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Revisione delle COCOPro e introduzione delle collaborazioni etero-organizzate
Con il Jobs Act ci fu una revisione con cui vennero abrogate le COCOPro. In loro sostituzione venne inserita una nuova fattispecie: le collaborazioni etero-organizzate, facenti sempre parti della tipologia contrattuale dei lavori autonomi, ma che si avvicinano alla tipologia subordinata.
Queste collaborazioni si concretizzano in prestazioni di lavoro personali continue le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente. Si parla di etero-organizzazione quando abbiamo una fattispecie intermedia con coordinamento più intenso e eterodirezione più attenuata: c'è una limitazione maggiore dell'autonomia nella gestione del lavoro.
La mansione
La mansione è il tipo di attività che il lavoratore è quotidianamente tenuto a compiere. Attraverso essa possiamo inquadrare il lavoratore, in quella che è la sua qualifica personale (livelli di inquadramento) e la categoria di appartenenza.
Le mansioni vengono definite in fase
iniziale nel contratto individuale. I livelli di inquadramento sono una serie di livelli professionali a cui il lavoratore viene ricondotto sulla base delle mansioni svolte, e sono individuati dal contratto collettivo nazionale di riferimento. Questo passaggio è fondamentale perché il contratto collettivo per ciascun livello determina un certo livello di pagamento. Le categorie a cui il lavoratore può appartenere sono 4: dirigenti, quadri, impiegati e operai. Con l'art 3 del decreto 81 del 2015 (decreto attuativo del JobsAct), è stata attribuita maggior flessibilità al datore di lavoro nella modifica delle mansioni. Il mutamento è in senso orizzontale, verticale verso il basso (demansionamento) e verticale verso l'alto. Mutamento in senso orizzontale: il lavoratore può essere adibito a mansioni riconducibili allo stesso livello di inquadramento delle ultime effettivamente svolte. Mutamento in senso verticale verso il basso: il lavoratore può essere adibito a mansioni di livello inferiore a quelle precedentemente svolte. Mutamento in senso verticale verso l'alto: il lavoratore può essere adibito a mansioni di livello superiore a quelle precedentemente svolte.lavoratore non potrà essere adibito a mansioni di categorie inferiori. È legittimato solo il mutamento professionale, dove il lavoratore può essere adibito a una mansione nuova, che può essere prevista dal contratto collettivo nel livello di inquadramento subito inferiore, purché appartenente sempre alla stessa categoria. Non deve però significare una diminuzione della retribuzione. Il mutamento verso il basso può avvenire a seguito di cambiamenti degli assetti aziendali o nel caso di modifiche del contratto collettivo. Il datore di lavoro deve motivare il demansionamento professionale, adducendo la modifica dell'organizzazione interna dell'azienda che incide sulla posizione del lavoratore. Il secondo caso di legittimazione si ha associato a riduzione retributiva, ma ciò solo in presenza di interessi del lavoratore che il legislatore ha ritenuto prevalenti rispetto alla salvaguardia del livello professionale e retributivo.esempio è l'interesse alla conservazione dell'occupazione o l'acquisizione di una diversa professionalità (a seguito di crescita formativa) oppure ancora per il miglioramento delle condizioni di vita. Il legislatore richiede che tali ragioni vengano richieste dal lavoratore stesso con un accordo scritto con il datore di lavoro. Sarà la Commissione di certificazione ad accertare la richiesta. Mutamento in senso verticale verso l'alto (promozione) se il lavoratore viene adibito a una mansione di livello superiore, ha diritto all'adeguamento del livello retributivo. Affinché la nuova mansione superiore possa essere dichiarata definitiva devono trascorrere 6 mesi. Ciò vale a meno che non sia stato adibito a una mansione superiore in sostituzione a un altro lavoratore assente che ha però il diritto alla conservazione del proprio posto di lavoro. L'ultimo comma del 2103 riguarda il potere di trasferimento, ovvero ilmutamento definitivo del luogo in cui il lavoratore deve svolgere la mansione. Il legislatore ammette il trasferimento solo in presenza di ragioni di carattere tecnico-organizzativo-produttivo. Tale clausola generale consente al datore di lavoro di giustificare il suo atto adducendo ragioni di carattere tecnico, organizzativo o produttivo. Tali ragioni sono disposte dal datore e sono insindacabili dal lavoratore, dal sindacato e dal giudice. Devono però sussistere la veridicità e il nesso di causalità.
