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L’INTERPRETAZIONE DEI TRATTATI

Il problema dell’interpretazione dei trattati ha dato luogo storicamente a un gran

numero di controversie tra gli Stati. La Convenzione di Vienna regola l’interpretazione

agli artt. 31, 32, 33, i quali sono generalmente considerati espressioni di diritto

consuetudinario e come tali vincolano tutti gli Stati e non solo quelli aderenti alla

Convenzione. I giudici interni devono interpretare le norme dei trattati secondo i criteri

codificati dalla Convenzione di Vienna, non trova pertanto applicazione ad es. l’art. 12

preleggi (interpretazione delle leggi).

Articolo 31: Regola generale di interpretazione

1. Un trattato deve essere interpretato in buona fede seguendo il senso ordinario da attribuire ai termini del trattato nel

loro contesto e alla luce del suo oggetto e del suo scopo.

2. Ai fini dell'interpretazione di un trattato, il contesto comprende, oltre al testo, il preambolo e gli allegati ivi

compresi:

- ogni accordo in rapporto col trattato e che è stato concluso fra tutte le parti in occasione della conclusione

del trattato;

- ogni strumento posto in essere da una o più parti in occasione della conclusione del trattato e accettato

dalle parti come strumento in connessione col trattato.

3.Si terrà conto, oltre che del contesto:

- di ogni accordo ulteriore intervenuto fra le parti in materia di interpretazione del trattato o della

applicazione delle sue disposizioni;

- di qualsiasi prassi successivamente seguita nell'applicazione del trattato attraverso la quale si sia formato

un accordo delle parti in materia di interpretazione del medesimo;

- di qualsiasi regola pertinente di diritto internazionale applicabile nei rapporti fra le parti.

- Un termine verrà inteso in un senso particolare se risulta che tale era l'intenzione delle parti.

Articolo 32: Mezzi complementari di interpretazione

Si può fare ricorso ai mezzi complementari di interpretazione, e in particolare ai lavori preparatori e alle circostanze

nelle quali il trattato è stato concluso, allo scopo, sia di confermare il senso che risulta dall'applicazione dell'art. 31, sia

di determinare il senso quando l'interpretazione data in conformità all'articolo 31:

- lascia il senso ambiguo o oscuro; oppure

- conduce ad un risultato che è manifestamente assurdo o irragionevole.

Articolo 33: Interpretazione dei trattati autenticati in due o più lingue

1. Quando un trattato è stato autenticato in due o più lingue, il suo testo fa fede in ciascuna di queste lingue, a meno che

il trattato non disponga o che le parti non convengano che in caso di divergenza prevalga un testo determinato.

2. Una versione del trattato in una lingua diversa da una di quelle in cui il testo è stato autenticato sarà considerata come

testo autentico solo se il trattato lo prevede o se le parti si sono accordate in tal senso.

3. Si presume che i termini di un trattato abbiano lo stesso significato nei diversi testi autentici.

4. Salvo il caso in cui un testo determinato sia destinato a prevalere ai sensi del paragrafo 1, quando il raffronto dei testi

autentici fa apparire una differenza di senso che l'applicazione degli articoli 31 e 32 non permette di eliminare, si

adotterà il senso che, tenuto conto dell'oggetto e del scopo del trattato, permette di meglio conciliare i testi in questione.

L’art. 31 stabilisce, come regola generale, che un trattato deve essere interpretato in

buona fede secondo il significato ordinario da attribuirsi ai termini del trattato nel loro

13

contesto e alla luce dell’oggetto e dello scopo del trattato medesimo; che occorre

tener conto anche del “contesto” in cui il trattato si situa, ossia degli altri accordi o

strumenti posti in essere dalle parti in occasione della conclusione del trattato; e che

occorre altresì tener conto di accordi successivi o di prassi seguite dalle parti

nell’interpretazione e applicazione del trattato, nonché di qualsiasi regola pertinente di

diritto internazionale applicabile tra le parti.

L’interprete deve quindi procede all’interpretazione combinando 2 metodi:

1) il metodo testuale o letterale, secondo il quale bisogna far riferimento alla

volontà dichiarata dalle Parti, che risulta palese dal testo, e non alla volontà

effettiva delle parti, come avviene invece nel caso dell’interpretazione dei

contratti nel diritto interno.

2) Il metodo teleologico o finalistico secondo il quale bisogna interpretare un

trattato tenendo conto delle finalità dello stesso, cioè dell’oggetto e dello scopo.

Questi 2 metodi si combinano tra loro, ma in caso di dubbio si predilige

l’interpretazione conforme allo scopo del trattato. Soprattutto in caso di dubbi

sull’interpretazione di trattati in materia di diritti umani, verrà favorita

l’interpretazione conforme alla tutela degli stessi.

Tuttavia il metodo interpretativo basato sulla volontà delle parti non è totalmente

ignoto al diritto internazionale, esso ha però portata residuale dal momento che entra

in gioco quando risulti dal trattato stesso che una determinata questione sia rimessa

al diritto nazionale. Ad es. nel caso delle convenzioni che hanno l’obiettivo di unificare

il diritto privato tra stati (come le convenzioni in materia di vendita internazionale tra

gli stati dal momento che vi è lo sforzo di arrivare ad una disciplina comune), queste si

interpretano sia mediante le regole generali previste dalla Convenzione di Vienna, che

facendo riferimento alla disciplina di uno Stato specifico. Ad es.: le convenzioni che

parlano del trust rimandano al diritto interno dello stato il cui ordinamento disciplina

questo istituto, dunque a quelli degli Stati anglosassoni. Si tratta di una deroga all’art.

