Riassunto esame Diritto commerciale,, prof. Fabbio, libro consigliato Diritto Commerciale, Auletta, Salanitro
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RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI
Nel codice non si ha un’elencazione dei casi di responsabilità degli amministratori,
salvo alcuni casi espressamente indicati (es. violazione dell’obbligo di non fare
concorrenza alla società; violazione dell’obbligo di informare il consiglio della
sussistenza di interessi personali in una determinata operazione della società).
Nel codice è disposto che gli amministratori sono obbligati a svolgere
l’attività economica della società adempiendo i doveri ad essi imposti dalla
legge e dallo statuto con DILIGENZA PROFESSIONALE, cioè con la diligenza
richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze.
Se per difetto di diligenza gli amministratori violano i loro obblighi, sono
SOLIDALMENTE RESPONSABILI VERSO LA SOCIETÀ dei danni derivanti
dall’inosservanza dei loro doveri.
In ogni caso gli amministratori sono SOLIDALMENTE RESPONSABILI se,
essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano
per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose.
La responsabilità per gli atti o le omissioni degli amministratori non si estende
all’amministratore che, essendo immune da colpa, ha fatto annotare senza ritardo
il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di
amministrazione, dandone immediata notizia per iscritto al presidente del collegio
sindacale.
AZIONE SOCIALE DI RESPONSABILITÀ
L’AZIONE SOCIALE DI RESPONSABILITÀ contro gli amministratori per
ottenere il risarcimento del danno sofferto dalla società, è promossa in seguito a
DELIBERAZIONE DELL’ASSEMBLEA ORDINARIA.
(Alla votazione non possono partecipare, se soci, gli amministratori.)
La deliberazione sulla responsabilità degli amministratori può essere presa anche
in occasione della discussione del bilancio, anche se non è indicata nell’ordine del
giorno, quando riguarda fatti di competenza dell’esercizio sociale cui si riferisce il
bilancio.
La DELIBERAZIONE DELL’AZIONE DI RESPONSABILITÀ importa la REVOCA
ope legis degli amministratori contro cui è proposta, se è approvata da una
MAGGIORANZA assembleare che rappresenta almeno 1/5 del capitale sociale.
In questo caso l’assemblea stessa provvede alla sostituzione degli amministratori
revocati.
L’esercizio dell’azione di responsabilità può essere deliberato anche dal COLLEGIO
SINDACALE, con la maggioranza dei 2/3 dei suoi componenti.
L’azione sociale di responsabilità può essere esercitata entro 5 anni dalla
cessazione dell’amministratore dalla carica.
La società può rinunziare all’esercizio dell’azione di responsabilità e può anche
transigere:
1) purché la RINUNZIA e la TRANSAZIONE siano approvate con espressa
DELIBERAZIONE DELL’ASSEMBLEA e
2) purché non vi sia il VOTO contrario di una minoranza di soci che rappresenti
almeno 1/5 del capitale sociale (oppure almeno 1/20 del capitale sociale
nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio).
AZIONE SOCIALE DI RESPONSABILITÀ ESERCITATA DAI SOCI
L’AZIONE SOCIALE DI RESPONSABILITÀ (anche se non viene deliberata
dall’assemblea o dal collegio sindacale) può essere esercitata direttamente anche
dalla MINORANZA DEI SOCI, se questi posseggono almeno 1/5 del capitale
sociale (oppure 1/20 del capitale sociale nelle società che fanno ricorso al
mercato del capitale di rischio).
Per l’esercizio dell’azione di responsabilità, questi soci possono nominare 1 o +
rappresentanti comuni.
Se la domanda giudiziale viene accolta, il risarcimento dei danni spetta alla
società, nel cui interesse l’azione è stata esercitata.
I soci che hanno agito possono rinunziare all’azione o transigerla.
Ogni corrispettivo per la rinunzia o la transazione deve andare a vantaggio della
società.
RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI VERSO I TERZI
Oltre che verso la società, gli AMMINISTRATORI sono RESPONSABILI anche
VERSO I TERZI.
Gli AMMINISTRATORI sono RESPONSABILI VERSO I CREDITORI SOCIALI
alla duplice condizione:
1) che non abbiano adempiuto gli obblighi impostigli dalla legge per la
conservazione dell’integrità del patrimonio sociale (es. mancato controllo del
valore dei conferimenti in natura; distribuzione di utili fittizi) e
2) che il patrimonio della società risulti insufficiente al soddisfacimento dei loro
crediti.
Se gli amministratori, per il tipo di inadempienze commesse, sono responsabili sia
verso la società sia verso i creditori sociali, la rinunzia all’azione da parte della
società (o della minoranza degli azionisti che ha promosso l’azione sociale) non
impedisce l’esercizio dell’azione da parte dei creditori sociali.
Anche se è intervenuta una transazione tra società e amministratori (o anche tra
amministratori e la minoranza dei soci) i creditori sociali possono continuare ad
esercitare l’azione di responsabilità nella misura in cui la transazione ha arrecato
pregiudizio alle loro ragioni.
Contro l’atto di transazione i creditori sociali devono perciò esercitare l’azione
revocatoria per farne dichiarare l’inefficacia nei loro confronti.
Gli AMMINISTRATORI sono RESPONSABILI anche VERSO I TERZI e VERSO
I SINGOLI SOCI che sono stati direttamente danneggiati dal loro
comportamento doloso o colposo (es. sono stati indotti ad acquistare azioni a
prezzi alterati mediante la redazione di bilanci falsi).
In questi casi, anche se non vi è stato danno per il patrimonio sociale (che anzi
può essere aumentato, per cui non può essere esercitata né l’azione sociale di
responsabilità, né l’azione dei creditori sociali), i TERZI ed i SINGOLI SOCI
danneggiati possono agire direttamente contro gli amministratori colpevoli.
L’AZIONE INDIVIDUALE DEL SOCIO E DEL TERZO può essere esercitata entro
5 anni dal compimento dell’atto che ha pregiudicato il socio o il terzo.
CESSAZIONE E SOSTITUZIONE DEGLI AMMINISTRATORI
ESTINZIONE DEL RAPPORTO DI AMMINISTRAZIONE
Le CAUSE DI ESTINZIONE del rapporto di amministrazione sono 5.
1) La REVOCA da parte della società.
Gli amministratori possono essere revocati dall’assemblea ordinaria in
qualunque tempo, ma se la revoca avviene senza giusta causa,
l’amministratore ha diritto al risarcimento dei danni.
La revoca opera di diritto se è stata deliberata l’azione sociale di
responsabilità col voto favorevole della maggioranza che raggiunga almeno
1/5 del capitale sociale.
2) La RINUNZIA dell’amministratore, il quale deve dare comunicazione scritta
delle proprie dimissioni al consiglio di amministrazione e al presidente del
collegio sindacale.
3) La SCADENZA DEL TERMINE. Gli amministratori devono essere sempre
nominati per un periodo di tempo determinato, che non può essere
superiore a 3 esercizi sociali.
Gli amministratori sono però rieleggibili, se lo statuto non dispone
diversamente.
4) Le CAUSE DI DECADENZA. Esse sono: l’INTERDIZIONE,
l’INABILITAZIONE, il FALLIMENTO e alcune CONDANNE PENALI.
5) La MORTE dell’amministratore.
La cessazione, per qualsiasi causa, degli amministratori dall’ufficio deve essere
iscritta entro 30 giorni nel Registro delle Imprese a cura del collegio sindacale.
In mancanza dell’iscrizione, l’estinzione dei poteri di gestione e di rappresentanza
degli amministratori non può essere opposta ai terzi, se la società non prova che i
terzi la conoscevano al momento della conclusione del contratto.
Per assicurare la continuità della funzione amministrativa:
la cessazione degli amministratori per scadenza del termine ha effetto
solo dal momento in cui il consiglio di amministrazione è stato ricostituito;
le dimissioni hanno effetto immediato solo se resta in carica la
maggioranza del consiglio di amministrazione o, in caso contrario, dal
momento in cui la maggioranza del consiglio si è ricostituita in seguito
all’accettazione dei nuovi amministratori.
SOSTITUZIONE DEGLI AMMINISTRATORI
1) Se vengono a mancare 1 o + amministratori, questi vengono sostituiti dallo
stesso consiglio di amministrazione (cd. sistema della cooptazione) con
l’approvazione del collegio sindacale, purché la maggioranza del consiglio di
amministrazione sia sempre costituita da amministratori nominati
dall’assemblea.
Gli amministratori cooptati restano però in carica solo fino alla convocazione
della prima assemblea ordinaria, che può confermarli o sostituirli.
2) Se viene meno la maggioranza degli amministratori, quelli rimasti in
carica devono convocare l’assemblea perché provveda alla sostituzione dei
mancanti.
Gli amministratori nominati dall’assemblea scadono insieme con quelli già in
carica
3) Se vengono a mancare tutti gli amministratori o l’amministratore unico,
per procedere alla sostituzione deve essere convocata d’urgenza l’assemblea
dal collegio sindacale, che nelle more può compiere soltanto gli atti di
ordinaria amministrazione.
IL COLLEGIO SINDACALE
Il COLLEGIO SINDACALE è l’organo di controllo della SPA.
Il collegio sindacale, si compone:
di 3 o 5 sindaci effettivi (a seconda di quanto stabilisce l’atto costitutivo) e
di 2 sindaci supplenti.
NOMINA
I sindaci sono nominati dall’ASSEMBLEA ORDINARIA, ad eccezione dei primi
che vengono direttamente nominati nell’ATTO COSTITUTIVO.
I sindaci:
durano in carica 3 esercizi e
scadono alla data dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio
relativo all’ultimo esercizio della loro carica.
I sindaci possono essere soci o non soci.
Il presidente del collegio sindacale è nominato dalla stessa assemblea.
Almeno 1 sindaco effettivo ed 1 sindaco supplente devono essere scelti tra i
revisori contabili iscritti nel Registro dei revisori contabili istituito presso il
Ministero della giustizia.
Per gli altri sindaci è sufficiente:
che siano iscritti in particolari albi professionali: negli albi degli avvocati,
dottori commercialisti, ragionieri e periti commerciali, consulenti del lavoro;
oppure che siano professori universitari di ruolo in materie economiche o
giuridiche.
Non possono essere nominati sindaci (cioè sono INELEGGIBILI), e se nominati
decadono dall’ufficio:
1) gli interdetti, gli inabilitati, i falliti,
2) il coniuge, i parenti e gli affini entro il 4° grado degli amministratori,
3) coloro che sono stati condannati a determinate pene e
4) coloro che sono legati alla società, o a società da questa controllata, da
rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l’indipendenza.
Al momento della nomina dei sindaci, devono essere resi noti all’assemblea gli
incarichi di amministrazione e di controllo da essi ricoperti presso altre società.
Lo statuto può prevedere altre cause di ineleggibilità o decadenza, nonché cause
di incompatibilità e limiti per il cumulo degli incarichi.
COMPENSO
La RETRIBUZIONE ANNUALE dei sindaci, se non è stabilita nello statuto:
dev’essere determinata dall’assemblea all’atto della nomina
ed è invariabile per tutto il triennio di carica.
POTERI E DOVERI DEI SINDACI
Il COLLEGIO SINDACALE:
ha il potere e l’obbligo di controllare se gli atti degli altri organi sociali sono
conformi alla legge e allo statuto, nonché la correttezza della gestione;
deve, inoltre, vigilare sull’adeguatezza e sul funzionamento dell’assetto
organizzativo, amministrativo e contabile della società.
Nelle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e che
non sono tenute alla redazione del bilancio consolidato, lo statuto può attribuire al
collegio sindacale anche il controllo contabile. In questo caso, tutti i sindaci
devono possedere la qualifica di revisori contabili ed hanno l’obbligo di controllare:
1) se la contabilità sociale è regolarmente tenuta;
2) se nel redigere il bilancio di esercizio sono stati osservati i principi legali e
contabili relativi alla valutazione dei beni sociali e
3) se i dati del bilancio corrispondono alle risultanze dei libri e delle scritture
contabili.
I sindaci devono assistere alle adunanze del consiglio di amministrazione, alle
assemblee e alle riunioni del comitato esecutivo.
I sindaci possono compiere, anche individualmente, atti di ispezione e di
controllo, avvalendosi, sotto la propria responsabilità e a proprie spese, di
ausiliari (dipendenti subordinati o collaboratori autonomi). Gli amministratori
possono però rifiutare agli ausiliari l’accesso alle informazioni riservate.
DENUNCIA AL COLLEGIO SINDACALE
Per agevolare il controllo dei sindaci, è ammesso che ogni socio possa denunziare i
fatti che ritiene censurabili al collegio sindacale.
Se la denunzia è fatta da tanti soci che rappresentano 1/20 del capitale sociale
(o 1/50 nelle società che fanno ricorso al mercato di rischio), il collegio sindacale
deve indagare senza ritardo e presentare le sue conclusioni ed eventuali proposte
all’assemblea. Inoltre, il collegio sindacale deve convocare l’assemblea
se i fatti accertati sono di rilevante gravità e
vi sia urgente necessità di provvedere.
Il collegio sindacale deve riunirsi almeno ogni trimestre (se consentito dallo
statuto, può riunirsi anche a distanza, mediante l’uso di strumenti telematici).
Il collegio è regolarmente costituito con la presenza della maggioranza dei sindaci.
Le deliberazioni vengono prese a maggioranza assoluta e se ne redige
processo verbale, nel quale ogni sindaco dissenziente ha diritto di fare inserire i
motivi del proprio dissenso. I sindaci:
devono esercitare i loro doveri con la diligenza professionale richiesta dalla
natura dell’incarico;
sono responsabili della verità delle loro attestazioni e devono conservare
il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro
ufficio;
sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti e le
omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero
vigilato in conformità degli obblighi della loro carica.
L’azione di responsabilità contro i sindaci è regolata in modo analogo a quella
contro gli amministratori esercitata dalla società e dai creditori sociali.
CESSAZIONE DALL’UFFICIO
Il rapporto tra i sindaci e la società si estingue per 5 cause:
1) per la scadenza del triennio (la cessazione ha effetto dal momento in cui
il collegio è stato ricostituito);
2) per revoca. La revoca può essere deliberata dall’assemblea:
solo se ricorre una giusta causa e
deve essere approvata con decreto del tribunale, sentito l’interessato;
3) per morte del sindaco;
4) per rinunzia del sindaco;
5) per decadenza del sindaco. La decadenza si ha:
a) quando si verifica, dopo la nomina, 1 di quei fatti che avrebbero
costituito una causa di ineleggibilità (compresa la cancellazione o la
sospensione dal Registro dei revisori contabili);
b) oppure per la mancata partecipazione senza giustificato motivo:
alle assemblee,
o a 2 riunioni nello stesso esercizio sociale del collegio sindacale,
o a 2 riunioni consecutive, in uno stesso esercizio, del consiglio di
amministrazione o del comitato esecutivo.
SOSTITUZIONE DEI SINDACI
Per assicurare la continuità dell’ufficio, è disposto che ai sindaci cessati subentrino
i supplenti in ordine di età.
Se cessa il sindaco effettivo che è revisore contabile subentra il supplente +
anziano che riveste la stessa qualifica.
(I supplenti non partecipano alle riunioni del collegio sindacale e non esercitano
nessuna funzione sindacale fino a quando sono in carica i sindaci effettivi.)
