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FONTI NON VINCOLANTI:
- Raccomandazione
- Parere
La teoria del primato si fonda su 3 pilastri: EFFICACIA DIRETTA DELLE DIR.: si attribuì ad altre
fonti un tipo di efficacia giuridica assimilabile a quella dei regolamenti, riconoscendo il carattere
della diretta efficacia ad alcune norme del Tr. espresse in termini chiari, precisi ed incondizionati, e
alle disposizioni delle dir., che siano attributive di diritti enunciate in maniera incondizionata e con
un grado di sufficiente precisione. (Ricorda caso Marshall I riguardante un licenziamento
discriminatorio x ragioni di sesso). La natura cogente della dir., sulla quale è basata la possibilità di
farla valere dinanzi al giudice nazionale, esiste solo nei confronti dello Stato membro cui è rivolta
(cd. efficacia diretta verticale). OBBLIGO DI INTERPRETAZIONE CONFORME: i giudici nazionali
devono interpretare il proprio diritto nazionale alla luce della dir., a prescindere dalla circostanza
che la relativa normativa nazionale sia precedente o successiva all’adozione della dir.
RESPONSABILITA’ RISARCITORIA DELLO STATO MEMBRO: fondamentale la sentenza
Francovich, dalla quale emerge che x la Corte sarebbe messa a repentaglio la piena efficacia delle
norme comunitarie e lesa la tutela dei diritti da esse riconosciuti se i singoli non avessero la
possibilità di ottenere un risarcimento ove i loro diritti siano lesi da una violazione del diritto
comunitario imputabile ad uno Stato.
Alle dir., in pendenza del termine x la loro trasposizione, si deve riconoscere la cd. efficacia
impeditiva delle scelte dei legislatori nazionali: la direttiva entra in vigore alla data stabilita o, in
mancanza di indicazione, nel 20° giorno successivo alla data di pubblicazione sulla G.U. La
trasposizione di una dir. nel diritto interno richiede un contesto giuridico generale, che però ne
garantisca la piena applicazione in modo chiaro e preciso; in concreto però la Corte ha ristretto tale
possibilità, che non è disponibile in paesi come il nostro privi di un sistema di contrattazione
collettiva ad efficacia generale. Inoltre le raccomandazioni, pur non essendo vincolanti, non
devono ritenersi prive di valori giuridici, visto che devono essere valorizzate dal giudice nazionale
in funzione interpretativa del diritto europeo o nazionale. In tema di sanzioni x violazioni del diritto
europeo esse sono fondate su principi generali; un’ipotesi sanzionatoria è prevista dalla dir.
78/2000 che stabilisce che siano gli Stati membri a prevederle, purché siano effettive,
proporzionate e dissuasive. Nell’intreccio tra diritto del lavoro e diritto dell’U.E. è importante
l’interpretazione del principio di sussidiarietà, inteso come criterio regolatore dell’esercizio delle
competenze fra U.E. e stati membri, che permette l’intervento delle istituzioni U.E. quando è
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necessario un intervento di più ampio raggio per la risoluzione di una determinata problematica
che il singolo Stato membro non ha la capacità di risolvere.
In merito al rapporto tra le fonti, la Corte è a favore della tesi dell’interdipendenza progressista
delle norme internaz. ed europee in materia di lavoro, secondo la quale eventuali contrasti
dovrebbero potersi superare facendo ricorso al “principio del trattamento più favorevole”. Le dir.
comportano obbligazione di risultato, ferma restando la competenza degli organi nazionali in
merito alla forma e ai mezzi, ma va tenuto conto che le normative nazionali di trasposizione
devono misurarsi nell’area del diritto del lavoro con le implicazioni del principio di “non regresso”,
che non comporta cmq un divieto assoluto di modifiche peggiorative rispetto al livello di tutela
acquisito al momento dell’attuazione della dir.: eventuale riforma in pejus deve essere fondata su
motivi di politica sociale diversi dall’obbligo di trasposizione, ovvero può ammettersi solo quando
non è in alcun modo collegata con l’esigenza di dare attuazione a quelle regole nell’ordinamento
interno. Il rispetto dei diritti fondamentali costituisce un criterio di giudizio sulla validità degli atti
adottati dalle istituzioni U.E. e si impone come un limite alla discrezionalità dei legislatori nazionali;
la Corte ha affermato che tra i diritti fondamentali figura il principio di uguaglianza e non
discriminazione e che quando viene accertata una discriminazione, incompatibile col diritto
europeo, e finché non siano ripristinate le parità di trattamento, l’osservanza del principio di
uguaglianza può essere garantita solo concedendo alle persone sfavorite i vantaggi di cui
beneficiano le categorie privilegiate. Quindi spetta al legislatore nazionale disapplicare qualsiasi
disposizione nazionale discriminatoria. La CEDU, che non ha carattere vincolante, oggi ha
guadagnato importanza per via dei richiami in diverse dir., tant’è vero che è poi stata istituita
l’Agenzia dell’U.E. x i diritti fondamentali, che fornisce assistenza e consulenza a istituzioni, organi,
uffici e agenzie dell’U.E. e agli Stati membri.
CAP. 3 – Libera circolazione dei lavoratori
Le 4 libertà fondamentali dell’U.E. sono la libera circolazione delle merci, dei servizi, dei capitali e
dei lavoratori. Per questo motivo, le persone vanno intese come soggetti economici, ossia
lavoratori subordinati (titolari del diritto di libera circolazione) e lavoratori autonomi o persone
giuridiche (beneficiarie della libertà di stabilimento e del diritto di libera prestazione di servizi).
Questo principio ha trovato pieno riconoscimento nell’art. 48 del Tr. (ora art. 45 TFUE). La 1^
disciplina si ebbe con il Reg. 15/1961 che ha sancito che ogni cittadino di uno Stato membro è
autorizzato ad occupare un impiego in un altro Stato membro; x questo era necessario un
permesso di lavoro. Con il Reg. 38/1964 è stato esteso l’elenco dei soggetti beneficiari di questo
diritto, mentre la completa realizzazione del principio si è avuta con il Reg. 1612/1968 e con la
direttiva 360/1968, sostituite da una direttiva del 2004 che oggi è confluita nel Reg. 492/2011 che
ha esteso questo principio anche a lavoratori precari e calciatori, nonché alle prostitute. Le norme
in materia di libera circolazione (artt. 45-48 TFUE) si riferiscono esclusivamente al lavoro
subordinato e si applicano anche alla tipologia del lavoro atipico, come il part-time. La Corte ha
sostenuto la + ampia interpretazione del diritto, ammettendo il diritto del soggetto a non essere
allontanato dopo un certo periodo di tempo qualora provi di stare cercando attivamente lavoro; la
titolarità del diritto di libera circolazione spetta anche ai familiari del lavoratore, purché questi abbia
previamente esercitato tale diritto; con la direttiva 38/2004 i familiari conservano il diritto di
soggiorno su base personale in caso di decesso del cittadino U.E., di divorzio, annullamento del
matrimonio.
Il diritto di libera circolazione dei lavoratori è caratterizzato da 2 contenuti fondamentali: PARITA’ DI
ACCESSO ALL’IMPIEGO: garanzia di pari trattamento in materia di accesso ai posti di lavoro
disponibili in ciascun Stato membro fra i lavoratori nazionali e gli altri; l’art. 18 TFUE afferma che è
vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità. E’ sancita l’inapplicabilità delle
disposizioni di carattere direttamente o indirettamente discriminatorio. Se la competenza in materia
di libera circolazione dell’U.E. riguarda solo cittadini di uno Stato membro, ciò vuol dire che con
riferimento agli extracomunitari la competenza è statale; si ravvisa quindi una lacuna solo
parzialmente coperta dal principio della parità di trattamento tra le persone indipendent. dalla razza
e dall’origine etnica individuato dalla dir. 43/2000. Vi sono cmq diverse dir. volte a garantire il
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medesimo trattamento a coloro che abbiano ottenuto lo status di soggiornante di lungo periodo e a
sanzionare i datori che sfruttano manodopera extracomunitaria in modo irregolare. PARITA’ DI
TRATTAMENTO IN MATERIA DI CONDIZIONI DI LAVORO: il Reg. 492/2011 afferma che il
lavoratore cittadino di uno Stato membro non può ricevere sul territorio degli altri Stati membri, a
causa della sua cittadinanza, un trattamento diverso da quello dei lavoratori nazionali, x quanto
concerne le condizioni d’impiego e di lavoro, che comprendono la retribuzione, le indennità, il
licenziamento, la reintegrazione professionale,il ricollocamento in caso di disoccupazione. Al
lavoratore migrante la tutela deve essere riguardo alle discriminazioni dirette ed indirette, di diritto
e di fatto e gode degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali. Oltre al diritto di
soggiorno, ai familiari del lavoratore migrante è riconosciuto il diritto di esercitare attività
economica subordinata o autonoma, ne viene assicurato l’accesso a corsi d’insegnamento
generale, di apprendistato e formazione professionale; l’esigenza del rispetto della vita familiare è
sancito anche dall’art. 8 CEDU.
Il principio di non discriminazione opera con riguardo sia alle discriminazioni dirette, disposizioni
nazionali che in modo chiaro ed evidente producono un risultato discriminatorio in capo ai
destinatari, sia a quelle indirette, disposizioni nazionali che x loro stessa natura tendono ad essere
applicate + ai lavoratori migranti che a quelli nazionali, determinando il rischio di essere
sfavorevole particolarmente ai primi, senza che tale discriminazione possa essere obiettivamente
giustificata e commisurata allo scopo perseguito. Tra i diritti ad esso strumentali troviamo i diritti
d’ingresso e di soggiorno; l’art 45.3 TFUE afferma il diritto di spostarsi liberamente nel territorio
degli Stati membri x rispondere ad offerte di lavoro, con l’obbligo x gli Stati membri di riconoscere
ai propri cittadini, muniti di carta d’identità o passaporto, il diritto di lasciare il territorio nazionale
senza alcuna formalità, e viceversa in entrata; se però il soggiorno è superiore a 3 mm è
necessaria l’iscrizione presso le autorità competenti, distinguendo i soggetti economicamente non
attivi x i quali il diritto di soggiorno è riconosciuto nel rispetto di alcune condizioni come la
temporanea inabilità al lavoro o l’iscrizione c/o l’ufficio di collocamento se si trova in uno stato di
disoccupazione involontaria o segua un corso di formazione professionale, dai soggetti
economicamente attivi ai quali il diritto di soggiorno è riconosciuto in modo incondizionato. A tutti i
cittadini dell’U.E. è riconosciuto il diritto di soggiorno permanente qualora essi abbiano soggiornato
legalmente e continuativamente x 5 anni nello Stato membro ospitante e può essere perduto solo