti si avrebbe un processo alle intenzioni.
Tuttavia questa disposizione deve essere ricordata insieme all’art.49 (Reato impossibile) perché
costituisce una di quelle ipotesi dei cosiddetti “quasi reati”: i soggetti non possono essere puniti per un
reato, ma il giudice può applicare una misura di sicurezza (non detentiva).
[Presupposti per l’applicazione di una misura di sicurezza? Reato consumato e pericolosità del soggetto +
delitto tentato non punibile].
L’utilizzo della base parziale punisce di più rispetto alla base totale, perché tiene conto anche dell’intenzione
dell’agente e non solo dei fatti oggettivi.
Concezione realistica del reato: si è detto che l’art. 49 impone al giudice di accertare non solo la tipicità
ma anche che effettivamente il reato possa venire ad esistenza. Questa concezione però non può essere
accettabile perché il giudice non può dire che il reato non può venire ad esistenza se ha già accertato
la tipicità; avrebbe l’effetto di non punire un fatto determinato come tipico perché inoffensivo. È
sbagliata perché se il fatto è inoffensivo non è nemmeno tipico, la norma descrive solo fatti necessariamente
offensivi.
Il tentativo è punibile rispetto a qualsiasi modello di reato oppure no? Per delitto di pericolo vedi il discorso
del pericolo di pericolo di lesione. Per i delitti omissivi l’art. 56 si concilia con il fatto che l’inerzia è difficile
da considerare come intenzionale o no e quindi l’omissione è una forma incompatibile con il delitto tentato,
ad esclusione però del caso individuato dalla giurisprudenza in cui l’inerzia non è assolutamente inequivoca
e si capisce con certezza che il soggetto ha espresso la volontà di non adempiere. Per i delitti di attentato
la disciplina prevede che siano delitti in cui gli atti preparatori sono già sufficienti a configurare il delitto
attentato, dunque non sono conciliabili con la forma del delitto tentato in quanto già il tentativo corrisponde
alla consumazione.
Ad esempio art. 276 cp “Attentato del presidente della Repubblica”, reato di pericolo.
(14/11) CONCORSO DI PERSONE NEL REATO. Gruppo di persone in cui almeno uno compie reato.
Entra in gioco il terzo moltiplicatore di tipicità, ossia l’art. 110 cp. Ad esempio persona che ha fatto il palo,
ossia colui che partecipa all’azione, ma senza compiere il fatto tipico; se il legislatore italiano avesse
tipizzato la condotta del compartecipe non ci sarebbero problemi, invece vi è una regola generale che dice:
Art. 110 c.p.
“Quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, salve le
disposizioni degli articoli seguenti”.
Se non ci fosse questo articolo si potrebbe punire il palo? No per il principio di legalità, perché se non ci
fosse il comportamento non costituirebbe reato. Si puniscono solo i fatti tipici, per questo tale articolo si
definisce moltiplicatore di tipicità. L’accertamento della tipicità che il giudice dovrà compiere non sarà lo
stesso accertamento che dovrà compiere per un esecutore, in quanto la condotta tenuta dal compartecipe
non sarà la stessa tenuta dall’esecutore.
Quando si può dire che una persona ha concorso in un reato? La responsabilità personale non c’entra
perchè in tal caso è oggettiva in quanto il giudice accerta il nesso causale tra la condotta e l’evento. Il criterio
per rispondere alla domanda è che la persona con la sua condotta ha dato un contributo causale
perché si verificasse il reato. Quindi è sicuramente compartecipe colui che con la sua condotta ha
dato un contributo alla realizzazione del reato e dunque senza il suo contributo il reato non si
sarebbe verificato con quelle modalità: quando si accerta il nesso causale ci si domanda se con la
condotta di un soggetto si sarebbe avuto il reato oppure no, ma nel caso in cui un complice ad esempio per
una rapina in banca si presenti con la fiamma ossidrica per il caveau, ma poi scoprono la combinazione ed
egli non serve più, si può parlare di concorso? Il reato così non si sarebbe verificato, ma si sarebbe verificato
comunque con modalità diverse, quindi sarebbe condannato anche il complice che ha portato la fiamma
ossidrica e poi non l’ha usata. L’aver collaborato nella realizzazione del reato è definibile come
contributo, il quale ha fatto si che il reato fosse stato programmato con quelle modalità, se poi esse
siano cambiate in un momento finale diventa del tutto irrilevante, dunque è un contributo causale
che va tarato sulle modalità concrete di progettazione e programmazione del reato. Se si pensa solo a
quelle condotte il cui contributo è causale per la realizzazione del reato stesso, molte condotte che devono
essere punibili (come questa) rimarrebbero fuori; la disciplina infatti è sempre più verso l’abbandono del
criterio esclusivamente causale e l’utilizzo di questo.