In caso di sostituzione del presidente, la presidenza è assunta dal sindaco +
anziano.
I sostituti restano in carica fino alla prima assemblea, che provvede
all’integrazione del collegio, nominando il nuovo sindaco e, se è necessario, anche
il nuovo presidente.
I sindaci nominati dall’assemblea scadono insieme a quelli già in carica.
Se i sindaci supplenti non sono sufficienti per completare il collegio sindacale,
deve convocarsi subito l’assemblea perché provveda all’integrazione dello stesso
collegio.
La nomina dei sindaci e la cessazione dall’ufficio devono essere iscritte entro
30 giorni nel Registro delle Imprese, a cura degli amministratori.
IL CONTROLLO CONTABILE
Il controllo contabile sulle SPA è esercitato:
da un revisore contabile o
da una società di revisione
iscritti nel registro istituito presso il Ministero della giustizia.
(Nelle società che hanno adottato il sistema tradizionale di amministrazione e di
controllo, e non quello dualistico o monistico, lo statuto può prevedere che il
controllo contabile sia affidato al collegio sindacale.)
Se la società fa ricorso al mercato del capitale di rischio, l’incarico può
essere conferito solo ad una società di revisione.
L’incarico:
ha la durata di 3 esercizi e
dev’essere deliberato dall’assemblea ordinaria, sentito il collegio sindacale.
L’assemblea deve anche determinare il compenso per l’intero triennio.
La disciplina della revoca dell’incarico prima della scadenza è analoga a quella dei
sindaci.
La revoca:
può essere decisa dall’assemblea, sentito il parere del collegio sindacale,
solo per giusta causa e
deve essere approvata dal tribunale con decreto, sentito l’interessato.
I revisori:
1) verificano la regolare tenuta della contabilità sociale;
2) verificano se il bilancio di esercizio (e il bilancio consolidato) corrisponde alle
risultanze delle scritture contabili e degli accertamenti eseguiti e se è
conforme alle norme che lo disciplinano;
3) esprimono con apposita relazione un giudizio sul bilancio di esercizio (e sul
bilancio consolidato);
4) possono chiedere agli amministratori le notizie e i documenti utili per il
controllo della società e
5) possono procedere anche ad ispezioni.
I revisori sono responsabili nei confronti della società, dei soci e dei terzi per i
danni derivanti dall’inadempimento ai loro doveri.
Il collegio sindacale e i revisori contabili si devono scambiare tempestivamente le
informazioni rilevanti per l’espletamento dei rispettivi compiti.
I SISTEMI STATUTARI DI AMMINISTRAZIONE E DI CONTROLLO
Invece del sistema tradizionale di amministrazione e di controllo, basato sulla
presenza del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale, i soci possono
scegliere alternativamente nello statuto: il sistema dualistico o il sistema
monistico.
Il sistema dualistico è basato sulla presenza di 1 consiglio di gestione e di 1
consiglio di sorveglianza.
Il sistema monistico è basato sulla presenza del solo consiglio di
amministrazione, soggetto al controllo di un comitato costituito all’interno dello
stesso consiglio di amministrazione.
L’adozione di questi sistemi di amministrazione e di controllo non è congeniale alle
SPA composte di pochi soci.
SISTEMA DUALISTICO
Il SISTEMA DUALISTICO è basato sulla presenza
di 1 consiglio di gestione e
di 1 consiglio di sorveglianza.
La principale differenza rispetto al sistema tradizionale non è sul piano
dell’amministrazione, ma è sul piano del controllo, in quanto al consiglio di
sorveglianza sono attribuiti diversi poteri che, nel sistema tradizionale, spettano
alla stessa assemblea e al collegio sindacale.
CONSIGLIO DI GESTIONE
La disciplina del consiglio di gestione corrisponde a quella del consiglio di
amministrazione (non è però ammissibile la nomina di un amministratore unico,
perché i gestori devono essere almeno 2).
Nello statuto però si può prevedere che sia il consiglio di sorveglianza
competente a deliberare sulle operazioni strategiche e sui piani industriali e
finanziari predisposti dal consiglio di gestione, che comunque rimane
responsabile per i conseguenti atti di esecuzione.
CONSIGLIO DI SORVEGLIANZA
La principale differenza rispetto al sistema tradizionale è sul piano del controllo, in
quanto al consiglio di sorveglianza sono attribuiti diversi poteri che, nel sistema
tradizionale, spettano alla stessa assemblea e al collegio sindacale.
Sotto il primo aspetto, il consiglio di sorveglianza:
1) nomina e revoca i membri del consiglio di gestione, determinandone il
compenso (salvo che lo statuto ne abbia attribuito la competenza
all’assemblea);
2) approva il bilancio di esercizio (lo statuto può prevedere che in caso di
mancata approvazione del bilancio da parte del consiglio di sorveglianza, il
bilancio sia approvato dall’assemblea, che in ogni caso deve deliberare sulla
distribuzione degli utili risultanti dal bilancio);
3) esercita l’azione di responsabilità contro i membri del consiglio di gestione.
Sotto il secondo aspetto, il consiglio di sorveglianza ha gli stessi poteri di
sorveglianza del collegio sindacale:
1) può denunciare al tribunale le gravi irregolarità commesse dai membri del
consiglio di gestione;
2) riferisce per iscritto all’assemblea almeno una volta all’anno sull’attività di
vigilanza svolta, sulle omissioni e sui fatti censurabili da esso rilevati.
I componenti del consiglio di sorveglianza
possono assistere alle riunioni del consiglio di gestione e
devono intervenire alle assemblee dei soci.
Il consiglio di sorveglianza deve essere composto da almeno 3 membri, che
possono essere anche non soci.
I membri del consiglio di sorveglianza sono nominati
nell’atto costitutivo e
successivamente dall’assemblea ordinaria.
Almeno 1 componente effettivo deve essere scelto tra i revisori contabili.
Per il resto la disciplina relativa alla durata e alla cessazione della carica è
analoga a quella degli amministratori nominati nel sistema tradizionale, tranne che
per quanto riguarda la sostituzione dei consiglieri di sorveglianza venuti a
mancare nel corso dell’esercizio, a cui deve sempre provvedere senza indugio
l’assemblea.
Il consiglio di sorveglianza:
dura in carica 3 esercizi e
deve riunirsi almeno ogni 90 giorni.
Ai suoi componenti spetta un compenso annuale che
deve essere determinato dall’assemblea all’atto della nomina e
deve rimanere invariato per l’intero triennio di durata della carica.
All’assemblea spetta anche deliberare l’esercizio dell’azione di responsabilità
contro i consiglieri di sorveglianza.
I componenti del consiglio di gestione, se soci, non possono votare nelle
deliberazioni assembleari riguardanti la nomina, la revoca o la responsabilità dei
consiglieri di sorveglianza.
Nel sistema dualistico la disciplina del controllo contabile è analoga a quella
prevista nel sistema tradizionale.
Il revisore è sempre scelto dall’assemblea.
SISTEMA MONISTICO
Nel SISTEMA MONISTICO
la gestione spetta al consiglio di amministrazione
il controllo spetta ad un comitato costituito all’interno dello stesso consiglio di
amministrazione.
Rispetto al sistema tradizionale assemblea e consiglio di amministrazione
mantengono i rispettivi ruoli, mentre al comitato per il controllo sulla gestione
spettano le attribuzioni del collegio sindacale.
CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
Nel consiglio di amministrazione almeno 1/3 dei componenti devono possedere i
requisiti di indipendenza
prescritti per i sindaci o
previsti da codici di comportamento redatti da associazioni di categoria o da
società che gestiscono mercati di borsa.
COMITATO PER IL CONTROLLO SULLA GESTIONE
Il comitato per il controllo sulla gestione è nominato dal consiglio di
amministrazione tra i suoi componenti.
