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ELEMENTI DEI QUALI SI DEVE TENERE CONTO:

1. ll fatto che, per esempio, gli Stati parti dell’accordo abbiano concluso un

accordo successivo volto o che abbia l’effetto di interpretare il primo

ed allora se da quel nuovo accordo risulta la interpretazione del primo

bisogna tenerne conto.

2. Allo stesso modo pure bisogna tenere conto di un altro elemento

importante, ovvero sia la prassi successiva: due o più Stati fanno un

accordo poi, con riferimento a quell’accordo, tengono un comportamento

di fatto prolungato, una prassi. Ebbene, la convenzione statuisce che se

questa prassi mostra l’esistenza di un accordo sulla interpretazione allora 1

bisogna tenerne acconto; Villani aggiunge che la prassi è significativa ai

fini interpretativi non solo se dimostra che c’è un accordo con un incontro

di volontà, ma anche se si tratta di una prassi che assomiglia di più ad una

consuetudine, ovvero sia un comportamento di fatto che però fa emergere

fra le possibili, differenti interpretazioni di un trattato, uno specifico che si

consolida: a volte, anzi, può essere persino un po’ problematico

distinguere una prassi interpretativa da una consuetudine modificativa, ma

la cosa non ci interessa in questo momento, ciò che però Villani tiene ad

aggiungere – lo ripetiamo – rispetto a quanto scrive la convenzione di

Vienna è che la prassi successiva (riferita ad un accordo, consistente con

quell’accordo) Villani la ritiene rilevante sul piano interpretativo non solo

quando esprime un incontro di volontà su un certo significato ma anche

quando è un comportamento di fatto il quale però consolida una delle

possibili interpretazioni.

3. In questo quadro la convenzione di Vienna non dimentica I LAVORI

PREPARATORI, quelli cioè che in un’ottica ottocentesca potevano essere

l’elemento più importante, ma una volta scelta nettamente la via della

interpretazione oggettiva, i lavori preparatori POSSONO AVERE SOLO UN

VALORE AUSILIARIO, COMPLEMENTARE: siccome il lavoro preparatorio mette

in luce la discussione, le volontà che gli Stati esprimevano nel negoziato o al

momento della conclusione, questi – secondo la convenzione – possono

intervenire solo se la interpretazione oggettiva ci conduce a risultati ambigui,

poco sicuri: se non si riesce, dunque, a definire bene il significato di una norma,

allora per chiarire l’ambiguità si può far riferimento appunto ai lavori preparatori;

un’altra ipotesi è quella in cui, partendo dalla lettera del trattato o dal contesto, si

arriva – dice la convenzione – a delle conseguenze o a dei risultati palesemente

assurdi: anche in questo caso, allora, l’assurdità va corretta con i lavori

preparatori.

Villani aggiunge che, per quanto riguarda i lavori preparatori come mezzo

ausiliario alla interpretazione nel caso in cui il significato resti ambiguo, qualcuno

ha detto argutamente che in questi casi i lavoratori preparatori servono a poco

perché normalmente l’ambiguità del testo corrisponde all’ambiguità del negoziato

e questo – dice Villani – forse è vero. 

Certo è che sono comunque rari i casi in cui i lavori preparatori ci fanno luce

Villani ricorda una caso celebre nella storia interpretativa che concerne le

questioni legate ad un diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza: vi sono dei

problemi interpretativi ed allora si usa richiamare una dichiarazione fatta nella

conferenza di San Francisco (conferenza che approva la Carta dell’ONU);

siccome non si capiva bene sino a che punto potesse o dovesse essere usato

questo privilegio del diritto di veto (che hanno ognuno di questi 5 Stati: Stati Uniti,

Russia, Cina, Francia e Regno Unito, dunque, con il solo voto contrario nel

Consiglio di Sicurezza ognuno di questi può impedire, precludere, far bocciare

qualunque risoluzione) e siccome preoccupava questo che non può non

chiamarsi privilegio e, quindi, alla conferenza di San Francisco davanti ai

chiarimenti e alle obiezioni di altri Stati, gli stessi Paesi in questione fecero una

dichiarazione che era proprio chiarificativa ed ogni qualvolta la si cita può dire

tutto ed il contrario di tutto, cioè è veramente un capolavoro di ambiguità

diplomatica. 1

La interpretazione oggettiva può ulteriormente essere complicata nella ipotesi

frequentissima in cui il trattato sia redatto in più lingue: se l’Italia e San Marino

concludono un accordo questo problema non si presenta ma, non appena l’Italia o tutti

gli Stati del mondo, concludono un accordo o bilaterale (fra Paesi di lingua diversa) o

multilaterale, allora evidentemente il testo dell’accordo sarà fatalmente scritto in più

lingue aventi tutte valore ufficiale.

E’ molto importante fare questa precisazione perché è frequentissimo che i trattati siano

tradotti nella lingua dello Stato in questione: per esempio, nella Gazzetta Ufficiale della

Repubblica Italiana solitamente c’è una traduzione in italiano dei trattati conclusi (anche

se l’italiano non è lingua ufficiale); si pensi, per esempio, alla Carta dell’ONU: quella è

una bella traduzione, ma non è testo ufficiale, non fa fede, per cui se sorge una

controversia non ci si può riferire a questa traduzione.

Talvolta – dice Villani – hanno anche qualche piccolo errore ed inoltre, anche nella

traduzione accuratissime, è frequentissima l’espressione sia che… sia che… sia che: in

realtà si tratta di un errore dal francese perché in francese sois sois (leggi suà suà) non

vuol dire sia che… sia che… ma vuol dire o…o, è cioè una disgiuntiva perché in francese

dire sia in un caso che nell’altro si dice in tutt’altro modo.

Ora, cominciamo dal dire che le traduzioni ufficiose non le possiamo prendere in

considerazione ma ci dobbiamo fermare ai testi ufficiali: quando questi sono in lingue

diverse, può sorgere il problema di significati, di termini, leggermente diversi

DOMANDA: Ed allora che cosa si fa in questo caso? Può prevalere una lingua sull’altra?

RISPOSTA: Non può prevalere nulla perché i testi delle varie lingue hanno eguale valore

ed allora se c’è – come a volte capita – un contrasto, l’unica soluzione è di conciliare i

termini, sia pure leggermente diversi, avendo come criterio guida l’oggetto e lo scopo,

conciliari dunque – per trovare una comune espressione – in vista dell’oggetto e dello

scopo.

Quello che è da evitare perché giuridicamente sbagliato, è pensare che le autorità di uno

Stato applichino l’accordo dando la prevalenza alla propria lingua: lo farà in via di fatto,

ma se ciò comportasse una divergenza con gli altri testi essa sarebbe giuridicamente

scorretta, sarebbe giuridicamente sbagliata.

Sempre in relazione ai termini, al profilo letterale, non dimentichiamo che ormai molte

convenzioni internazionali tendono ad unificare il diritto (anche il diritto privato, per

esempio): la convenzione de l’Aia sulla vendita internazionale è il contratto di diritto

privato di vendita, o la convenzione di Bruxelles (che ora è diventato un regolamento

44/2000) sulla giurisdizione ed il riconoscimento delle sentenze straniere con riferimento

al quale – come vedrai facendo procedura civile – i due temi essenziali nella procedura

civile (cioè il limite della giurisdizione dello Stato ed il valore delle sentenze straniere)

sono di derivazione europea.

In questi casi di testi convenzionali che hanno come oggetto unificare o uniformare

(almeno ravvicinare) il diritto degli Stati (sono chiamate CONVENZIONI DI DIRITTO

UNIFORME) sono pieni evidentemente di termini giuridici (giurisdizione, competenza,

domicilio, residenza, sentenza) ed i termini giuridici hanno o possono avere – e spesso

ce l’hanno – un significato diverso da Paese a Paese: ecco quindi che anche qui, come

la lingua, la tentazione dell’operatore giuridico (a cominciare dal giudice) sarà quella che

viene chiamata tentazione legeforista, è un neologismo dove legeforista significa

tentazione di interpretare l’accordo in base alla legge del giudice del foro (per cui il

giudice italiano dirà domicilio, residenza, sentenza, capacità prendendo il codice civile

italiano e dunque saprà cosa significano questi termini, altrettanto farà quello francese,

quello belga ecc).

DOMANDA: Qual è il risultato di questa interpretazione i base al proprio ordinamento? 1

RISPOSTA: Il risultato è che la convenzione di diritto uniforme non è più uniforme perché

si sbriciola, si divide in tanti rivoli a seconda di quali sono gli orientamenti interpretativi

dei vari giudici e viene così pregiudicato l’obiettivo.

Ecco quindi che, per queste convenzioni, è particolarmente rigorosa l’indicazione di

garantire anche una interpretazione uniforme, ovvero sia trovare in questi termini giuridici

un significato che non sia quello unilaterale dello Stato (o, come dicevamo prima,

legeforista) ma un significato che sia condiviso dagli Stati e, se la cosa fosse

particolarmente difficile, abbiamo sempre l’orientamento, il criterio (che è quasi la stella

polare della interpretazione) dell’oggetto e lo scopo per conciliare appunto i significati dei

termini giuridici.

Dobbiamo aggiungere che, per fortuna, in molti settori (quelli almeno che derivano dalla

UE) noi non abbiamo solo criteri uniformi ma abbiamo anche un giudice, ovvero sia la

Corte di Giustizia delle comunità europee, la quale in queste materie riesce a garantire

una interpretazione unitaria alla quale poi i giudici dei 27 Paesi membri sono obbligati a

vincolarsi.

Dicevamo all’inizio che un’altra caratteristica della interpretazione era originariamente una

tendenza restrittiva: si cercava insomma di desumere dal trattato gli obblighi che

sicuramente ne derivavano appunto in omaggio a questo principio di sovranità; sul punto

la convenzione di Vienna non ci dice nulla (cioè non dice restrittiva o estensiva) perché

non ce n’è bisogno: infatti, nel momento in cui l’interpretazione è oggettiva allora non c’è

bisogno né di prescrivere che sia restrittiva né di consentire che sia estensiva, perché

l’interpretazione è quella che corrisponde alla lettera, al contesto e all’oggetto e allo

scopo.

Potremmo dunque dire – non perché siano dei trattati ma quasi prendendo i principi

generali degli ordinamenti statali – che, se del caso, la norma convenzionale la

interpreteremo i

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Publisher
A.A. 2009-2010
393 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/13 Diritto internazionale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher albertovadala di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto internazionale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Libera Università internazionale degli studi sociali Guido Carli - (LUISS) di Roma o del prof Villani Ugo.