Nel caso in cui viene compiuto un reato diverso da quello previsto invece come si puniscono i complici? Ad
esempio rapina in cui un esecutore dentro alla banca uccide una persona, il palo risponde di omicidio o
rapina? Risponde di omicidio solo se per egli fosse prevedibile al momento dell’esecuzione della
rapina. Se rispondesse solo per rapina si avrebbe una responsabilità oggettiva. Il legame causale che
si può ravvisare nel legame fra la funzione del palo e la rapina è reale in quanto l’esecutore si sente sicuro
di poter compiere qualsiasi reato grazie alla protezione del palo.
L’art. 116 “ Reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti.
Qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde, se l'evento è
conseguenza della sua azione od omissione ”.
Se il reato commesso è più grave di quello voluto, la pena è diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave
è stato riformato nel ’65 e venne sottoposto un giudizio di legittimità alla Corte Costituzionale in quanto prima
diceva che la condotta del palo veniva punito con pena più lieve in quanto risponde solo di rapina, mentre
ora risponde di entrambi i reati; si solleva il problema che questo fosse contrario ai principi dell’ordinamento
in quanto si aveva una responsabilità per fatto altrui (infrazione dell’art. 27 Cost.), la corte dice invece che è
una responsabilità personale e che il palo viene condannato anche per il reato commesso oltre alla rapina se
sussiste il carattere di prevedibilità (sentenza interpretativa di rigetto).
Il contributo del compartecipe può essere MATERIALE oppure ancora MORALE, che sussiste nel caso in
cui ci sia un istigatore (colui che rafforza l’intenzione di un soggetto di commettere reato) oppure un
determinatore (colui che condiziona una persona che non avrebbe commesso reato).
Art. 115, 1°co, cp.
Salvo che la legge disponga altrimenti, qualora due o più persone si accordino allo scopo di commettere un reato, e
questo non sia commesso, nessuna di essere è punibile per il solo fatto dell’accordo.
(Caso di quasi reato, non punibile, al massimo misura di sicurezza)
Anche in forma omissiva si ha una posizione di garanzia che rientra nell’art. 40, 2° co, cp, dunque il
concorso si può verificare anche in forma omissiva, se il reato fosse al concorrente in forma
conoscibile.
I reati associativi, ad esempio l’art. 416 associazione per delinquere che prevede l’associazione di tre o più
persone per commettere reati, sono anche chiamati “reati a concorso necessario” (reati in cui è già la
norma incriminatrice che prevede il concorso di più persone, vedi anche rissa, …) e a questo punto si pone
una domanda che è diventata di grande interesse proprio in relazione all’associazione su stampo mafioso in
relazione all’art. 416 bis: si possono applicare le regole sul concorso di persone anche ai reati associativi?
Quali fatti vanno considerati tipici che già non lo sono in base alle regole sul reato associativo? Si parla di
concorso esterno, per quelle persone che non fanno parte dell’associazione ma collaborano ai reati
commessi, solitamente il concorrente esterno è una persona con posizione importante e dunque si solleva
un problema: può essere chiamato a rispondere per un solo comportamento tenuto? Il giudice ha alcune
alternative, ad esempio può interrogarsi se la persona partecipa alla associazione, dall’altro canto può
verificare che non partecipa ad essa ma ha dato un contributo causale alla associazione. Difronte a figure
pubbliche o importanti in cui non si sono volute trovare o non sussistevano prove di una loro associazione, lo
strumento del concorso esterno ha permesso di punire tali figure, si dice che è stato d’aiuto a
definire come un comportamento possa essere definito concorrente. La giurisprudenza richiede oggi
che la condotta abbia dato un contributo causale effettivo alla conservazione della struttura associativa.
Sicuramente è meno infamante essere condannati per concorso esterno piuttosto che interno, ma la
differenza fra l’affiliato e il concorrente esterno non è chiara: si chiede al legislatore di tipizzare la
figura del concorrente esterno.