Del comitato possono fare parte solo gli amministratori indipendenti che siano
anche in possesso dei requisiti di onorabilità e di professionalità stabiliti nello
statuto.
Per legge almeno 1 dei membri del comitato deve rivestire la qualifica di
revisore contabile.
I membri del comitato per il controllo sulla gestione
non possono essere né amministratori delegati né membri del comitato
esecutivo e
non possono svolgere nessuna attività di gestione.
Nel sistema monistico la disciplina del controllo contabile è analoga a quella
prevista nel sistema tradizionale.
Il revisore è sempre scelto dall’assemblea.
I PATTI PARASOCIALI
I PATTI PARASOCIALI (sindacati azionari) sono accordi con cui gli azionisti
stabiliscono preventivamente, di solito perché operino per un certo periodo di
tempo, le modalità con cui concordare il voto da esprimere nelle assemblee delle
società (sindacati di voto).
I patti parasociali possono essere + o – impegnativi (talvolta si tratta di sindacati
di consultazione) e possono essere caratterizzati in vario modo dall’autonomia
privata dei soci, ma hanno in comune la caratteristica che le intenzioni o le
determinazioni sul voto da esercitare in assemblea vengono concordate fuori dal
confronto assembleare con gli altri azionisti estranei agli accordi di sindacato.
Per questo motivo, per molto tempo l’ammissibilità dei patti parasociali è stata
controversa, in quanto si è dubitato che i patti parasociali, soprattutto quando
sono vincolanti per i soci aderenti, corrispondano ai modelli organizzativi prescritti
dal legislatore per il funzionamento degli organi delle società di capitali, ed in
particolare delle assemblee dei soci in cui la deliberazione, nel rispetto delle regole
procedimentali, dovrebbe essere il risultato di un libero confronto di opinioni e di
valutazioni di interessi, con possibilità di cambiare parere prima dell’esercizio del
voto.
Però i patti parasociali, quando non sono occasionali, permettono ai soci aderenti
di conseguire il controllo, o almeno un’influenza rilevante sulla gestione della
società, con caratteri di stabilità, che può condurre ad una maggiore efficienza.
La stabilità può essere perseguita anche concordando limiti al trasferimento a terzi
delle azioni dei soci tra loro sindacati (sindacati di blocco).
Con la riforma del 2003, il codice ammette che i soci possono stipulare appositi
accordi non inseriti nello statuto sociale, diretti:
1) a porre limiti al trasferimento delle partecipazioni sociali o
2) a regolamentare l’esercizio del diritto di voto nelle assemblee.
Questi PATTI PARASOCIALI hanno lo scopo, valutato meritevole di tutela dal
legislatore, di stabilizzare
gli assetti proprietari o
il governo della società.
Secondo l’orientamento tradizionale, però, i patti parasociali non hanno
effetto nei confronti dei soci estranei e dei terzi: quindi, se i soci aderenti ai
patti parasociali non ne osservano le prescrizioni, gli atti da loro compiuti in
violazione dei patti rimangono
validi nei confronti dei terzi
ed efficaci nei confronti della società (quindi, è valido il voto espresso in
assemblea in violazione dell’accordo).
Nei rapporti interni tra i soci aderenti ai patti, dalla loro violazione deriva
l’obbligo del risarcimento del danno.
La riforma quindi ha confermato l’ammissibilità dei patti parasociali, ma ha
affermato che la loro tutela non è di natura reale (invalidità dell’atto compiuto in
contrasto col patto) ma è di natura obbligatoria (obbligo del risarcimento dei
danni).
I PATTI PARASOCIALI possono essere stipulati in qualunque forma, anche
orale, e sono disciplinati sia con riguardo ai rapporti tra i soci aderenti al patto, sia
con riguardo ai rapporti con la società.
Per quanto riguarda i rapporti tra i soci aderenti, è stabilito che i PATTI
PARASOCIALI:
non possono avere durata superiore a 5 anni,
ma sono rinnovabili alla scadenza.
Se le parti hanno previsto un termine maggiore di 5 anni, i patti si intendono
stipulati per questa durata.
Se il patto non prevede un termine di durata, ogni contraente ha diritto di
recedere con un preavviso di 180 giorni.
Per quanto riguarda i rapporti con la società, è stabilito che nelle società non
quotate che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio i PATTI
PARASOCIALI devono essere:
comunicati alla società e
dichiarati in apertura di ogni assemblea. Questa dichiarazione deve
essere trascritta nel verbale assembleare, che deve essere poi depositato
nel Registro delle Imprese, proprio per dare pubblicità a questa
dichiarazione.
In mancanza della dichiarazione, i soci aderenti al patto non possono votare
e le delibere adottate con il loro voto determinante sono annullabili.
LA DENUNCIA DELLE IRREGOLARITÀ DEGLI AMMINISTRATORI
ALL’AUTORITÀ GIUDIZIARIA
Qualunque sia il sistema di amministrazione e di controllo interno scelto nello
statuto, a tutela dei soci di minoranza è previsto un procedimento che consente
l’intervento dell’autorità giudiziaria per controllare la correttezza della gestione
delle SPA.
L’ART.2409 attribuisce ai soci titolari del 10% del capitale sociale (o del
20%, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio) i quali
abbiano il fondato sospetto che siano state compiute gravi irregolarità dagli
amministratori, il potere di denunziare queste irregolarità al tribunale, quando vi è
un pericolo di danno per la società o per una società controllata.
Lo stesso potere di denunzia spetta anche:
al collegio sindacale
al consiglio di sorveglianza
al comitato per il controllo sulla gestione
e, solo nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, al
pubblico ministero.
I sindaci e i consiglieri di sorveglianza possono essere coinvolti nelle irregolarità
degli amministratori e seguirne le sorti.
Dopo la denunzia, il tribunale, sentiti in camera di consiglio gli amministratori e i
sindaci (o i consiglieri di sorveglianza), può ordinare l’ispezione
dell’amministrazione della società.
Il tribunale non dispone l’ispezione, e sospende il procedimento per un periodo di
tempo determinato, se l’assemblea sostituisce amministratori e sindaci (o
consiglieri di sorveglianza) con altri di adeguata professionalità, che
1) devono accertare senza indugio se le irregolarità sussistono e
2) devono provvedere alla loro eliminazione.
Se le irregolarità sussistono o non vengono eliminate, il tribunale può
1) disporre i + opportuni provvedimenti provvisori di natura cautelare e
2) convocare l’assemblea per le conseguenti deliberazioni.
Nei casi più gravi il tribunale può:
1) revocare gli amministratori, ed eventualmente anche i sindaci o i
consiglieri di sorveglianza
2) e nominare un amministratore giudiziario, determinandone i poteri e
la durata.
L’amministratore giudiziario può proporre l’azione di responsabilità contro gli
amministratori e i sindaci (o i consiglieri di sorveglianza) revocati, senza che
occorra + un’apposita deliberazione dell’assemblea.
Prima della scadenza del suo incarico, l’amministratore giudiziario:
riferisce al tribunale i risultati del suo operato
convoca e presiede l’assemblea per la nomina dei nuovi organi ordinari di
amministrazione e di controllo o per proporre, se è necessario, la messa in
liquidazione della società o la sua ammissione ad una procedura concorsuale.
L’ACQUISTO DELLE PROPRIE AZIONI
A tutela dell’integrità del capitale sociale, il legislatore ha dettato regole particolari
per vietare alle SPA il compimento di determinati atti o per consentirlo solo
quando ricorrono determinati presupposti.
Le violazioni di questa disciplina sono punite con l’applicazione di sanzioni penali.
La società non può acquistare le proprie azioni.
L’acquisto delle proprie azioni è vietato perché, se la società potesse
acquistarle liberamente, trasferendo in corrispettivo agli azionisti somme di
denaro che fanno parte del suo patrimonio, si avrebbe una diminuzione del
patrimonio e quindi della garanzia dei creditori sociali, senza che questi ne siano
nemmeno informati attraverso una riduzione del capitale sociale.
Perciò il divieto non opera quando l’acquisto di azioni proprie è finalizzato alla
riduzione del capitale, da attuarsi mediante riscatto e annullamento delle azioni
(in questo caso l’interesse dei soci e dei creditori all’integrità del capitale è
garantito dall’applicazione della disciplina sulla riduzione del capitale sociale).
Oltre all’ipotesi di riduzione del capitale, l’acquisto delle azioni proprie è
consentito alla società solo se ricorrono determinati presupposti che assicurino
la conservazione dell’integrità del capitale.
1) Il 1° presupposto è che l’acquisto avvenga entro i limiti degli utili
distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio
regolarmente approvato.
2) Poiché il potere di disporre degli utili e delle riserve disponibili spetta agli
stessi azionisti il 2° presupposto è che l’acquisto sia autorizzato
direttamente dall’assemblea ordinaria, che stabilisce le modalità
dell’acquisto, in particolare indicando:
il numero massimo di azioni da acquistare;
il periodo, non superiore a 18 mesi, entro il quale gli acquisti
possono avvenire;
il minimo e il massimo del prezzo che può essere pagato dagli
amministratori in corrispettivo dell’acquisto.
(Se per le somme utilizzate si ha una riduzione di riserve statutarie,
l’autorizzazione all’acquisto dovrebbe essere deliberata dall’assemblea
straordinaria.)
3) Il 3° presupposto è che le azioni siano interamente liberate, altrimenti
per i decimi residui ancora da versare la società diventerebbe debitrice di se
stessa.
In nessun caso, il valore nominale delle azioni acquistate può superare la decima
parte del capitale sociale, misura da calcolare tenendo anche conto delle azioni
possedute da società controllate dalla società emittente.
Se non ricorrono questi presupposti o se l’ammontare delle azioni proprie
acquistate supera il limite quantitativo del decimo del capitale sociale, la società
ha una alternativa:
1) può procedere, entro 1 anno dall’acquisto, all’alienazione delle azioni,
secondo modalità determinate dall’assemblea dei soci (nel caso di supero del
decimo del capitale, l’alienazione delle azioni dovrebbe avvenire solo per
l’eccedenza);
2) oppure, se non avviene l’alienazione delle azioni entro il termine annuale,
deve procedere senza indugio all’annullamento delle azioni e alla
corrispondente riduzione del capitale.
Se l’assemblea non provvede alla riduzione, questa deve essere disposta dal
tribunale, su richiesta degli amministratori e dei sindaci: in questo caso, il
procedimento per la riduzione obbligatoria è quello previsto dalla legge per il
caso di perdite.
Affinché questa disciplina non venga elusa, il legislatore ha disposto che essa si
applica anche quando la società procede all’acquisto delle proprie azioni per mezzo
di una società fiduciaria o per mezzo di una persona interposta che le
acquista in nome proprio, ma per conto della società emittente.
Le limitazioni all’acquisto di azioni proprie non si applicano:
1) quando l’acquisto avviene a titolo gratuito (es. per donazione, per cui
non vi è il pericolo che vengano distratte somme del patrimonio sociale);
anche in questo caso è prescritto che le azioni devono essere interamente
liberate;
2) quando l’acquisto è una conseguenza accidentale di altra operazione
o perché si ha la fusione con altra società (per cui può accadere che la
società incorporata possieda azioni emesse dalla società incorporante,
che quindi a seguito della fusione ne diviene proprietaria)
o perché si ha l’acquisto di un patrimonio a titolo universale (es.
accettazione di un’eredità, in cui sono comprese azioni della società
beneficiaria);
3) quando si ha una esecuzione forzata sulle azioni appartenenti ad un
debitore della società, e la società ne ottiene dal giudice l’assegnazione a
soddisfazione del proprio credito;
le azioni però devono essere interamente liberate, perché se l’azionista è
debitore della società in quanto moroso nel versamento dei decimi residui, si
applica la disciplina dell’art.2344.
Anche in questi casi opera il limite quantitativo, per cui il valore nominale delle
azioni proprie acquistate dalla società non può superare il decimo del capitale.
In caso contrario:
la società deve vendere l’eccedenza, ma il termine entro il quale deve avvenire
l’alienazione è di 3 anni (e non di 1 anno);
in mancanza di alienazione entro il termine di 3 anni, la società deve procedere
alla riduzione del capitale
con delibera dell’assemblea o
con provvedimento del tribunale, se l’assemblea non provvede alla
riduzione.
Gli amministratori non possono disporre delle azioni acquistate, e quindi il
potere di disporre spetta all’assemblea dei soci.
Finché le azioni restano in proprietà della società, il diritto di voto è sospeso
(ma le azioni vengono computate per la determinazione dei quorum costitutivi e
deliberativi delle assemblee).
Gli utili attribuiti alle azioni proprie acquistate non restano alla società, ma
vengono attribuiti proporzionalmente alle altre azioni.
Questa regola vale, in caso di aumento del capitale, anche per l’esercizio del
diritto di opzione, salvo che l’assemblea decida che la società sottoscriva le azioni
in opzione se ha utili o riserve disponibili.
AZIONI RISCATTABILI
La disciplina dell’acquisto delle azioni proprie si applica anche alle azioni
riscattabili, cioè alle azioni per le quali lo statuto prevede un potere di riscatto
della società (o anche di altri soci).
Le AZIONI RISCATTABILI non costituiscono una particolare categoria di azioni,
perché esse non hanno, in quanto tali, particolari diritti ed il potere di riscatto può
riguardare azioni di qualsiasi categoria, o anche diverse categorie di azioni.
Le azioni riscattabili di solito sono assegnate ai soci legati alla società da rapporti
extrasociali (es. di lavoro), per cui la società può esercitare il potere di riscatto
quando cessa la prosecuzione del rapporto extrasociale.
Il valore di riscatto viene determinato secondo i criteri fissati per i casi di
recesso.
IL DIVIETO DI SOTTOSCRIZIONE DELLE PROPRIE AZIONI
Per assicurare l’effettività dei conferimenti, e quindi del capitale sociale, alla SPA
è in ogni caso vietata la sottoscrizione delle proprie azioni:
sia che si tratti di sottoscrizione diretta (cioè, avvenuta a nome della
società)
sia che si tratti di sottoscrizione indiretta (cioè, operata da un terzo, in
nome proprio, ma per conto della società).
A differenza dell’acquisto di azioni proprie, il divieto di sottoscrizione è
assoluto, nel senso che non si hanno eccezioni.
Il divieto opera:
1) sia al momento della costituzione della società (quando la sottoscrizione
viene effettuata in nome della società prima della sua iscrizione nel Registro
delle Imprese o quando viene effettuata da una persona interposta);
2) sia al momento di ogni successivo aumento del capitale (salvo che la
società eserciti l’opzione sulle azioni proprie di cui è titolare).
A differenza di quanto stabilito per l’acquisto delle proprie azioni (ipotesi in cui il
capitale è stato già sottoscritto, per cui si ha l’obbligo dei sottoscrittori di
effettuare i conferimenti corrispondenti), la violazione del divieto di sottoscrizione
non importa un obbligo di alienazione delle azioni acquistate o, in alternativa,
l’obbligo del loro annullamento con conseguente riduzione del capitale.
In caso di sottoscrizione delle azioni proprie, il legislatore ha preferito una
soluzione diversa che permette di tenere fermo l’obbligo di effettuare i
conferimenti e di mantenere inalterata la misura del capitale sociale e ha distinto
l’ipotesi della sottoscrizione diretta dall’ipotesi della sottoscrizione indiretta.
