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CAPITOLO 9: STRUTTURA GENERALE DI REATO
Le teorie sulla struttura del reato
Fu merito della scuola classica avere avviato in modo scientifico lo studio del diritto penale attraverso l'analisi del reato quale ente giuridico astratto; si affermò infatti che il reato era composto di due elementi, una forza fisica, corrispondente all'elemento oggettivo, ed una forza psichica, corrispondente all'elemento soggettivo. Da allora il reato fu studiato distinguendo gli elementi che lo compongono per comprendere i loro reciproci rapporti. Se non che il modello analitico nello studio del reato aveva portato a perdere di vista il significato unitario che la pluralità degli elementi del reato.
Negli anni '30, alcuni autori tedeschi proposero di affrontare l'analisi del reato secondo un modello sintetico: il ricorso all'intuizione come strumento di analisi del reato costituiva lo strumento per spazzare via dalla dogmatica l'approccio analitico; al contrario,
l’intuizione come metodo di analisi del reato, lascia solo spazio ad unadiscrezionalità giudiziale così ampia da tracimare in arbitrio. Conferma l’arbitrarietà del metodo intuitivo il fatto che esso si sia affiancato a due momenti di crisi del diritto penale durante il nazionalsocialismo: l’ingresso dell’analogia in materia penale e del diritto penale d’autore. Dunque, l’unico approccio possibile allo studio del reato non può che essere di tipo analitico e sul punto la dottrina ha elaborato diversi modelli di teoria generale; le due principali correnti dottrinali optano per la bipartizione o la tripartizione del reato. Secondo la concezione bipartita, il reato si compone di due elementi: il fatto oggettivo e l’elemento soggettivo. Nel fatto oggettivo sono compresi tutti gli elementi oggettivi richiesti dalla singola fattispecie incriminatrice, ovvero i cosiddetti elementi positivi del fatto (es: nell’omicidio, lacausazione della morte di un uomo). Possono però sussistere particolari situazioni in presenza delle quali il fatto è autorizzato o imposto dall'ordinamento giuridico: si tratta delle cosiddette cause di giustificazione, che possono autorizzare o imporre un fatto che, in loro assenza, costituirebbe reato; secondo la teoria bipartita, queste scriminanti costituiscono elementi negativi del fatto, anch'essi di natura oggettiva. Al fatto oggettivo (che abbiamo appena visto essere composto da elementi positivi del fatto + assenza di cause di giustificazione), si affianca l'elemento soggettivo (ovvero coscienza e volontà dell'azione o omissione, dolo o colpa), in quanto la responsabilità penale non può essere fondata solo sulla base di elementi di natura oggettiva. Secondo i suoi sostenitori, la teoria bipartita corrisponde alla disciplina del codice penale come emergerebbe dal raffronto tra gli Art. 47 e 59 ultimo comma cp: il primo prevede
chel'errore sul fatto esclude la punibilità per assenza di dolo, ma se si tratta di errore determinato da colpa, residua una responsabilità colposa se il fatto è previsto dalla legge come reato colposo; il secondo articolo in questione disciplina invece l'errore sull'esistenza di una causa di giustificazione: questo errore esclude la responsabilità del soggetto per assenza di dolo, ma residua una responsabilità colposa in caso di errore colposo, sempre che il fatto sia previsto dalla legge come delitto colposo. I due tipi di errore sono speculari: nel primo il soggetto si rappresenta erroneamente un elemento positivo del fatto; nel secondo il soggetto si rappresenta erroneamente l'esistenza di un elemento negativo che deve mancare affinché il fatto costituisca reato. Secondo la teoria tripartita, gli elementi costitutivi del reato vanno ricondotti alle tre categorie del fatto tipico (include gli elementi oggettivi del
La tripartizione del reato
La tripartizione del reato è una teoria che suddivide il reato in tre elementi fondamentali: l'elemento oggettivo, l'elemento soggettivo e l'elemento colpevole. Questa suddivisione permette di analizzare in modo dettagliato la struttura del reato e le sue diverse componenti.
L'elemento oggettivo del reato si riferisce all'azione compiuta dal soggetto, ad esempio l'omicidio di una persona. Questo elemento viene accertato in primo luogo dal giudice durante il processo.
L'elemento soggettivo del reato riguarda le intenzioni o le motivazioni del soggetto che ha commesso l'azione. Ad esempio, se l'omicidio è stato commesso con dolo (intenzionalmente) o con colpa (negligenza).
L'elemento colpevole del reato si riferisce alla responsabilità morale del soggetto per l'azione commessa. Questo elemento identifica gli elementi soggettivi che consentono di muovere al soggetto un rimprovero per il fatto commesso.
Secondo i sostenitori di questa teoria, la tripartizione del reato offre due vantaggi. In primo luogo, sembra adeguarsi meglio al procedimento di accertamento giudiziale del reato, in quanto il giudice accerta in primo luogo l'elemento oggettivo, poi l'assenza di cause di giustificazione e infine l'elemento soggettivo. In secondo luogo, la tripartizione consente di far emergere le specifiche funzioni a cui rispondono le tre categorie dogmatiche.
Secondo questa impostazione, le scriminanti non avrebbero natura strettamente penale, ma sarebbero norme generali dell'ordinamento giuridico nella sua interezza, che regolano le situazioni in cui l'azione non è considerata reato.
