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Il progetto deve contenere un risultato che il collaboratore deve raggiungere con modalità autonome ed in

particolare nel caso dei call center l’operatore deve avere la possibilità di autodeterminare il proprio ritmo

di lavoro. 22

Analizziamo le concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro degli operatori di tale call center, in

base alle testimonianze raccolte:

a. gli operatori si servivano di macchinari ed attrezzature forniti dal datori di lavoro, cioè di una

organizzazione del datore di lavoro, essendone privo il lavoratore;

b. il collaboratore è inserito nell’organizzazione produttiva del datore di lavoro;

c. il lavoro dei collaboratori consisteva nel rispondere al telefono e fornire informazioni secondo

modalità rigidamente standardizzate e previste dal datore di lavoro, con un costante controllo sulla

rispondenza della prestazione a queste modalità, controllo che li portava ad essere ripresi se non si

attenessero alle modalità richieste.

Questo stretto controllo sulle modalità di svolgimento del lavoro da parte dei collaboratori e l’intervento su

chi se ne discosta, oltre all’imposizione delle modalità di svolgimento del rapporto di lavoro, sono elementi

caratterizzanti la subordinazione che è appunto assoggettamento al potere di direzione e controllo del

datore di lavoro.

Il potere di direzione e controllo arrivava al punto di imporre l’evasione di un numero di telefonate orario e,

come sostengono i teste, a rispondere alle telefonate in tempi determinati dal datore di lavoro, quasi “a

cottimo”. Questo elemento non caratterizza certo l’autonomia del lavoratore ma casomai un alto livello di

assoggettamento gerarchico.

Da notare che collegare la prestazione del lavoratore ad un parametro temporale (chiedere l’evasione di un

minimo di telefonate l’ora) esclude uno degli elementi fondamentali del lavoro a progetto, ovvero che il

progetto è gestito autonomamente dal collaboratore in funzione di un risultato indipendentemente dal

tempo impiegato per l’esecuzione della prestazione lavorativa. Si ribadisce inoltre la necessità del

collaboratore, nel lavoro a progetto, di autodeterminare il proprio ritmo di lavoro: niente di più lontano da

quanto richiesto alla dipendente in questione e agli altri operatori di un minimo di telefonate orarie.

L’elemento compenso (orario) e l’assenza di rischio concernente il risultato finale dell’attività per il

collaboratore inseriscono il rapporto nel lavoro da qualificarsi come subordinato.

Per quanto riguarda l’orario di lavoro, anche se i collaboratori esprimevano la loro preferenza di fascia

orario avevano poi un orario di lavoro predeterminato e articolato su rigide turnazioni settimanali; gli

operatori dovevano rispettare l’orario, potendo cambiare la fascia oraria comunicandolo al datore e

potendo inoltre farsi sostituire da altri colleghi in caso di assenze: tutti aspetti giustificati dall’esigenza per il

datore di lavoro di garantire la copertura continua del servizio.

Si ha perciò assenza di un progetto, presenza di potere di direzione e controllo da parte del datore di

lavoro, uso di macchinari e strumenti del datore di lavoro, fornitura al datore di lavoro della propria mera

energia psico-fisica con orario determinato: tutto ciò qualifica il rapporto di lavoro come subordinato.

In base al d.lgs. n. 276/2003, è disposta l’immediata conversione in rapporto subordinato a tempo

indeterminato, con efficacia ex tunc (retroattività), del rapporto lavorativo sorto sulla base di un contratto a

progetto privo dell’individuazione di un progetto, programma o fase dello stesso. 23

Il Tribunale ha affermato che i collaboratori del call center, e la lavoratrice in esame in particolare, sono

lavoratori gerarchicamente assoggettati al datore di lavoro in un modo che rasenta la lesione della dignità

dei lavoratori.

Mancando il progetto nel rapporto di lavoro della donna, si cade nella conversione in rapporto di lavoro

subordinato a tempo indeterminato. Da ciò la nullità del termine apposto al contratto ed il recesso

unilaterale del datore di lavoro diventa un licenziamento “ad nutum” e quindi illegittimo.

Il call center viene condannato alla reintegrazione immediata della donna sul posto di lavoro e alla

corresponsione delle differenze retributive maturate dalla data della domanda in sede amministrativa alla

data dell’effettiva reintegrazione, detratte le somme aliunde percepite (per lo svolgimento di altre attività

lavorative) dalla ricorrente.

Sentenza Corte di Cassazione n. 13394/2013, confermata natura autonoma in un contratto di lavoro a

progetto stipulato con l’ex titolare della società ceduta.

Il lavoratore in questione chiede l’annullamento della sentenze della Corte d’Appello che ha rigettato tutte

le sue domande nei confronti di Car Network spa.

Il lavoratore in questione, socio di maggioranza e consigliere delegato della Maurizio Sala spa,

concessionaria OPEL, sottoscrisse un contratto con la Car Network spa di vendita della società, pattuendo

anche il suo personale apporto lavorativo mediante la stipula di un contratto a progetto, oltre l’uso di

un’autovettura aziendale e del cellulare.

Il collaboratore affermò che nei fatti egli aveva lavorato in rapporto di subordinazione, sottoposto alle

direttive e disposizione dell’amministratore della Car Network spa.

La società recedeva poi dal contratto con preavviso di sei mesi e il rapporto si estingueva alla scadenza del

periodi di preavviso.

Ritenendo il suo rapporto di natura subordinata, il lavoratore impugnò quello che considerava un

licenziamento ex art. 6, legge n. 604/1966 e chiese che fosse dichiarata la natura subordinata del rapporto

e l’illegittimità del licenziamento, con conseguente reintegrazione nel posto di lavoro o, in subordine, tutela

obbligatoria.

Il Tribunale di Brescia dichiarò la natura subordinata del rapporto e l’inquadramento del collaboratore

come dirigente d’azienda, con conseguente diritto alla percezione del TFR, ma escluse l’applicazione della

tutela di cui all’art. 18, legge n. 300/1970, respingendo la domanda di reintegrazione e le subordinate

domande di tutela obbligatoria e risarcimento del danno.

Entrambe le parti proposero appello, ma la Corte d’Appello ha rigettato quello del lavoratore, accogliendo

invece quello della società. In seguito il lavoratore propose ricorso per Cassazione, sostenendo tra l’altro

che secondo lui era da escludersi che l’individuazione del progetto e degli altri requisiti formali prescritti dal

legislatore fossero stati rispettati.

La Corte ha confermato la sentenza d’appello, affermando che il contratto di progetto rispondeva ai

requisiti indicati dalla legge per la validità di un rapporto di lavoro a progetto ex art. 61, d.lgs. n. 276/2003;

in particolare, la Corte ha rilevato che sono stati rispettati non solo tutti i requisiti formali richiesti dalla 24

legge, ma anche la temporaneità e specificità di un progetto consistente nel mettere a disposizione della

società che ha acquistato la concessionaria l’esperienza specifica acquisita in qualità di ex-proprietario della

stessa al fine di “traghettare” la nuova società all’interno del mercato.

A questa affermazione la Corte è arrivata ricostruendosi al dato normativo: il contratto di lavoro a progetto

è una forma particolare di lavoro autonomo, in cui deve mancare il vincolo di subordinazione. All’interno di

tale categoria, perché possa individuarsi il lavoro a progetto è necessario che si sia in presenza di un

rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale, riconducibile ad uno o

più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore. Il progetto

deve essere funzionalmente collegato ad un determinato risultato finale.

La Corte ha ritenuto che tali requisiti sussistessero nel caso in esame:

a. il contratto non prevedeva soggezione ad un potere direttivo datoriale, ma un lavoro autonomo,

sebbene in rapporto di collaborazione coordinata e continuativa;

b. l’attività lavorativa indicata nel contratto poteva ascriversi ad un progetto e sussisteva il

collegamento funzionale ad un risultato, quello appunto costituito dal contribuire a gestire la

transizione da un assetto proprietario ad un altro, posizionando la nuova società sul mercato

mediante l’utilizzazione dell’esperienza e delle conoscenze del precedente titolare, assunto come

collaboratore a progetto.

La Corte infine ha aggiunto specifiche ed ulteriori valutazioni sull’effettività del lavoro svolto, che hanno

portato a fondare la conclusione che esclude la subordinazione, anche come mera situazione di fatto.

La Corte ha poi esaminato il carteggio intercorso con l’amministratore della Car Network spa, che secondo il

lavoratore avrebbe esercitato nei suoi confronti un potere di natura direttiva. La Corte rilevò che da tali

documenti emergeva, al contrario, un certo rispetto/riverenza dell’amministratore verso il lavoratore e

comunque nessuno di tali documenti conteneva ordini o disposizioni. Perciò da tale carteggio, si è ricavato

che il rapporto intercorso tra il lavoratore a progetto e l’amministratore della società non si iscrive in una

logica di subordinazione, ma di collaborazione e coordinamento, ed è quindi inquadrabile nello specifico

contratto di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale ex art. 61, d.lgs. n.

276/2003 (sono comunque valutazioni di merito che, essendo fondate su molteplici e coerenti

argomentazioni fatte dalla Corte d’Appello, non possono essere rimesse in discussione in sede di giudizio di

legittimità).

Ciò detto, il ricorso per Cassazione è risultato infondato e deve essere rigettato; si ha quindi la conferma

della natura autonoma del contratto in questione. 25

Tribunale Milano 2015, sull’accertamento della natura subordinata di una lavoratrice impiegata “in nero”

per molti anni nell’ambito di un esercizio commerciale.

Vengono riportati tutti gli elementi che nel caso concreto hanno permesso l’accertamento della

subordinazione della donna.

L’eterodirezione è il carattere distintivo essenziale del rapporto di lavoro subordinato rispetto a quello

autonomo, cioè il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del

datore di lavoro; tale vincolo deve estrinsecarsi nell’emanazione di direttive generali e specifiche e in una

attività di vigilanza e di controllo nell’esecuzione delle prestazioni lavorative.

Se l’assoggettamento del lavoratore alle altrui direttive non è agevolmente apprezzabile, occorre far

riferimento ad altri criter

Dettagli
A.A. 2016-2017
34 pagine
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SSD Scienze giuridiche IUS/07 Diritto del lavoro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher massimo.gramola di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto del lavoro e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano - Bicocca o del prof Scarpelli Franco.