1) SOTTOSCRIZIONE DIRETTA: Nel caso di sottoscrizione diretta, le azioni si
intendono sottoscritte, e i conferimenti devono essere effettuati
dai promotori o dai soci fondatori,
oppure, in caso di aumento del capitale sociale, dagli amministratori.
Questi diventano, perciò, titolari delle azioni sottoscritte in nome della società.
2) SOTTOSCRIZIONE INDIRETTA: Nel caso di sottoscrizione indiretta, il terzo,
che ha sottoscritto le azioni per conto della società ma in nome proprio, viene
considerato sottoscrittore per conto proprio e quindi rimane titolare delle
azioni sottoscritte.
Però, se il terzo non è in grado di effettuare i versamenti corrispondenti al
valore delle azioni, i conferimenti devono essere effettuati (come nella
sottoscrizione diretta)
dai promotori o dai soci fondatori,
oppure, in caso di aumento del capitale sociale, dagli amministratori.
Sia nel caso di sottoscrizione diretta, sia nel caso di sottoscrizione indiretta,
non sono responsabili della liberazione delle azioni coloro (promotori, soci,
amministratori) che dimostrino di essere esenti da colpa. Quindi è a loro carico
l’onere della prova. ALTRE OPERAZIONI VIETATE
Alla SPA è vietato accordare prestiti o fornire garanzie a terzi per l’acquisto
o la sottoscrizione delle proprie azioni.
Se non vi fosse questo divieto, potrebbe accadere che il capitale sociale appaia
interamente versato, mentre in effetti il denaro necessario per la sottoscrizione o
l’acquisto delle azioni sarebbe stato fornito dalla stessa società
perché la società lo ha anticipato ai sottoscrittori
perché ha concesso garanzie a loro favore e quindi, se essi sono
nullatenenti, risponde dell’adempimento del loro debito.
Alla SPA è vietato di accettare in pegno azioni proprie, neppure per tramite
di società fiduciaria o per interposta persona, affinché non sia costretta, in caso di
inadempimento del debitore, ad acquistare la proprietà delle azioni.
Il legislatore non ha precisato quali sono gli effetti della violazione di questi divieti.
Questi divieti però non operano quando si tratta di operazioni (prestiti,
accettazioni o concessioni di garanzie) effettuate per favorire l’acquisto di
azioni da parte di dipendenti della società stessa o di dipendenti di società
controllanti o controllate.
In questi casi, però, le somme impiegate e le garanzie prestate devono essere
contenute nei limiti degli utili distribuibili regolarmente accertati e delle riserve
disponibili risultanti dall’ultimo bilancio regolarmente approvato (cioè le somme
non devono incidere sul capitale, ma solo sulla parte disponibile del patrimonio
della società).
IL DIVIETO DI SOTTOSCRIZIONE RECIPROCA DELLE AZIONI
L’affidamento dei creditori sociali è posto in pericolo anche quando la società A ne
costituisce un’altra B sottoscrivendone il capitale per una certa cifra (es. 1 milione
di Euro), e poi delibera l’aumento del proprio capitale per lo stesso importo di 1
milione, facendone sottoscrivere le azioni alla stessa società B.
In questo caso, pur non essendoci nessun effettivo movimento di denaro, il
milione della società A verrebbe computato 2 volte: nel capitale della stessa
società A e nel capitale della società B.
Per evitare questi pericoli, alle società è vietato di costituire o di aumentare
il capitale mediante sottoscrizione reciproca di azioni.
La sottoscrizione reciproca è vietata anche se avviene per interposta persona.
Il divieto della sottoscrizione reciproca di azioni opera solo
per la costituzione o
per l’aumento del capitale sociale.
Quindi, al di fuori della costituzione e dell’aumento del capitale sociale, è sempre
possibile che si abbiano partecipazioni incrociate tra le società, in conseguenza di
acquisti reciproci di azioni corrispondenti al capitale già sottoscritto dai rispettivi
azionisti.
Questo fenomeno è stato sottoposto ad una particolare disciplina soprattutto con
riferimento alle società quotate.
La disciplina delle società quotate, però, non mira solo a tutelare l’integrità del
capitale, ma è volta soprattutto ad impedire che il possesso reciproco di
partecipazioni azionarie alteri il corretto funzionamento delle rispettive assemblee.
LE PARTECIPAZIONI IN ALTRE SOCIETÀ
SOCIETÀ FINANZIARIE E SOCIETÀ D’INVESTIMENTO
Alle società è vietato di costituire o aumentare il capitale sociale mediante la
sottoscrizione reciproca di azioni.
Alle società è vietata l’assunzione di partecipazioni in altre società, anche se
prevista genericamente nell’atto costitutivo se, per la misura e per l’oggetto
della partecipazione, viene a determinarsi una modifica sostanziale dell’oggetto
sociale (si vuole evitare che gli amministratori modifichino di fatto l’oggetto
sociale, eludendo l’approvazione dell’assemblea straordinaria degli azionisti
richiesta dalla legge).
Alle società è vietato possedere azioni di altre società per un valore superiore a
quello del proprio capitale.
Salvi questi divieti, in linea di massima, le società sono libere di acquistare
azioni o quote di altre società.
Questi acquisti creano particolari rapporti tra le società interessate e possono
anche condurre alla costituzione di GRUPPI DI SOCIETÀ che mirano a soddisfare
le esigenze di sviluppo dell’attività economica prefissa attraverso la formazione di
imprese formalmente autonome e distinte, ma in effetti coordinate tra di loro.
Di solito, il coordinamento avviene attraverso la costituzione di SOCIETÀ
FINANZIARIE (dette anche holdings), che svolgono come attività esclusiva o
principale l’assunzione di partecipazioni in altre società, allo scopo di dirigerne
l’attività.
HOLDING PURA: se la società finanziaria svolge come unica attività
l’assunzione e l’amministrazione delle partecipazioni in altre società, si ha una
holding pura.
HOLDING MISTA: se la società finanziaria svolge anche attività operativa,
cioè attività di produzione o di scambio, si ha una holding mista
Tra le imprese finanziarie vengono ricomprese anche le società di investimento
mobiliare, cioè le società che hanno per oggetto esclusivo o principale la
compravendita, il possesso, la gestione o il collocamento di valori mobiliari.
Le SOCIETÀ DI INVESTIMENTO MOBILIARE non acquistano le partecipazioni
di altre società allo scopo di controllarne l’attività e di costituire gruppi di società
(come avviene per le holdings), ma allo scopo di investire il proprio capitale in
titoli, con l’obiettivo di ricavarne un reddito attraverso la riscossione dei dividendi
o l’aumento del loro valore di mercato.
SOCIETÀ CONTROLLATE E SOCIETÀ COLLEGATE
Dall’esercizio del potere di acquistare azioni o quote di altre società possono
derivare gravi pericoli per l’integrità del capitale sociale e per il regolare
funzionamento delle assemblee.
Per questo motivo, il legislatore ha dettato regole particolari per limitare l’esercizio
del potere di partecipazione e per disciplinare i rapporti tra le società interessate.
Nell’ART.2359 è posta una distinzione tra società controllate e società collegate.
Sono considerate SOCIETÀ CONTROLLATE
1) le società in cui un’altra società, in virtù delle azioni o quote possedute,
dispone della maggioranza richiesta per le deliberazioni dell’assemblea
ordinaria (CONTROLLO DI DIRITTO);
2) le società che sono sotto “l’influenza dominante” di un’altra società
in virtù delle azioni o quote da questa possedute (che però non
raggiungono il livello richiesto per il controllo di diritto) oppure
in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa (es. la controllante è
l’unica cliente della controllata: CONTROLLO DI FATTO)
3) le società controllate indirettamente da un’altra società mediante le azioni o
quote possedute o da società da essa controllate (società a catena) oppure
per il tramite di società fiduciarie o di persone interposte (CONTROLLO
INDIRETTO).