Rendono appunto legittimo il fatto in qualsiasi settore dell'ordinamento. La distinzione tra i due modelli teorici, a ben vedere, si riduce alla diversa collocazione delle scriminanti che per la concezione bipartita costituiscono elementi negativi del fatto e per la teoria tripartita fondano la categoria autonoma dell'antigiuridicità. A questi due principali modelli strutturali del reato si affianca la concezione quadripartita, che, come la teoria tripartita, utilizza le categorie del fatto tipico, dell'antigiuridicità e della colpevolezza, alla quale si affianca anche la punibilità, a cui vanno ricondotte alcune particolari situazioni che, per esigenze di politica criminale, escludono l'applicazione della pena pur in presenza degli altri elementi costitutivi del reato. Si tratta delle cause personali di non punibilità, come le immunità, che per ragioni politiche escludono la punibilità dell'autore per alcuni reati; vi
Rientrano anche le cause sopravvenute di non punibilità, nelle quali la ragione del "non punire" risiede nell'incentivare la condotta antitetica a quella diretta a produrre l'offesa. Nella teoria quadripartita la punibilità è requisito costitutivo del reato: se il fatto non è punibile il reato non sussiste. A prescindere dalla collocazione dogmatica della punibilità, è indubbio che la teoria quadripartita ha messo in evidenza l'importanza che la categoria della non punibilità riveste nelle scelte di politica criminale, alle quali il legislatore presta particolare attenzione: diversi istituti intervengono ad escludere, a determinate condizioni, la punibilità di un fatto costitutivo di reato per ragioni di sussidiarietà della risposta penale rispetto a fatti non particolarmente significativi sul piano dell'offesa al bene giuridico o per i quali sono immaginabili percorsi alternativi alla
classica applicazione della sanzione penale. Ora, esclusa la teoria quadripartita, l'opzione a favore della concezione bipartita o tripartita non riveste un ruolo così significativo nell'interpretazione delle norme penali, come dimostra il fatto che nella prassi applicativa la giurisprudenza tralascia ogni questione sulla struttura dogmatica del reato. La scelta del modello teorico nel quale incasellare gli elementi del reato costituisce un'opzione essenzialmente dottrinale e di appartenenza a scuole di diritto penale. Distinzione tra delitti e contravvenzioni Il reato è quell'illecito per il quale l'ordinamento prevede come conseguenza sanzionatoria una pena; i reati si distinguono in delitti e contravvenzioni in ragione del criterio formale della pena principale per essi prevista: per i delitti, ergastolo, reclusione e multa; per le contravvenzioni ammenda e arresto. La distinzione, dunque, non è data dalla gravità delle sanzioni. AllaDistinzione tra delitti e contravvenzioni corrispondono differenti regole di disciplina, che si analizzeranno in relazione ai diversi istituti. In prospettiva di riforma, parte della dottrina propone di superare la dicotomia tra delitti e contravvenzioni in favore di una unitaria categoria di reati. La scelta sul modello da adottare coinvolge necessariamente anche gli illeciti amministrativi a carattere punitivo, in quanto si dovrebbe capire quale spazio assicurare a questa tipologia di illecito rispetto ai reati: parte della dottrina, infatti, ritiene che sarebbe preferibile se il sistema si orientasse nel prevedere un' unica tipologia di reati (i più gravi), evitando così la proliferazione delle contravvenzioni che attualmente invadono il sistema sanzionatorio e che dovrebbero essere convertite in illeciti amministrativi.
CAPITOLO 10: SOGGETTI
Il soggetto attivo del reato: reati comuni e reati propri
Soggetti attivo del reato (autore) è chi realizza il fatto descritto
della responsabilità penale. Ad esempio, nel caso di reati di corruzione, è necessario che il soggetto attivo sia un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio. Inoltre, è importante sottolineare che la responsabilità penale può essere attribuita solo alle persone fisiche, e non agli enti collettivi. Questo significa che le aziende, le associazioni o altre entità giuridiche non possono essere perseguite penalmente per i reati commessi dai loro rappresentanti o dipendenti. Infine, va precisato che la maggior parte dei reati può essere commessa da chiunque, indipendentemente dal suo status sociale o professionale. Tuttavia, ci sono casi in cui la norma incriminatrice richiede specifiche qualifiche o condizioni per la commissione del reato. Ad esempio, nel caso di reati contro la pubblica amministrazione, è necessario che il soggetto attivo sia un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio.della fattispecie, la presenza di particolari qualifiche personali in capo al soggetto: si contrappongono così i reati comuni ai reati propri. L'individuazione della natura comune o propria del reato dipende dalla struttura della singola fattispecie incriminatrice, perché nei reati propri la qualifica costituisce elemento essenziale di fattispecie e delimita la sfera dei destinatari del precetto. Non sempre è indice della natura di reato comune il fatto che il legislatore identifichi l'autore con espressioni tipo "chi", "chiunque", in quanto la struttura del fatto di reato può indicare una delimitazione dei destinatari del precetto: si pensi, ad esempio, al delitto di abbandono di persone minori o incapaci che non può essere commesso da chiunque, come sembrerebbe evincersi dalla norma, ma solo da chi abbia un dovere di cura e di custodia nei confronti del soggetto abbandonato. La qualifica può essere naturalistica (la)madre nel delitto di infanticidio in condizioni di abbandono morale e materiale) oppure giuridica (pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio)