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TAR.
Questo perché l’atto di una attività indipendente viene sempre
considerato alla stregua di un atto amministrativo.
Le attività indipendenti sono oggi fonti del diritto, secondo alcuni,
fonti atipiche.
Contratti collettivi di lavoro
Ma un’altra fonte del diritto che sta diventando sempre più ampia
nel nostro ordinamento sono i contratti collettivi di lavoro. Il
contratto ha forza di legge fra le parti, quindi il contratto diventa
fonte del diritto. Ed è la costituzione che attribuisce al contratto
questa forza di legge (art. 39).
Oggi è una fonte importante del diritto, ma per molti non rientra nel
fonti tipiche, ma nelle fonti atipiche, perché non si trova nella
costituzione, ma negli accordi fra le parti.
Referendum
Secondo molti è una fonte del diritto, si fa riferimento al referendum
disciplinato dalla costituzione, ma la costituzione ne disciplina tre:
1) Referendum abrogativo, art.75
2) Referendum costituzionale, art. 138
3) Referendum consultivi della popolazione
Però quando si parla del referendum come fonte del diritto, si fa
riferimento al referendum abrogativo, quello previsto dall’articolo
75. Referendum usato per abrogare una legge.
8/11/2012
Tema delle fonti comunitarie ma soprattutto del rapporto che c’è fra
ordinamento statale e ordinamento comunitario. (Argomento difficile
d’esame)
La partecipazione ad un’organizzazione internazionale è
un’eccezione, è una deroga. Una deroga al principio di sovranità
nazionale.
Gli elementi costitutivi di uno stato sono 3:
- Elemento soggettivo o personalistico: gli individui
- Il territorio: elemento fisico dove la comunità di cui sopra sarà
allocata
- Elemento giuridico sintetizzato in sovranità: le regole ascritte
a quelle persone sono scritte dalle stesse persone.
La sovranità non dovrebbe conoscere forme graduate, cioè o c’è o
non c’è. Quindi il concetto di sovranità su cui si è fondata la
costituzione repubblicana ed è una modalità di rappresentazione di
se stessa che la comunità si è data fin dalla sua origine.
Questa premessa dovrebbe essere antitetica, rispetto ad un
soggetto che possa intervenire sul territorio italiano, con cogenza,
cioè con strumenti normativi che abbiano efficacia superiore alle
leggi del parlamento. E’ antitetico perché sembrerebbe una rinuncia
al concetto di sovranità.
In realtà la costituzione all’art.11 consente all’Italia di partecipare ad
organizzazioni sovranazionali. Tuttavia devono essere organizzazioni
con una certa finalità (all’inizio doveva essere economica). Allora
quel concetto di sovranità, che doveva o esserci o non esserci,
improvvisamente rappresenta la possibilità di una dimensione di
parziale deroga. Conseguenza di una scelta che i costituenti
avevano fatto con l’art.11.
Sovranità non derogata, ma una sovranità allargata. E’ un
ampliamento della sovranità, perché tutto riposa su un dato: la
sovranità soffrirebbe una deroga, e sarebbe illegittima
costituzionalmente, se l’intervento fosse esterno allo stato. L’unione
europea non è un elemento esterno allo stato, perché ogni stato ha i
propri rappresentanti all’interno del parlamento europeo.
Lo stato quindi continua ad esistere nella sua interezza, ma le
proprie fonti del diritto risentono di un intervento eteronomo,
intendendo quell’ampliamento di sovranità, per cui non lo si rende
estraneo.
Il problema è l’inserimento delle fonti dell’unione europea
nell’ordinamento interno, perché le due fonti dovevano avere lo
stesso rilievo all’interno del sistema nazionale. Dovevano essere
collocate superiormente rispetto alle fonti ordinarie, ma non
dovevano superare la costituzione, quindi sono una via di mezzo fra
una legge e una legge costituzionale.
E allora come si fa a controllare se un regolamento o una direttiva
comunitaria non sia in disaccordo con le costituzioni dei vari paesi?
Ogni regolamento e direttiva comunitaria sarà conforme al trattato.
Il trattato nasce da un accordo fra più soggetti, che in questo caso
erano i rappresentanti degli stati.
Questo accordo vale in ciascuno degli stati di provenienza, e il
meccanismo che consente ad un trattato internazionale di essere
ratificato è la legge.
Una legge risponde alla costituzione.
Una direttiva comunitaria sarà conforme al trattato, ma
il trattato viene ratificato dalla legge, ma la legge
deve essere conforme alla costituzione, quindi
anche la direttiva è sempre conforme alla
costituzione.
Le fonti comunitarie non possono palesemente essere contro la
costituzione, perché se lo fossero, sarebbe anche contrarie al
trattato da cui sono nate.
Le direttive e i trattati si rifanno ai principi, quindi non si verificherà
mai una incongruenza con una delle costituzioni degli stati membri.
Quando una norma comunitaria entra in vigore, per il principio
gerarchico supera la norma italiana evidentemente contrastante
(anche parzialmente), quando un giudice dovesse risolvere una
controversia, il cui oggetto dovesse essere disciplinato da una
precedente legge dello stato e da un successivo regolamento della
unione europea, si troverebbe di fronte a due fonti.