Sono considerate SOCIETÀ COLLEGATE le società che sono sotto “l’influenza
notevole” di un’altra società.
La legge presume che l’influenza è notevole quando una società può esercitare
nell’assemblea ordinaria dell’altra almeno 1/5 dei voti (oppure 1/10, se la società
ha azioni quotate in borsa).
Sulla base di questa distinzione, soprattutto a tutela dell’effettività del capitale
delle società interessate, sono posti limiti, a carico delle società controllate,
all’acquisto e alla sottoscrizione di partecipazioni della società controllante.
ACQUISTO DI PARTECIPAZIONI DELLA CONTROLLANTE
La disciplina ricalca quella dell’acquisto delle azioni proprie, per cui anche le azioni
delle società controllanti, se acquistate senza il rispetto delle condizioni prescritte
dalla legge, devono essere alienate.
In mancanza di alienazione, si deve procedere al loro annullamento e alla
riduzione del capitale sociale. Però,
mentre nel caso di acquisto di azioni proprie, la vicenda si conclude con la
riduzione del capitale della società emittente,
nel caso di acquisto di azioni della società controllante, in conseguenza
della riduzione del suo capitale, occorre inoltre procedere a rimborsare alla
società controllata il valore delle azioni annullate.
In particolare, la società controllata non può, neppure tramite società fiduciaria
o interposta persona, acquistare azioni o quote della società controllante se
non ricorrono 3 condizioni:
1) che l’acquisto avvenga nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve
disponibili risultanti dall’ultimo bilancio regolarmente approvato;
2) che le azioni acquistate siano interamente liberate;
3) che l’acquisto sia deliberato dall’assemblea dei soci.
In nessun caso, il valore nominale delle partecipazioni acquistate può superare la
decima parte del capitale della società controllante, tenendo conto delle
partecipazioni proprie possedute dalla stessa società controllante e da altre società
da essa controllate.
Avvenuto l’acquisto, gli amministratori della società controllata non possono
esercitare il diritto di voto nelle assemblee della società controllante.
Le azioni o quote della società controllante acquistate senza il rispetto delle
condizioni prescritte devono essere alienate entro 1 anno dal loro acquisto,
secondo modalità determinate dall’assemblea.
Se la vendita non avviene entro il termine di 1 anno, la società controllante deve
procedere senza indugio al loro annullamento e alla corrispondente riduzione
del proprio capitale, rimborsando alla società controllata il loro valore
determinato secondo i criteri indicati dal codice per il recesso dell’azionista.
Se l’assemblea non provvede alla riduzione del capitale, gli amministratori e i
sindaci devono chiedere che la riduzione sia disposta dal tribunale con apposito
decreto. In questo caso, il procedimento per la riduzione obbligatoria del capitale
sociale è quello previsto dalla legge per il caso di perdite.
Le condizioni prescritte per l’acquisto di partecipazioni di società controllanti non
operano:
1) se l’acquisto avviene per effetto di successione universale o di fusione;
2) o se l’acquisto avviene a titolo gratuito;
3) o se l’acquisto avviene in occasione di esecuzione forzata per il
soddisfacimento di un credito della società controllata.
In questi ultimi 2 casi le azioni devono essere interamente liberate,
analogamente a quanto è disposto per l’acquisto di azioni proprie.
La disciplina dell’acquisto di azioni proprie si applica anche quando, a seguito
dell’acquisto delle partecipazioni della società controllante, si viene a superare il
limite del possesso del decimo del capitale della stessa società. Infatti, è disposto:
che la società controllata proceda all’alienazione dell’eccedenza nel termine
di 3 anni, o in mancanza,
che la società controllante proceda senza indugio alla riduzione del capitale,
col corrispondente rimborso del valore delle azioni annullate alla società
controllata.
Se il limite del decimo viene superato per effetto di circostanze sopravvenute,
la società controllante, entro 3 anni dal momento in cui si è verificata la
circostanza che ha determinato il superamento del limite, deve procedere
all’annullamento delle proprie azioni e
alla conseguente riduzione del proprio capitale.
SOTTOSCRIZIONE DI PARTECIPAZIONI DELLA CONTROLLANTE
La disciplina ricalca, senza modifiche, quella della sottoscrizione di azioni proprie.
Alla società controllata è vietato di sottoscrivere azioni o quote della
società controllante.
In caso di SOTTOSCRIZIONE DIRETTA della società controllata, le
partecipazioni si intendono sottoscritte dagli amministratori, che sono quindi
obbligati personalmente a versare i conferimenti corrispondenti al loro valore,
se non dimostrano di essere esenti da colpa.
In caso di SOTTOSCRIZIONE INDIRETTA, il terzo che ha sottoscritto le
partecipazioni in nome proprio, ma per conto della società controllata, è
considerato sottoscrittore per conto proprio, e rimane quindi titolare delle
partecipazioni sottoscritte.
Se il terzo non è in grado di pagare il debito derivante dalla sottoscrizione, il
pagamento dovrà essere effettuato dagli amministratori della società
controllata, solidalmente responsabili dell’adempimento del debito, se non
dimostrano di essere esenti da colpa.
I GRUPPI DI SOCIETÀ
L’ATTIVITÀ DI DIREZIONE E COORDINAMENTO
Quando sussiste una posizione di controllo tra 2 o + società, la legge presume che
la società controllante svolga anche una attività di direzione e di coordinamento
delle attività delle società controllate.
(La presunzione è solo relativa perché ammette la prova contraria.)
Questa ATTIVITÀ DI DIREZIONE E DI COORDINAMENTO (per cui la società
controllante viene denominata capogruppo) può essere svolta anche:
in base a vincoli contrattuali esistenti tra le società (cd. contratto di
dominio);
oppure in virtù di clausole statutarie;
o anche solo in via di fatto (es. per la coincidenza dei componenti degli
organi amministrativi delle società).
Vi è quindi il rischio che la società capogruppo induca gli amministratori delle
società controllate ad adottare decisioni, corrispondenti all’interesse della stessa
capogruppo, o anche all’interesse complessivo del gruppo, che però possono
arrecare pregiudizio alla singola società controllata (es. la controllata acquista beni
prodotti dalla controllante per un prezzo superiore a quello di mercato).
In questi casi possono essere danneggiati:
sia i soci di minoranza della controllata che non siano anche soci della
controllante o di altre società del gruppo,
sia i terzi creditori della controllata.
PUBBLICITÀ
A tutela degli interessi dei soci di minoranza e dei creditori della società controllata
è disposto che la società controllata deve dare pubblicità al fatto di essere
soggetta all’altrui attività di direzione e di coordinamento:
indicandolo negli atti e nella corrispondenza e
procedendo all’iscrizione di una corrispondente dichiarazione in
un’apposita sezione del Registro delle Imprese.
In mancanza, gli amministratori della società controllata sono responsabili dei
danni che la mancata conoscenza del fatto abbia arrecato ai soci o ai terzi.
MOTIVAZIONE
Le decisioni delle società controllate, quando influenzate dalla capogruppo,
devono essere analiticamente motivate e
devono recare puntuale indicazione delle ragioni e degli interessi la
cui valutazione ha inciso sulla decisione.
RESPONSABILITÀ DELLA SOCIETÀ CAPOGRUPPO
Ai soci e ai creditori della società controllata è attribuita un’AZIONE DIRETTA DI
RESPONSABILITÀ EXTRACONTRATTUALE anche contro la società capogruppo,
se questa ha indotto le società controllate a violare i principi di correttezza della
gestione.