Il tempo della prestazione del lavoro deve essere tale da garantire l'integrità psico-fisica del lavoratore. Dal 2003 in poi accanto a questa necessità si sono affiancate altre esigenze meritevoli di tutela, tra cui l'esigenza di flessibilità organizzativa e produttiva dell'azienda. Un'altra esigenza meritevole di tutela è quella di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro del lavoratore. Ci sono quindi 3 tipi di esigenze,
con cui il legislatore si è dovuto confrontare. La normativa in materia di orario del lavoro fino al 2003 era contenuta in un regiodecreto del 1923, il quale si limitava a prevedere una durata massima giornaliera (max 8h) e una massima settimanale (max 48h). Si lascia alla contrattazione collettiva la possibilità di derogare alle norme legislative. Quando parliamo di orario di lavoro facciamo riferimento alla disciplina che regolamenta il tempo in cui il lavoratore subordinato è chiamato a svolgere la sua attività lavorativa. Si intende il lasso di tempo in cui il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro. Il decreto 66 del 2003 viene a prevedere un orario normale settimanale, fissato nelle 40h settimanali, e un orario massimo settimanale di 48h. Non si parla più dell'orario giornaliero di lavoro (8h). Il legislatore rivede un limite nella durata del lavoro giornaliero, che ricaviamo da quello che è il diritto di riposo giornaliero (11h).Ogni 24), perciò il tempo di lavoro giornaliero non può superare le 13h. Questo perché è stata riconosciuta l'esigenza di gestione flessibile del tempo di lavoro dell'azienda. Il datore di lavoro deve quindi rispettare un orario settimanale di 40h, all'interno dei giorni lavorativi della settimana può perciò chiedere al lavoratore di lavorare 10h due giorni, e 6h i restanti 3. Essendo un orario 'normale' di lavoro, il lavoratore non può rifiutarsi, ma di fatto si parla di ore non preventivate, che possono mettere in difficoltà il lavoratore a cui vengono richieste, non consentendogli di poter soddisfare l'esigenza della conciliazione dei tempi di vita. Altro elemento di flessibilità introdotto è la nozione di orario multiperiodale: con esso il legislatore consente al datore di lavoro di spalmare le 40h settimanali in un arco di tempo più ampio (fino a 6 mesi). Quindi si può concentrare
L'orario normale di lavoro dei dipendenti in un periodo, e poi compensare nei successivi mesi, così che alla fine siano state rispettate le 40h. Ciò è a discapito anche di un'esigenza di certezza del diritto, perché nel momento in cui questo orario di lavoro mi viene richiesto io lavoratore ormai non posso più rifiutare, non potendo sapere se si parla di lavoro straordinario, che non saprei allo stesso modo se potrei rifiutare. L'esigenza di tutela della salute psicofisica del lavoratore pone che il limite delle 40h settimanali non possa essere derogabile. Possono essere richieste ore di lavoro straordinario quando si supera il monte orario di lavoro, ma che comunque non possono essere tali da superare il limite delle 48h. A fronte di esso si prevede una retribuzione aggiuntiva maggiorativa. Il lavoro straordinario è sempre stato contrastato da parte dei sindacati in sede di contrattazione collettiva perché il suo abuso si fonda su
un'approfittamento della condizione di debolezza economica del lavoratore. Il decreto 66 del 2003 rimette alla contrattazione collettiva la possibilità di decidere come compensare le ore di lavoro straordinario: se mediante la maggiorazione retributiva, o riposo compensativo o un po' di entrambi (banca delle ore). L'esigenza di integrità psicofisica la troviamo quando parliamo di tempi di riposo. Il decreto 66 ci dice che il lavoratore ha diritto a un periodo di riposo settimanale di almeno 24h consecutive ogni 7 giorni per soddisfare l'esigenza di recupero. La collocazione di questo tempo di riposo è stata discussa, in quanto c'è stata una necessità di farlo coincidere con la domenica. Questa decisione è stata poi rimessa al legislatore nazionale, per una questione culturale-religiosa da una parte, e per una ragione sociale dall'altra. Il riposo settimanale quindi DEVE coincidere con la domenica, di regola, macheaccetta modifiche rimesse alle diverse categorie.Infine il diritto alle ferie è un diritto di rango costituzionale: devono essere retribuite e non possono essere rifiutate. Devono essere di un totale di almeno 4 settimane.Inoltre la Corte Costituzionale stabilisce che laddove in caso di subentro dello stato di malattia sopravvenuta durante le ferie, si determina la sospensione del godimento delle ferie, perché la malattia non permetterebbe il recupero del riposo.La determinazione di collocazione temporale delle settimane di ferie è rimessa al datore di lavoro, che però è chiamato a tener conto dell'interesse del lavoratore.L'ultima norma in materia di ferie riguarda il fatto che non possono essere sostituite dalla relativa indennità per ferie non godute (salvo caso particolare di cessazione del rapporto di lavoro).La retribuzioneNel momento in cui il lavoratore adempie in modo esatto alla sua obbligazione principale, sorge in capo a luisionale e alla qualifica del lavoratore. La retribuzione deve quindi essere adeguata al lavoro svolto, tenendo conto delle competenze e delle responsabilità richieste. La retribuzione può essere stabilita in base a diversi criteri, come ad esempio il salario orario, il salario mensile o il salario annuale. Inoltre, possono essere previsti dei premi o delle gratifiche legate al raggiungimento di determinati obiettivi o al superamento delle aspettative. È importante sottolineare che la retribuzione deve essere corrisposta in modo puntuale e regolare, secondo quanto stabilito dal contratto di lavoro o dalla normativa vigente. In caso di ritardi o mancati pagamenti, il lavoratore ha il diritto di agire per ottenere quanto gli spetta. Infine, è fondamentale garantire la trasparenza e la correttezza nella determinazione della retribuzione, evitando discriminazioni o disparità di trattamento tra i lavoratori. La retribuzione deve essere basata su criteri oggettivi e non discriminatori, come ad esempio il genere, l'età o l'origine etnica. In conclusione, la retribuzione rappresenta un diritto fondamentale del lavoratore, che deve essere garantito e rispettato. È un elemento essenziale per la dignità e il benessere del lavoratore e della sua famiglia, nonché per la stabilità e la giustizia sociale.