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Quando si scrive una clausola compromissoria si deve stare attenti a non scrivere una
clausola nulla. Il rischio è che si metta in piedi un collegio arbitrale che poi risulta non
essere competente. Oltre al tempo necessario per chiudere la controversia davanti al
giudice ordinario si è perso tempo davanti all’arbitro incompetente. Es. arbitrato con
clausola compromissoria stipulata davanti a notaio. I contraenti non avevano deciso se
fare un arbitrato di diritto oppure di equità, parti tutte italiane. Alla fine non hanno sciolto
la riserva, il notaio ha dimenticato la questione. Nel rogito c’è scritto “arbitrato secondo
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diritto/equità”. L’arbitrato è di diritto o di equità? C’è un arbitro unico che deve decidere se
l’arbitrato è di diritto o di equità. Alcuni avvocati sostenevano che era diritto altri che era di
equità. L’attore preferiva l’equità, il convenuto il diritto. Se le parti non avessero detto
niente, si sarebbe applicato il diritto italiano. In questo caso come si è deciso? Dal punto
di vista storico, questa formula diritto/equità è stata inserita perché le parti al momento del
rogito non si erano messe d’accordo e avevano lasciato il problema aperto. Non c’è scritto
solo diritto nella clausola. Oppure non c’è scritto niente. C’è scritto diritto/equità. Può voler
dire “diritto con equità”. Ciò che è certo è che non è un arbitrato di solo diritto perché la
parola equità in un modo o nell’altro c’è. L’arbitro è tenuto a non considerare questo
arbitrato come arbitrato di solo diritto. Può l’arbitro consideralo un arbitrato di sola equità?
No. Di solito quando c’è il dubbio prevale il dubbio, ma in questo caso c’è in modo chiaro
il termine “diritto”. Di sicuro è un arbitrato di diritto temperato da equità. L’arbitro deve
valutare e applicare un diritto che ritiene anche equo.
In generale non è infrequente la formula “arbitrato di diritto e di equità”. In questo caso,
siamo di fronte ad un arbitrato di equità coerente con l’universo giuridico del luogo in cui
la controversia viene trattata.
Lezione Mercoledì 18 Febbraio 2015
Se l’arbitrato è di equità che cosa cambia rispetto a quello di diritto?
L’arbitrato di diritto è il più semplice. Si tratta di un diritto scritto positivo di questo o di quel
paese. Per diritto si intende la fonte principale, la legge scritta e l’apparato di
giurisprudenza e di dottrina che sta intorno alle norme giuridiche. L’arbitrato di diritto
significa che si sa chi ha ragione o torto, perché si conoscono le norme, la dottrina e la
giurisprudenza. Certo dottrina e giurisprudenza possono essere divaricate però si sa qual
è la giurisprudenza contro e quella a favore. Se c’è contro la pretura di Lecce e a favore ci
sono le Sezioni Unite della Cassazione ci sono margini di certezza del diritto consistenti.
Stessa cosa vale per la dottrina: si guarda la dottrina più seria e conosciuta.
Se le parti decidono di comune accordo di scegliere un arbitrato di equità, attribuiscono
agli arbitri un potere di decidere secondo un ordinamento di regole diverse da quelle del
diritto scritto vigente qui e ora in questo paese. C’è chi ha sostenuto che in realtà
l’arbitrato di equità non esiste. In realtà però il codice parla di arbitrato di diritto o di equità.
Quindi la tesi isolata che l’arbitrato di equità non esiste perché chi giudica secondo equità
alla fine applica qualche diritto scritto, è veramente debole. Che cos’è allora l’equità?
Anche nel linguaggio comune quando si parla di equità, di giustizia sostanziale, si fa
riferimento ad un’antica opinione di Aristotele secondo cui a volte “summo ius, summa
iniuria”, cioè a volte un’applicazione rigorosa e pedante del diritto può portare ad una
soluzione che contrasta con quel senso della giustizia insito in ognuno di noi. Aristotele
mette in luce un conflitto possibile fra “ius” e “iustum”, cioè fra diritto e ciò che si sente
come giusto. Es. dilemma sofocleo: conflitto fra Antigone e Creonte. La legge dice che il
fratello di Antigone non può essere sepolto dentro le mura, Antigone dice di no. Il diritto
naturale, il senso della giustizia le impone di seppellire il fratello. Non come atto di
disobbedienza verso la legge scritta di Creonte, ma come atto di obbedienza verso un
diritto naturale che sta scritto in ognuno di noi e che secondo Antigone deve prevalere sul
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diritto scritto. Molto spesso quando si parla di arbitrato di equità si
intende un arbitrato nel quale è attribuito all’arbitro il potere di smussare, di trovare una
soluzione più blanda in maniera da non scontentare del tutto una parte e accontentare del
tutto l’altro. Non sempre infatti il giusto sta tutto da una parte: spesso ciascuna delle parti
contendenti ha un po’ ragione, anche chi ha torto. Es. Il debitore non paga e ha torto. Ma
magari non paga perché ha delle difficoltà, non perché non vuole pagare, se avesse i
soldi li darebbe. Ha delle obbiettive difficoltà: ha dovuto scegliere es. se operare la figlia o
pagare il debito del libraio e ha deciso di non pagare quest’ultimo. Un arbitrato di diritto
riconoscerebbe che ha il debito e che deve pagare. L’arbitrato di equità magari tiene
conto di queste circostanze esterne al diritto, che non sono causa ma motivi irrilevanti per
il diritto, che in via di equità possono essere presi in considerazione. Dunque, a fronte di
un ritardo nell’adempimento che secondo il diritto non è ammissibile e se genera il danno
va risarcito, tenuto conto in via equitativa delle circostanze che hanno motivato il ritardo,
potrebbe spingere l’arbitro di equità a smussare le conseguenze.