Cosa dovrebbe fare quel giudice? Innanzi tutto classificare la norma:
La norma statale è norma illegittima, perché contraria ad una norma
comunitaria, che è superiore. Perciò dal momento in cui è illegittima,
c’è bisogno che sia dichiarata illegittima. Ma la corte costituzionale
non può dichiararla tale, perché non viola la costituzione. Il giudice
quindi si avvarrà dell’istituto della disapplicazione. E per converso
l’applicazione della norma comunitaria.
Questo avviene a partire dal 1977 dopo una sentenza che
costituisce uno spartiacque, e che fornisce un carattere di scelta ai
giudici tra fonte nazionale e internazionale.
Sentenza 227 del 2010 della Corte Costituzionale :
Si è risolto un problema rispetto a quello che dovrebbe
rappresentare l’unione europea: piena circolazione di beni, persone,
Proprio perché lo spazio europeo è privo di
merci.
confini.
Questa sentenza è partita dal tema di mandato di arresto
internazionale. L’arresto però pone un problema di carattere
processuale:
può essere l’esito di una sentenza in uno stato, ma da commettersi
in un altro stato.
La norma europea prevede che a parità di condizione carceraria, la
carcerazione può avvenire anche sul territorio di residenza, cioè non
c’è l’obbligo di estradizione (di mandare la persona in un altro
stato).
Tuttavia una legge italiana prevedeva che il cittadino italiano
condannato alla carcerazione in un altro paese europeo, può
chiedere la carcerazione in Italia, perché c’è spazio comune, e libero
movimento, anche dei detenuti – questa norma viene considerata
come violazione dell’articolo 3.
Perché viola l’art. 3 della costituzione? Perché crea una
disuguaglianza questa previsione?
Perché ha creato una discriminazione:
Manca che a espiare la pena in territorio italiano, possa essere non
solo il cittadino italiano, ma tutti i cittadini europei, residenti in
Italia, di conseguenza anche uno spagnolo, un francese, un tedesco
potranno espiare la pena in Italia.
Questo per garantire la piena circolazione nello spazio europeo,
proprio perché senza confini.
Il principio che la Corte Costituzionale esprime è che la circolarità
dell’unione europea deve appartenere ai cittadini di ogni paese. Non
è più solo una prerogativa solo dello stato, ma di tutti i cittadini degli
stati appartenenti all’unione europea.
Corte di Giustizia Europea
La corte di giustizia europea quando pronuncia una sentenza, è
valida in tutti gli stati europei. Questo va detto perché supera un
principio: una sentenza ha effetto rispetto a chi era in causa.
Se un belga ricorre contro il proprio stato accusandolo di violare una
norma del trattato, andrà di fronte al giudice dell’unione europea, e
quando il giudice risolverà quella controversia, esprimerà un
principio che non varrà solo per quella questione insorta, ma sarà
immanente su tutto il territorio, quindi varrà per tutti gli altri stati.
Pur essendo una sentenza, una sentenza della corte di giustizia
europea, è un atto para-normativo, perché impone una sentenza di
carattere generale ed astratto. Come fossero norme.
Nel momento in cui si sostiene che c’è piena libertà di circolazione
tra i lavoratori, si intende che il flusso di lavoratori è libero e
incondizionato.
La capacità di intervento dell’unione europea sugli stati aderenti: è
immanente e su tutte le materie, e obbliga lo stato ad un
adeguamento, che è obbligatorio.
Quando c’è una direttiva, proprio perché manca il completamento
nazionale, questa attività di definizione completa della norma, è
un’attività obbligatoria, doverosa. Tant’è che se la nazione non
ottempera si apre il procedimento di infrazione, che vede la nazione
inadempiente accusata in ambito europeo, e questa accusa, se
verificata è sanzionata con una multa pecuniaria, e in casi più gravi
con l’espulsione dall’Europa.
Fenomeno del regionalismo rispetto agli adempimenti
comunitari
Regioni che in taluni casi hanno competenza esclusiva. Ma quando
l’unione europea da una direttiva che obbliga lo stato in toto ad
adempiere quella direttiva, ma quella materia magari è disciplinata
da una regione in particolare, l’Europa non si pone il problema.
Naturalmente quando la spettanza è regionale, deve intervenire la
regione, e non lo stato. Non può una norma comunitaria sovvertire
l’ordine costituzionale.
Tuttavia questo passaggio si arricchisce di un’ultima espressione: se
l’obbligo comunitario non viene assolto dallo stato, e la competenza
era delegata alla regione, chi risponde? Lo stato o la regione?
Risponde lo stato per due motivi:
- Le regioni non hanno personalità giuridica in sede
internazionale. Per l’unione europea rileva lo stato, non la
regione.
- Nei casi di mancato intervento per adeguamento rispetto agli
obblighi internazionali, lo stato può commissariare la regione,
e quindi sostituirsi ad essa, proprio perch