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Questo non vuol dire che la cornice è meno importante del dipinto: la cornice definisce i
confini e contiene quello che è poi l’affermazione di un diritto sostanziale.
Le parti sono libere di scegliere (autonomia contrattuale) sia il diritto sostanziale che il
diritto processuale arbitrabile. Le parti possono scegliere nella clausola arbitrale che gli
arbitri decidano la lite secondo es. il diritto sostanziale svizzero e possono allo stesso
modo decidere che il diritto processuale sia di loro scelta. Il diritto processuale non deve
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essere necessariamente uguale a quello sostanziale, in arbitrato si può chiedere agli
arbitri di decidere secondo il diritto svizzero ma ispirati da un diritto processuale diverso da
quello svizzero. È una libertà piena che le parti hanno. C’è un unico limite quanto alla
scelta del diritto processuale: osservanza dei principi di ordine pubblico processuale del
luogo della sede dove le parti hanno deciso di radicare il procedimento. È chiaro che
questa libertà di fatto ha scelte obbligate. Perché? Parliamo del diritto sostanziale: nei
contratti internazionali, cosa che non avviene in quelli domestici che sono ispirati dal diritto
italiano del codice civile, una delle clausole più importanti è la scelta del diritto sostanziale
che regge il contratto. Le parti spesso inseriscono una clausola in cui dicono es. “il
contratto è retto dalla legge belga”. Le parti teoricamente potrebbero anche scegliere una
certa legge sostanziale che governa il contratto e una diversa legge sostanziale che gli
arbitri dovranno applicare per decidere chi vince o chi perde l’arbitrato. È ovvio che è una
scelta assurda. E’ come dire che dobbiamo fare un contratto ispirandoci alla legge belga,
qualcosa va storto, e gli arbitri devono decidere chi vince e chi perde con la legge inglese.
È ovvio che c’è qualcosa che non quadra, ma teoricamente lo possono fare. Non succede
quasi mai, se succede è per dei refusi es. le parti hanno copiato la clausola arbitrale di un
altro contratto che parlava della legge inglese e non si sono accorte che nel contratto
avevano scritto la legge belga. Di base non avviene perché creerebbe dei problemi di
coordinamento difficilissimi quasi insormontabili in alcuni casi. Quindi il diritto sostanziale
che gli arbitri devono applicare è di solito il diritto che le parti stesse hanno scelto come
legge che governa l’intero contratto. Se c’è qualcosa che va storto nel contratto, gli arbitri
applicheranno la stessa legge che le parti dovevano osservare e che ispirava l’intero
contratto.
Il diritto processuale invece di solito non viene regolato nel contratto: non c’è una clausola
analoga a quella della legge sostanziale del contratto che indica la legge processuale. Le
parti inseriscono una clausola per la risoluzione delle controversie. Il diritto processuale
viene infatti in gioco quando c’è bisogno del processo, del giudice ordinario, quando
qualcosa va storto altrimenti se tutto procede regolarmente il contratto può essere
eseguito senza transitare dall’aula di un tribunale. Dunque quell’elezione di legge
processuale competente a conoscere del contratto non c’è in questi termini come c’è nella
legge sostanziale ma è in qualche modo inserita nel contratto attraverso una scelta della
giurisdizione o comunque dei modi attraverso i quali le parti scelgono di risolvere la
controversia. Quindi “clausola controversie” dove le parti scelgono di andare in tribunale o
di andare davanti ad un arbitro. Possono anche non dire nulla: se silenti sul punto ci
saranno dei criteri di collegamento che mi individueranno qual è il giudice statale
competente. Questo accade anche nei contratti internazionali dove le parti possono anche
omettere “foro competente tribunale di” perché un foro competente a conoscere di quella
lite ci sarà comunque, sarà da scoprire qual è con i criteri di competenza per territorio,
materia, valore nonché i criteri di collegamento nei contratti internazionali, le norme di
attuazione. Ci sono dunque dei criteri che indicano dove si deve andare a far causa.
Le parti possono in realtà scegliere quale tribunale: nei contratti nazionali domestici questo
avviene; nei contratti internazionali questo è eccezione, la regola è l’arbitrato e là si sceglie
quale forma, modello di arbitrato adottare in caso di controversie. Quello che è difficile per
le parti se non impossibile in molti casi è eleggere un tribunale ordinario competente a
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conoscere della loro controversia diverso da quello della propria nazionalità. Un italiano e
un inglese non possono decidere di andare davanti ad un giudice ordinario tedesco. Il
giudice li rimbalza in quanto è pagato dalle tasse dei cittadini tedeschi: le parti non hanno
alcun collegamento con l’ordinamento tedesco e quindi non possono. Sarebbe preferibile
se fosse possibile, perché si andrebbe davanti ad un giudice ordinario davvero terzo. Ma
non si può fare. Ci sono casi eccezionali: es. una parte del contratto da eseguire in
Germania. Dei criteri di collegamento residuale consentono di andare davanti ad un
giudice ordinario terzo ma di base i giudici dello Stato conoscono solo delle controversie
dei loro cittadini, dei loro tax payers. Non si può adire un giudice ordinario terzo: ed ecco la
fortuna dell’arbitrato che è l’unico strumento che consente es. ad un italiano ed uno
inglese di andare davanti ad un organo giudicante privato arbitro terzo.