C’è stata un’importante sentenza della CEDU che ha condannato l’Italia per il caso Contrada: Bruno
Contrada era un importante uomo della polizia italiana a capo del SISMI che è stato accusato di essere
compartecipe alle cosche contro le quali era preposto alla lotta. La Corte ha condannato l’Italia dicendo che i
fatti per i quali è stato accusato Contrada risalgono ad un tempo in cui la giurisprudenza italiana non aveva
ancora definito cosa si intendesse per concorso esterno e quindi il soggetto non avrebbe potuto capire se il
suo comportamento costituiva un illecito oppure no.
Per l’art. 110 la pena non sarà uguale per tutti i concorrenti perché la pena deve essere
individualizzata ed è difficile che ogni caso sia uguale all’altro, dunque dipende dal principio di uguaglianza
e di responsabilità personale.
Art. 117, cp. Mutamento del titolo del reato per taluno dei concorrenti.
Se, per le condizioni o le qualità personali del colpevole, o per i rapporti fra il colpevole e l'offeso, muta il titolo del reato
per taluno di coloro che vi sono concorsi anche gli altri rispondono dello stesso reato.
Nondimeno, se questo è più grave il giudice può, rispetto a coloro per i quali non sussistano le condizioni, le qualità o i
rapporti predetti, diminuire la pena.
Questo articolo, insieme all’art. 116, rappresenta un caso di responsabilità oggettiva nel caso di concorso
di più persone nel reato, ma questo non è stato riformato. È applicabile come responsabilità oggettiva
soltanto in presenza di un mutamento del titolo di reato in un fatto già penalmente rilevante. Il giudice
può o sottoporre alla Corte Costituzionale, o verificare che per il soggetto fosse conoscibile la diversa
qualifica della propria condotta, inserendo un coefficiente di colpevolezza.
DIRITTO PENALE A – PARTE 2
(12/12) ANTIGIURIDICITÀ. Il giudice deve accertare che il fatto commesso sia tipico, ci si sofferma sul dato
della antigiuridicità solo in presenza di un dubbio, di una situazione che potrebbe rappresentare una causa di
giustificazione, altrimenti un comportamento tipico è antigiuridico solo per il fatto di essere previsto dalla
norma. Se c’è una causa di giustificazione il fatto non è punibile perché non risulta in contrasto con il sistema
giuridico, in tutto l’ordinamento dunque sarà lecito. Le cause di giustificazione sono norme non penali, non
sono soggette alla riserva di legge, non sono norme eccezionali e sono applicabili per analogia
(bilanciamento di interessi). Dunque non operano i limiti per le norme incriminatrici; sono contenute negli artt.
50-54 cp. La disciplina comune è contenuta invece agli artt. 55-59 cp.
Art. 50 cp: lesione del diritto con consenso della persona lesionata è una causa di giustificazione; esempio
apertura della corrispondenza con consenso del destinatario della stessa. Il comportamento non è punibile
perché il titolare è assolutamente d’accordo con la lesione. I diritti che sono soggetti a questa causa di
giustificazione devono essere però diritti personali disponibili, dunque non possono essere coinvolti diritti
pubblici. Nel nostro ordinamento esiste una fattispecie specifica che punisce l’omicidio del consenziente
(579); è specifica perché è una figura attenuata del delitto dell’omicidio, ma volta ad affermare che nel nostro
ordinamento la vita è un bene indisponibile. Se non ci fosse questo articolo, nemmeno dalla costituzione si
evincerebbe l’indisponibilità della vita. È infatti ammessa solo l’eutanasia passiva e non attiva, che è dunque
vietata. L’eutanasia passiva è quella di chi sopravvive solo grazie ad una cura tramite respiratore artificiale e
consiste nel avere il distacco con tale macchina tramite sedativi. Cosi come la vita, anche l’integrità fisica è
un bene indisponibile, il limite sta nell’art. 5 del codice civile che dice che nessuno può disporre del proprio
corpo se ne provoca una lesione permanente psicofisica.
Art. 51 cp: funzione delle cause di giustificazione è mettere in collegamento i diversi rami del diritto in modo
da evitare una contraddizione fra loro.
Artt. 52-54 cp: comportamenti necessitati che se presentano tutti i requisiti richiesti consistono in
comportamenti leciti. I requisiti solitamente sono lo stato di necessità o pericolo e la proporzione fra il
pericolo e la reazione. Questi comportamenti sono l’aggressione di un interesse altrui in difesa di un diritto
proprio o altrui, in presenza di un pericolo attuale di offesa ingiusta (legittima difesa - 52). Una proposta di
legge del 2016 ha tentato di riformare la disciplina affermando che nei casi previsti dall’art. 614 cp, sussiste
la proporzione se nel luogo in cui avviene a violazione, il soggetto si difende con un’arma legalmente
detenuta al fine di proteggere sé, la propria famiglia e i propri beni, anche uccidendo l’aggressore. Ad
esempio il caso del rapinatore ucciso dal gioielliere aveva scaturito dubbi nella disciplina, in quanto non era
possibile che la vittima dell’aggressione fosse soggetta al processo, l’omicidio dell’aggressore è però
proporzionale solo all’interno dell’esercizio commerciale o del domicilio, non all’esterno di questo. È
sembrato tuttavia un passaggio criminogeno in quanto il ladro che sa che può essere ammazzato, tende ad
ammazzare per primo, quindi con un grande dibattito parlamentare la norma regolatrice è il secondo comma
dell’art. 52 che prevede come proporzionata la reazione in caso di pericolo di aggressione (fisica) a sé o ai
propri beni problema donna maltrattata che uccide il marito nel sonno.
Altra causa è lo stato di necessità (54), ossia il pericolo di un danno grave a sé o ad altrui persona, non
altrimenti evitabile (dà luogo solo ad indennizzo). Esempio caso di una persona che uccide un’altra per
mantenersi in vita.
Art. 59 cp: due ipotesi contemplate, ad esempio situazione di violazione di corrispondenza senza sapere
che il destinatario è d’accordo. L’ignoranza della causa di giustificazione rende inapplicabile o no la causa di
giustificazione? Non è un comportamento punibile perché non c’è un offesa del bene altrui in quanto
l’interessato è concorde. Le cause di giustificazione operano oggettivamente, anche se non conosciute, per il
solo fatto che sussistano gli estremi di quella situazione (rilevanza oggettiva). Ipotesi due, una persona è
convinta che esista una causa di giustificazione che in realtà non esiste, il comportamento è lecito oppure
no? Il comportamento non è lecito perché c’è una lesione e non vengono meno quegli interessi dello Stato
per il quale dovrebbe disinteressarsi del fatto (rilevanza del putativo). Però il fatto che la persona che
aggredisce pensando di essere in pericolo farà venire meno l’elemento del dolo, ma potrebbe residuare la
colpa. L’ultimo comma infatti afferma che, essendo la colpa non un criterio di valutazione costante nei delitti,
se il delitto commesso non è punibile nella forma colposa, il soggetto non è punibile in quanto non può
essere punito per dolo. La condotta sarà rimproverabile al soggetto a titolo di colpa quindi può rispondere
solo nella forma colposa.
(testo primo e ultimo comma)
Art. 55 cp: ipotesi di eccesso colposo, ossia una persona reagisce in modo sproporzionato perché
percepisce un pericolo più grave di quello sussistente. Si applicano le disposizioni anche qui per i delitti
colposi se quel fatto tipico è presente anche nella forma colposa. L’elemento del dolo non viene applicato.
Il consenso è dunque una causa di giustificazione, ma ci sono delle figure di reato nella quale è richiesta
espressamente che il comportamento avvenga contro la volontà del titolare e dunque in questi casi la
funzione del consenso del titolare che funzione ha? Il fatto in presenza del consenso non è nemmeno tipico
e dunque non sarà soggetto a punibilità, se c’è il consenso non c’è tipicità, dunque ha un’incidenza molto più
significativa: l’art. 50 opera in tutti i casi in cui non c’è il consenso del titolare.
(15/12) Dunque la disciplina comune in ambito di ignoranza delle causa di giustificazione prevede due
casi:
1.
Rilevanza oggettiva se sussiste punto di vista oggettivo, 1° comma. Disciplina anche per le
attenuanti. Originariamente il codice penale dettava la disciplina anche per le circostanze aggravanti,
ma sono sparite nel 1990 in seguito alla sentenza del 1988 della Corte Costituzionale in merito alla
responsabilità oggettiva. Questo criterio di valutazione vale indipendentemente dal fatto che il reato
sia doloso o colposo, quindi è sufficiente l’imputazione a titolo di colpa dell’aggravante anche in caso
di reato doloso).