31.

Tuttavia il problema maggiore sorge nel caso di trattati plurilingue. Questo è un

fenomeno che è andato intensificandosi con l’aumento della cooperazione tra Stati in

seguito alla 2° guerra mondiale. Il trattato è solitamente concluso in una lingua che fa

fede che deve quindi essere utilizzata ai fini dell’interpretazione. (In realtà solitamente

si scelgono un paio di lingue che fanno fede: inglese e francese). Accanto alle lingue

che fanno fede ci possono essere le traduzioni in altre lingue, ciò per agevolare la

diffusione del trattato negli altri Stati.

Può capitare però che la stessa espressione, tradotta in 2 lingue che fanno fede, abbia

un significato differente. È un caso che si verifica spesso nel momento in cui abbiamo

2 lingue diverse di 2 stati che hanno tradizioni giuridiche differenti.

Ricordiamo a tal proposito la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia che nel

1989 ha deciso il caso ELSI il quale vedeva contrapposti Stati Uniti d’America e Italia.

La Elsi s.p.a. venne nazionalizzata (era il periodo della nazionalizzazione del mercato

dell’energia elettrica). Dato che i soci erano tutti americani, questi sostenevano che il

processo di nazionalizzazione fosse illegittimo perché li avrebbe privati dei loro beni e

perciò sollevarono la questione davanti alla Corte di giustizia. A sostegno della loro tesi

gli USA invocarono la disposizione del Trattato di amicizia, commercio e navigazione

del ’48 il quale stabilisce :

- Nel testo in italiano: che i cittadini che fanno parte di uno Stato possono essere

titolari di diritti reali nell’altro stato. 14

- Nel testo in inglese: che i cittadini di uno Stato possono essere titolari di

interests nell’altro Stato.

Dunque si parla di diritti reali nei sistemi di civil law e di interests nei sistemi di

common law.

Il problema è che si tratta della nazionalizzazione di una società italiana i cui soci sono

americani. I soci, secondo la disposizione del trattato del ’48, devono essere sono

considerati proprietari? Per quanto riguarda il diritto italiano i titolari della proprietà

non sono i soci, ma la società in quanto soggetto giuridico autonomo e distinto. La

disposizione così come appare scritta nella lingua italiana ha perciò un senso

restrittivo in quanto i beni non sono di proprietà dei soci, ma della società e dunque la

disposizione negherebbe la tutela ai soci americani. Il testo inglese parla invece di

interests e nel diritto americano il termine interest ha un significato più ampio e

comprende anche la tutela indiretta dei soci. I 2 termini hanno diversa portata e dal

momento che non esistono termini che abbiano, in merito, lo stesso significato, il

conflitto è inevitabile. Questo tema è affrontato dal paragrafo 4, art. 33 della

Convenzione di Vienna: quando vi è differenza di senso, come in questo caso, si adotta

il senso che tiene conto dell’oggetto e dello scopo e che permette di conciliare al

meglio il testo in questione”. Questo principio è detto di conciliazione dei testi. La

Corte Internazionale di Giustizia afferma perciò che bisogna interpretare il testo

applicando il metodo teleologico, ossia tenendo conto dello scopo del trattato che in

questo caso è lo sviluppo del commercio e perciò interpreta il testo del trattato

facendo prevalere il significato più ampio del termine interest.

SUCCESSIONE NEI TRATTATI

Il problema della successione nei trattati si pone a cavallo tra sovranità degli Stati e

rispetto dei trattati. Si verifica infatti quando uno Stato si sostituisce ad un altro nel

governo di una comunità territoriale: esso è vincolato dai trattati stipulati dal suo

predecessore e in vigore in quel territorio? La sostituzione può avvenire per le cause e

nei modi più vari. Può anche accadere che più Sati si fondino tra loro: ad es. Germania

est e Germania ovest.

Alla “successione degli Stati rispetto ai trattati” è dedicata una grande Convenzione di

codificazione: Convenzione di Vienna del 1978 (che non è importate quanto quella del

’69 essendo stata ratificata solo da 22 Stati tra cui non figura l’Italia).

In materia di successione nei trattati esistono 2 grandi tendenze:

• Una è favorevole al mantenimento degli impegni assunti dal predecessore:

regola della continuità dei trattati;

• L’altra è favorevole alla libertà degli Stati sul proseguimento o meno degli

impegni assunti dal predecessore: regola della tabula rasa.

Tradizionalmente la regola della tabula rasa ha avuto un grande seguito, ma

ultimamente si è affermata con più forza la regola della continuità. Queste 2 regola

vogliono tutelare interessi differenti:

• la regola della continuità si preoccupa della stabilità delle relazioni

internazionali tra gli Stati;

• la regola della tabula rasa si preoccupa di tutelare il più possibile la sovranità

de

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
57 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/13 Diritto internazionale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher l.pallina di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto internazionale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università "Carlo Cattaneo" (LIUC) o del prof Malatesta Alberto.