Sede
Tutti gli ordinamenti moderni di arbitrato riconoscono alle parti il potere di determinare la
sede dell’arbitrato. Da noi è l’816 bis: “Le parti sono libere di scegliere la sede
dell’arbitrato”. La sede non è il luogo fisico in cui si svolgono le udienze cioè il luogo in cui
gli arbitri si riuniscono e si svolge il processo. La sede è un concetto giuridico in arbitrato,
non geografico. Spesso tuttavia le udienze sono organizzate dove è fissata la sede ma è
un discorso puramente organizzativo. Qual è il concetto di sede? La sede individua la
nazionalità dell’arbitrato: da all’arbitrato una bandiera. Scegliendo come sede dell’arbitrato
es. Miami, l’arbitrato sarà un arbitrato americano, non importa se l’udienza si svolge es.
Montecarlo. Il procedimento è di nazionalità americano. Fissando la sede, cioè una città,si
richiama automaticamente nel procedimento arbitrale le norme processuali inderogabili
della nazione in cui quella città si trova. Indicando come sede Miami si da nazionalità
americana al procedimento e si richiama in via inderogabile le norme pubbliche
processuali degli Stati Uniti. Perché? L’arbitrato internazionale non esiste. Si definisce
arbitrato internazionale l’arbitrato che ha dei profili di internazionalità, cioè delle
caratteristiche non solo domestiche: es. le parti sono di nazionalità diversa, il diritto
applicabile è diverso da quello delle parti. Sono profili di internazionalità ma l’arbitrato
internazionale non esiste perché l’arbitrato è un fenomeno che esiste tanto quanto
l’ordinamento in cui esso si svolge o comunque in cui, attraverso la scelta giuridica della
sede viene radicato, lo consente. L’arbitrato in Italia è possibile perché il c.p.c. dice che se
la sede dell’arbitrato è sul territorio della Repubblica, allora l’ordinamento consente di fare
l’arbitrato perché è sotto la sua giurisdizione. L’ordinamento consente alla parte di fare
l’arbitrato, se sceglie la sede in Italia, secondo le caratteristiche di cui all’art. 806 e ss. del
c.p.c. Gli ordinamenti indicano che tutto ciò che avviene entro i loro confini è consentito o
meno. Questo perché, avendo le parti scelto una sede in Italia, il fenomeno è italiano.
Stessa cosa fa la Francia, l’Algeria, il Bangladesh. Tali nazioni nel momento in cui
consentono o non consentono l’arbitrato lo fanno limitatamente ai fenomeni arbitrali che
hanno scelto come ordinamento processuale di riferimento rispettivamente la Francia,
l’Algeria e il Bangladesh. La nazione dice che nel momento in cui si sceglie il suo
ordinamento processuale attraverso la sede, allora essa decide se si può fare o meno
l’arbitrato ed entro quali limiti. Quindi non esiste un arbitrato internazionale ma un arbitrato
italiano, un arbitrato francese, un arbitrato algerino e un arbitrato del Bangladesh. Non
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esiste l’arbitrato internazionale ma esistono tanti arbitrati domestici che possono avere dei
profili di internazionalità e, a seconda di questi profili, alcuni Stati dettano una disciplina un
po’ diversa. Ci sono Stati in cui se si sceglie la sede del loro territorio, allora c’è una certa
disciplina perché quell’arbitrato è della loro nazionalità ma poi, se ci sono dei profili di
internazionalità, magari la disciplina viene derogata in alcune cose. Si rende la disciplina
un po’ più elastica. Es. l’Italia fino al 2006 diceva che se le parti avevano scelto la sede
dell’arbitrato nel territorio della Repubblica allora si applicavano gli artt. 806 ss. Poi partiva
un capo diverso che era l’arbitrato erroneamente chiamato internazionale: “se il
procedimento con sede in Italia ha queste caratteristiche (es. nazionalità delle parti
diversa, una parte sostanziale del contratto da eseguire fuori dall’Italia) allora la disciplina
dettata per l’arbitrato domestico è derogata rispetto agli artt. x, y, z”. Prima del 2006 es. la
clausola arbitrale doveva essere oggetto di doppia firma nei contratti con i consumatori. Se
però l’arbitrato italiano ha profili di internazionalità allora non era richiesta la doppia firma.
Ancora, certi motivi di impugnazioni se l’arbitrato italiano aveva profili di internazionalità
non erano ammessi: era un po’ meno impugnabile il lodo.
Molto spesso si ritiene erroneamente che un arbitrato estero sia un arbitrato
internazionale. Per esempio, la Convenzione di New York che è fondamentale perché
senza di essa il lodo arbitrale emesso es. a Milano non si potrebbe usare in giro per il
mondo così facilmente. Spesso si sente dire che tale Convenzione riguarda gli arbitrati
internazionali. No!. Riguarda i lodi esteri, emessi al di fuori del territorio della Repubblica.
Quel lodo si può usare in un luogo diverso da quello della sede. L’arbitrato esiste perché
c’è un ordinamento domestico, non sovranazionale, che lo ha riconosciuto. Quindi tanti
arbitrati domestici e ne