2.
Rilevanza del putativo se inesistente punto di vista soggettivo, ultimo comma. Si deve però fare
una valutazione della colpa perché non vale l’uguaglianza errore=colpa, in quanto nell’ordinamento
sono presenti errori scusabili. L’art. 42 cp va ricordato a tal proposito in quanto il delitto è sempre
doloso salvo che la legge preveda indicazione diversa, mentre per le contravvenzioni si ritiene che
possano essere sia dolose che colpose senza indicazione specifica. Il fatto che sia dolo o colpa sarà
rilevante ai fini della commisurazione della pena.
LA COLPEVOLEZZA. I criteri dell’imputazione dei reati sono colpa e dolo a cui si aggiungono la
preterintenzione e i casi in cui si procede ad un imputazione per responsabilità oggettiva basata sul nesso
causale.
Il DOLO (art. 43 cp) si caratterizza per conoscenza e volontà (previsione e volizione) e siccome esse
possono essere diverse sarà graduabile, si classifica in base all’intensità. Il dolo è riferibile a reati di evento
cosi come ai reati di mera condotta. Per accertare il dolo si è costretti ad entrare nella testa dell’agente,
bisogna ricostruire cosa gli è passato in testa nel momento in cui ha commesso reato, procedendo come
unica via per indizi. Molto difficile da costruire e provare.
Esiste una forma particolarmente intensa detta dolo intenzionale, a cui si accompagna una forma intermedia
di dolo diretto (sparo ad una persona attraverso una vetrina: dolo intenzionale x omicidio e dolo diretto x
danneggiamento) ed una forma meno grave di dolo eventuale al confine con la colpa cosciente. Il dolo
eventuale è quella forma di dolo nella quale si ricostruisce che il soggetto ha previsto, ma ha commesso un
reato come accettazione di una circostanza legata alla condotta che si vuole tenere, avendo accertato che
dalla condotta tenuta deriva un evento dannoso si ricostruisce che il suo atteggiamento psicologico nei
confronti di ciò è l’indifferenza; si ricostruisce la previsione e si accerta che l’evento realizzato non era nel
fuoco della volontà ma è stato accettato come conseguenza anche se non voluta, ma per l’ordinamento
voluta.
La premeditazione è la circostanza più grave di dolo, prevista come aggravante specifica del dolo: un dolo
d’impeto è meno grave del dolo premeditato.
La COLPA si caratterizza per una prevedibilità di un evento. Molto più semplice da provare perché è un
criterio normativo, dal momento che si confronta il comportamento della persona con il comportamento che
avrebbe tenuto una persona tanto diligente quanto l’ordinamento potrebbe pretendere, tanto più l’agente si
allontana dal comportamento modello, tanto più la colpa è presente ed è grave. La violazione di regole
cautelare fonda la colpa. Molte di queste regole cautelari sono state positivizzate (norme di prudenza scritta,
es codice della strada) nell’ordinamento. Questo accertamento però non è sufficiente perché se l’agente a
rispettato la cautela positivizzata è possibile che non abbia tenuto una cautela che era imposta dalla
situazione anche se non positivizzata.
Nessuno può essere rimproverato per non aver evitato un evento che era imprevedibile e dunque inevitabile.
Se la regola non è positivizzata sarà il giudice a doverla ricostruire sulla base di esperienze di situazioni
simili. La colpa cosciente è la forma più grave di colpa, è la violazione grave di una regola cautelare. Si
prevede come circostanza aggravante nei delitti colposi per aver agito nonostante la previsione dell’evento
(art. 61, 3°co, cp) c’è un elemento comune con il dolo eventuale perché il soggetto ha agito in previsione di
una prevedibilità delle conseguenze della sua condotta, dunque si realizzerà tutto sul piano
dell’accertamento in seguito alla ricostruzione dei fatti.
(19/12)Nella colpa cosciente l’agente è accusato per negligenza ed imperizia per un evento che però aveva
già previsto; nella colpa incosciente viene sempre accusato per negligenza ed imperizia ma per un evento
che non aveva previsto, ossia l’agente non ha colto la pericolosità del fatto e non l’ha impedito.
Esempio dolo eventuale = persona che sta scappando con della refurtiva in macchina ha ragione di non
fermarsi ad un posto di blocco e vedendo un poliziotto in mezzo alla carreggiata, accelera sperando che il
poliziotto si sposti. Se il poliziotto non riesce a sottrarsi e viene investito morendo, l’omicidio è attribuito a
titolo di dolo eventuale.
Esempio colpa cosciente = sorpasso azzardato su una strada a doppio senso, per una frazione di secondo
l’agente si rende conto che potrebbe arrivare qualcuno, ma confida imprudentemente nella sua capacità di
entrare, facendo un frontale. L’accusa è per l’imprudenza, non si ha dolo a meno che non stesse tentando il
suicidio.
Uno stesso caso può essere inteso come dolo eventuale o colpa cosciente a seconda di come ci si pone
nella testa dell’agente, vedi caso del marito che contagia la moglie di AIDS a insaputa di lei.
In diritto di economia il dolo eventuale è molto presente, per assenteisti che non hanno preso la delibera
accusata ma che successivamente non hanno fatto niente per l’impugnazione di essa, bisogna accertare se
era a conoscenza e se non ha denunciato (“non poteva non sapere”).
La colpevolezza è il terzo degli elementi fondamentali del reato, da non confondere con il principio di
colpevolezza ricavabile dalla costituzione. La colpevolezza nella concezione bipartita si identificava in dolo o
colpa e si parlava di colpevolezza come psicologica che è l’elemento soggettivo, nella concezione tripartita
invece si basa sulla nozione di rimproverabilità, questa concezione è detta normativa ed ha assorbito
all’interno di questa concezione della nozione di imputabilità.
1) La prima domanda infatti che il giudice si pone è se il fatto è imputabile o meno.
Nella logica del legislatore il criterio dell’imputabilità sta fuori dagli elementi essenziali del reato ed è
considerato solo alla fine, per questo motivo si fa riferimento solo a dolo e colpa, oggi invece c’è una
concezione più evoluta per la quale il criterio di imputabilità è assorbito nella colpevolezza ed è prevista
anche la preterintenzione.
Capacità di intendere vuol dire capacità di riconoscere le proprie azioni, mentre capacità di volere è la
capacità di controllare i propri impulsi, di autodeterminarsi.
Ci sono varie cause di riduzione o di esclusione di imputabilità come l’infermità di mente, oppure vizi che
prevedono un aumento di pena come ad esempio l’assunzione di sostanze stupefacenti. Se una persona è
soggetta ad un vizio totale di mente si ha proscioglimento ma applicazione di una misura di sicurezza se
accertato come pericoloso socialmente. Fino al 2015 le misure di sicurezza non avevano un tetto massimo di
durata perché la logica era che la misura di sicurezza dovesse essere applicata fino a che non cessasse la
pericolosità del soggetto e dunque non poteva essere stabilito a priori un massimo (disciplina tende ad
applicarla solo agli OPG, mentre per le altre vige il tetto del massimo della pena applicata senza
pericolosità). Dallo stesso anno gli OPG sono stati trasformati in REMS, strutture più specializzate collegate
con le strutture sanitarie e più indirizzate alla salute del ricoverato.
2) Accertata la imputabilità il giudice deve accertare il dolo o la colpa.
Per sapere cosa deve accertare il giudice deve fare riferimento all’art. 42, in quanto grazie a questo egli sa
che se deve trattare di un delitto dovrà accertare il dolo, se invece si tratta di una contravvenzione dovrà
accertare dolo e colpa. È più facile accertare la colpa perché nel dolo va accertato cosa è passato nella testa
dell’agente e dunque si baserà su indizi. Nei reati che prevedono solo l’ipotesi dolosa se non c’è almeno dolo
eventuale l’agente non verrà punito, se invece esiste anche l’ipotesi colposa si procederà ad un’accusa per
colpa.
3) Accertare la presenza di errore.
Se c’è errore viene meno il dolo, se non si sono presentati tutti gli elementi della fattispecie incriminatrice
non c’è dolo. La responsabilità di colpa per l’errore si ha quando esso sia imputabile all’agente, per
imperizia, imprudenza, ecc e se il fatto è punito anche nella forma colposa, altrimenti se vengono meno
queste due condizioni non si va incontro a punibilità. L’art. 47 cp prevede l’errore sul fatto, mentre l’art. 5
cp prevede l’errore sulla norma penale.
L’errore SUL FATTO può essere di fatto, ossia di percezione (scambio di biciclette, non è furto), oppure di
diritto, cattiva interpretazione e comprensione delle norme giuridiche (esempio prendere una bicicletta in
base alla convinzione che sia propria). La giurisprudenza disapplica l’ultimo comma (Errore di diritto)
prediligendo l’ERRORE SULLA NORMA PENALE. L’art. 5 cp fino al 1988 prevedeva in modo categorico che
nessuno potesse invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale. La Corte Costituzionale ha ritenuto
inaccettabile (n.364) rispetto al principio di personalità della responsabilità penale (27, 1) tale norma che è
stata dichiarata parzialmente illegittima, in quanto in certi casi va scusato l’errore sulla legge penale, ossia
quando si verifica che è stato inevitabile. L’elemento della conoscibilità della norma penale sta fuori da dolo e
colpa, è un elemento a sé. La scusabilità si ha SOLO nel caso in cui l’errore sia inevitabile. La questione di
legittimità dell’art. 5 era stata più volte presentata, ma era sempre stata rigettata dalla Corte perché ha
sempre detto che l’importanza era la conoscibilità della legge, data dalla pubblicazione sulla Gazzetta
Ufficiale nel periodo di vacatio legis.
(21/12) Odiernamente le norme penali sono meno chiare di quello che erano prima, tanto che sono spesso
diffusi i dibattiti fra le sezioni della Corte di Cassazione a proposito della corretta interpretazione della norma
penale, spesso risolto con il collegio delle Sezioni Unite (funzione di nomofilachia). Il cittadino non può
essere rimproverabile se si comporta in modo coerente con la pronuncia delle Sezioni Unite, la Corte ha
dunque semplificato il contrasto fra le sezioni unite con una sentenza. Il cittadino deve comunque aver fatto
tutto ciò che era in suo potere per conoscere la norma penale per non essere rimproverabile. La scusabilità
non riguarda però delitti gravi come il maltrattamento, l’omicidio, la violenza ecc.
4) Accertare se si è in presenza di preterintenzione, intesa come misto di dolo e colpa. Si trova agli
art. 42, 43 cp.
In caso di vizio di mente dell’agente si apre la strada a due possibilità: (artt. 88-89 cp)
Vizio totale = proscioglimento e nel caso applicazione di una misura di sicurezza che solitamente è
la custodia in una REMS.
Vizio parziale = condanna con uno sconto di pena fino ad un terzo. In alcuni casi è anche prevista
la reclusione in una casa di cura e di custodia in cui viene curato l’agente, ma soltanto dopo aver
scontato la pena in carcere.
Per la minore età (artt. 97-98 c.p.) l’ordinamento prevede che sotto i 14 anni vige la presunzione assoluta di
incapacità, tra i 14 e i 18 invece è necessario un accertamento in concreto ed è spesso associata ad una
diminuzione di pena come nel caso di seminfermità, sempre e comunque il minore fra i 14 e i 18 che è
riconosciuto come imputabile deve avere questa diminuzione di pena a prescindere dal bilanciamento delle
attenuanti ed aggravanti; questo deriva da una sentenza della Corte Costituzionale che è intervenuta a
determinare l’analisi della minore età in sede di bilanciamento, affermando anche che per il minore non si
può arrivare all’ergastolo.
Un fenomeno molto noto è l’ubriachezza per cui il legislatore ha dettato una minuziosa disciplina di ipotesi di
reato realizzato in condizioni di ubriachezza più o meno intensa. Si distingue infatti, in ordine di intensità
crescente, ubriachezza accidentale, volontaria o colposa, preordinata, abituale e per ultima l’intossicazione
cronica.
IL DOLO NEL DELITTO TENTATO. Perché si abbia delitto tentato sono necessari l’univocità e l’idoneità
degli atti compiuti dall’agente. Il tentativo richiede necessariamente il dolo, perché in un delitto colposo non è
possibile che gli atti siano univoci, ossia non possono fra capire la reale intenzione dell’agente di realizzare il
delitto. Quando c’è un reato causale puro (tutto incentrato sulla causazione di un evento a prescindere dalle
modalità) la questione può essere più difficile, ma comunque la forma di cui si discute è il dolo. L’abbandono
della distinzione fra atti preparatori e atti esecutivi è servita a poter anticipare la punibilità di un tentativo.
Uno dei problemi che si è posto in giurisprudenza è se tutte le forme di dolo siano conciliabili con il tentativo:
il dubbio può sussistere solo sulla compatibilità del dolo attuale. Non essendo sorretta da una intenzione, se
la sua condotta trova interruzione contro la sua volontà prima della commissione del reato di ha un delitto
tentato? La condotta ha posto in essere atti univoci ed idonei? Proprio perché non c’è intenzionalità è difficile
dire se gli atti siano univoci. Il delitto dolo in realtà non è risulta non conciliabile con il tentativo, ma è
necessario scendere ad un livello più profondo e più concreto, in quanto c’è una compatibilità teorica delle
due figure, traducibile sul piano pratico attraverso un accertamento concreto del singolo caso.
IL DOLO NEL REATO OMISSIVO. Perché ci sia dolo deve essersi rappresentata la situazione dalla quale
nasce il suo obbligo di intervenire quindi il soggetto deve conoscere l’obbligo ad attivarsi e nel caso di
omissivo improprio si deve rendere conto che intervenendo potrebbe evitare l’evento.
IL DOLO NEL CONCORSO DI PERSONE. Deve essere presente la reale intenzione di partecipare, non ci
deve essere per forza un accordo, può essere punito anche chi di sua sponte agisce senza un previo
accordo.
DOLO GENERICO = quando ci si riferisce al dolo richiesto da una norma incriminatrice, in tutti gli elementi
enunciati da essa. Art. 640 cp + art. 575 cp. Solitamente è riconoscibile dalla presenza di formulette come
“al fine di…” “allo scopo di…”.
DOLO SPECIFICO = si inserisce un altro elemento, solitamente una finalità specifica che la legge
espressamente prevede per restringere l’ambito di applicazione della fattispecie. Il giudice sarà chiamato ad
accertare anche la presenza di quella finalità specifica. Art. 624 cp + art. 583, 2°co, cp.
Ad esempio nel caso del furto il giudice dovrà accertare il dolo generico della fattispecie, quindi conoscenza
e volizione degli elementi della fattispecie prevista dalla norma penale (reato consumato), in più se la norma
prevede dolo specifico bisogna accertare che quella finalità era in capo al soggetto, ma non occorre che
l’oggetto della finalità sia stato ottenuto dall’agente. In un’impostazione oggettivistica bisogna stare attenti
che il legislatore non dia troppa importanza all’intenzione piuttosto che ai fatti. Per la sola finalità diversa la
pena si diversifica di molto.
L’art. 641 cp è a titolo di dolo generico o specifico?
LA COLPA si trova nell’art. 43 è si divide in COLPA GENERICA, ossia in presenza di un reato commesso
per negligenza, imprudenza e imperizia ( ricostruzione da parte del giudice), e in COLPA SPECIFICA, ossia
in presenza di un reato commesso per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline solo se
contengono norme cautelari. Si è chiamati a rispondere per colpa per quegli eventi che la regola cautelare
mirava proprio ad evitare e deve sussistere la concreta evitabilità con la condotta diligente.
La colpa non solo è un criterio di imputazione soggettiva, ma è anche un indice sul piano della tipicità
doppio grado della colpa. La lesione colposa è concepibile solo se contemporaneamente alla condotta del
soggetto si considera anche la violazione della norma cautelare, individuata fin dall’inizio, altrimenti il
processo non avrebbe luogo di esistere.
La previsione dell’evento in base all’art. 61, comma 3, cp è una circostanza aggravante, per questo si
distingue la colpa cosciente dalla colpa incosciente (vedi sopra).
(22/12) COMMISURAZIONE DELLA PENA. Nella fase di commisurazione della pena, una volta che sono
stati accertati tutti gli elementi costitutivi del reato deve decidere che pena dare entro la cornice edittale,
motivando l’esercizio del suo potere discrezionale. La sentenza dovrebbe essere sempre motivata ai fini del
ricorso anche se la Cassazione non censura la mancanza di motivazione in caso di pena minima.
Il giudice come prima cosa deve valutare la gravità del reato e l’art. 133 dice quali sono gli indici da guardare
in base ai quali il reato si colloca ad un determinato livello di gravità in un’ipotetica scala. L’articolo recita
cosi. Art. 133. Gravità del reato: valutazione agli effetti della pena.
Nell'esercizio del potere discrezionale indicato nell'articolo precedente, il giudice deve tener conto della
gravità del reato, desunta:
1) dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall'oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità
dell'azione;
2) dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato;
3) dalla intensità del dolo o dal grado della colpa.
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