La dottrina aristotelica è stata criticata: approccio buonista che a poco a che fare con il
diritto. Il tener conto di cose che il diritto pretende che debbano essere ignorante es.
circostanze per cui uno non paga, a loro volta possono essere ingiuste. Non è giusto che
ci vada di mezzo il creditore per ragioni giuridicamente irrilevanti. Ognuno ha i suoi buoni
motivi es. per non pagare. Alcuni motivi sono ottimi altri meno, ma per il diritto ciò è
irrilevante. E per l’equità? Secondo la dottrina per equità si deve fare riferimento a valori
che abbiano una loro oggettività sociale, magari non considerati dal diritto ma con
oggettiva consistenza nella società. Si deve comunque fare riferimento a qualcosa di
oggettivo non soggettivo. Si deve comunque fare riferimento ad una giustizia
oggettivamente rilevante. Antigone non era portatrice di un valore individuale, ma di un
senso della giustizia che vale per tutti: cioè non è ammissibile una legge che impedisce di
seppellire i parenti, questo non vale solo per lei, ma vale per tutti. È un valore oggettivo,
del diritto naturale. Anche i valori oggettivi creano margini di incertezza: qual è questo
diritto naturale? In certi casi sembrano lampanti in altri no. Es. se il fratello di Antigone
avesse avuto la lebbra o un tipo di male che potrebbe diffondersi, allora non avrebbe
potuto seppellire dove voleva e come voleva, deve prevalere un altro interesse. Vacillano
anche qui le certezze se non c’è una norma scritta.
Non esiste una definizione di equità. Quando le parti decidono di scrivere nella clausola
compromissoria che l’arbitrato sarà deciso secondo equità in realtà si affidano alla cultura,
moralità, saggezza, sapienza giuridica, tecnica e umana dell’arbitro che hanno scelto. E
quando le parti decidono di sottrarre la controversia al diritto e la affidano all’equità, si
affidano a questi valori esterni che ritengono di ritrovare nell’arbitro o nel collegio
prescelto. A volte soprattutto nel caso degli arbitrati internazionali quando non è possibile
parlare di diritto, c’è ricorso all’equità, possibilità per l’arbitro di tirar fuori in via equitativa
la consuetudine e farla prevalere sul diritto formale che non c’è.
Ci va ovviamente di mezzo il contraddittorio: quando le parti discutono, discutono di cosa
se poi alla fine ci si affida all’arbitro? Le parti in un arbitrato di equità scrivono “secondo
me, il mio cliente, la soluzione del caso va risolta così perché il diritto italiano vuole così e
perché è giusto così”. Se il diritto vuole così è perché quella soluzione è quella giusta. La
controparte dirà che non è vero che il diritto invocato dice quello e che in ogni caso quella
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soluzione di diritto invocata non è giusta. Sono dunque due piani diversi: diritto ed equità.
È possibile che il lodo di equità diverga da quello secondo il diritto positivo? Se l’arbitrato
è di equità, l’arbitro deve giudicare secondo equità e non secondo diritto a meno che
dichiari che la soluzione prescelta coincide con la soluzione di diritto, è quella che lui
ritiene giusta, conforme ad equità. Es. arbitrato di equità, in cui il Presidente del collegio
arbitrale stende un lodo di puro diritto. Il collegio arbitrale firma il lodo che avrebbe dovuto
essere di equità ed invece era di diritto. Il lodo viene impugnato davanti alla Corte
d’Appello: era un lodo di diritto, ma avrebbe dovuto essere di equità. Il lodo è crollato. Il
Presidente avrebbe dovuto fare un lodo di equità come previsto dalla clausola ritenendo
che la soluzione più equa fosse quella prevista dal diritto, allora il lodo si sarebbe salvato.
Es. una banca con tante filiali in cui possono esserci rischi di assalto. La banca mette
davanti ad ogni filiale una guardia armata per garantire la sicurezza ai clienti e per evitare
la rapina. Può capitare che la guardia si sposti da dove è. La banca cerca un sistema più
tecnologicamente avanzato: bisogna che quando c’è pericolo di rapina scattino degli
allarmi ed arrivi la polizia. Un’importante società del gruppo FIAT che si occupa di
tecnologia e sicurezza propone il seguente sistema: una grande sala di comando dove ci
sono tante televisioni ciascuna delle quali è riferita ad una delle filiali della banca. Se
succede qualcosa ad una, scatta l’allarme, e arriva la polizia. La società realizza
l’impianto. Ad un certo punto arrivati al collaudo, c&r