I soci della società controllata possono agire per il risarcimento dei danni
arrecati al valore e alla redditività della loro partecipazione sociale.
I creditori della società controllata possono agire per la lesione cagionata
all’integrità del patrimonio sociale, quando questa lesione non consente
alla società controllata il pagamento dei propri debiti.
Questa azione di responsabilità contro la capogruppo (e, in solido, contro
chiunque abbia preso parte al fatto lesivo e ne abbia consapevolmente tratto
vantaggio):
ha natura diretta (e non surrogatoria)
ma può essere esercitata solo se i soci e i creditori non sono stati
soddisfatti dalla società controllata.
Se la società controllata viene sottoposta ad una procedura concorsuale,
l’azione dei creditori contro la capogruppo è esercitata, in loro vece, dall’organo a
cui la legge attribuisce l’amministrazione della società nella fase concorsuale (es. il
curatore nel fallimento).
FINANZIAMENTI POSTERGATI
I finanziamenti effettuati dalla capogruppo alla società controllata in una
situazione in cui sarebbe stato invece ragionevole procedere ad un aumento del
capitale sociale, sono disciplinati, se la società controllata fallisce, come se
fossero conferimenti, e quindi vengono rimborsati alla società capogruppo solo
se prima vengono soddisfatti tutti gli altri creditori della controllata.
RECESSO
Ai soci delle società controllate è riconosciuto il diritto di recesso in particolari
ipotesi in cui la capogruppo adotta provvedimenti che, anche se legittimi, possono
incidere negativamente sul valore della loro partecipazione sociale.
LA SUDDIVISIONE IN COMPARTI CON
AUTONOMIA PATRIMONIALE
Come ogni debitore, anche le SPA rispondono dei propri debiti con tutto il loro
patrimonio.
Quando una società vuole compiere una particolare operazione economicamente
autonoma, può avere interesse a costituire un’altra società da essa controllata,
destinata a compiere solo questa operazione, in modo da rispondere dei debiti
derivanti dalla stessa operazione solo con la parte del proprio patrimonio che è
stata oggetto del suo conferimento nella società controllata.
Per questa via, si può pervenire anche alla costituzione di un gruppo di società,
dirette e coordinate dalla capogruppo, ma ciascuna dotata di autonomia
patrimoniale.
Invece di procedere alla formazione di un gruppo, alle SPA è consentito di
costituire al loro interno appositi patrimoni separati, ciascuno dedicato al
compimento di una specifica operazione economica, ed al quale vanno
autonomamente imputati i guadagni e le perdite da essa derivanti.
PATRIMONI DESTINATI AD UNO SPECIFICO AFFARE
La SPA può costituire 1 o + patrimoni separati, ciascuno dei quali destinato in
via esclusiva ad 1 specifico affare.
Questi patrimoni non possono essere costituiti per un valore complessivamente
superiore al 10% del patrimonio netto della società.
La deliberazione è adottata dall’organo amministrativo della società a
maggioranza assoluta dei suoi componenti e deve indicare:
1) l’affare al quale sono destinati i beni e i rapporti giuridici che vengono
costituiti in patrimonio separato;
2) il piano economico-finanziario da cui risulti la congruità del patrimonio
rispetto alla realizzazione dell’affare;
3) gli eventuali apporti di terzi, con le modalità di controllo sulla gestione e di
partecipazione ai risultati dell’affare che gli vengono riconosciuti;
4) la possibilità di emettere strumenti finanziari di partecipazione all’affare con
i diritti che essi attribuiscono;
5) la nomina di una società di revisione a cui viene affidato il controllo
contabile sull’andamento dell’affare (la nomina non occorre se già il controllo
di tutta la contabilità sociale spetta ad una società di revisione);
6) le regole con cui deve essere presentato il rendiconto dell’affare.
Nella delibera gli amministratori possono stabilire che la società risponda
illimitatamente con tutto il proprio patrimonio anche dei debiti relativi allo
specifico affare.
Se invece manca questa previsione, per tali debiti la società risponde solo con i
beni del patrimonio separato.
La deliberazione consiliare:
deve essere verbalizzata da un notaio e
deve essere depositata ed iscritta entro 30 giorni nel Registro delle
Imprese.
Entro 2 mesi dall’iscrizione i creditori sociali possono fare opposizione.
Il tribunale, in attesa di decidere sull’opposizione, può consentire alla società di
prestare un’idonea garanzia, per poter procedere alla realizzazione dell’affare.
Anche il provvedimento del tribunale deve essere pubblicato nel Registro delle
Imprese.
Dopo il decorso del termine bimestrale, o dopo la pubblicazione del provvedimento
del tribunale, i creditori sociali, i cui crediti non derivano dallo svolgimento
dell’affare, non possono agire sui beni inclusi nel patrimonio separato, ma possono
agire solo sulla parte di frutti o proventi spettante alla stessa società.
Se vengono emessi strumenti finanziari di partecipazione all’affare, i loro
possessori
deliberano sugli oggetti di interesse comune e sulle eventuali modificazioni dei
diritti partecipativi in assemblea speciale e
procedono alla nomina di un rappresentante comune che controlli il regolare
andamento dell’affare.
Quando l’affare si è realizzato, o ne è divenuta impossibile la realizzazione,
l’organo amministrativo redige il rendiconto finale e lo deposita presso il
Registro delle Imprese.
Se i debiti sociali derivanti dall’affare non sono stati integralmente soddisfatti, i
creditori possono chiedere alla società di nominare un liquidatore che proceda
alla liquidazione del comparto separato, vendendone i beni e pagando le passività.
FINANZIAMENTI DESTINATI AD UNO SPECIFICO AFFARE
Gli amministratori della società possono stipulare con un terzo (di solito una banca
o una società finanziaria) un CONTRATTO DI FINANZIAMENTO destinato alla
realizzazione di 1 specifico affare.
Nel contratto deve essere previsto
che la restituzione delle somme oggetto del finanziamento deve avvenire
esclusivamente con i proventi, o con una parte dei proventi, derivanti dalla
realizzazione dell’affare;
e che, se la restituzione non avviene entro un certo termine, il prestito non
deve essere + rimborsato.
Il finanziamento destinato è diverso dal patrimonio destinato:
1) innanzitutto, perché sono soltanto i proventi dell’operazione a costituire
un patrimonio separato da quello della società;
2) e poi, perché il finanziamento ha natura partecipativa, nel senso che il
finanziatore partecipa al rischio dell’operazione sociale, in quanto non ha
diritto al rimborso del suo credito se la società non riesce a realizzare i
proventi previsti nello stesso contratto di finanziamento.
Nel contratto quindi
devono essere precisate le garanzie offerte dalla società per la
corretta e tempestiva realizzazione dell’operazione e
devono essere determinati i controlli che il finanziatore può
effettuare sull’esecuzione dell’affare.
Affinché i proventi dell’operazione costituiscano un patrimonio separato, si devono
osservare, a tutela degli altri creditori sociali, particolari regole di pubblicità e di
identificazione dei proventi. Perciò è prescritto:
che copia del contratto di finanziamento sia depositata ed iscritta nel
Registro delle Imprese;
che la società adotti sistemi di incasso e di contabilizzazione idonei ad
individuare in ogni momento i proventi dell’affare ed a tenerli separati dal
restante patrimonio della società.
LE MODIFICAZIONI DELL’ATTO COSTITUTIVO
Nella SPA le modifiche dell’atto costitutivo sono di competenza
dell’assemblea straordinaria (quindi possono essere decise solo da una parte
degli azionisti, purché si raggiunga il quorum prescritto dalla legge).
Entro 30 giorni dalla riunione dell’assemblea straordinaria, il notaio che ha
verbalizzato la delibera di modifica deve chiederne l’iscrizione nel Registro delle
Imprese.
Analogamente a quanto è previsto per la costituzione della società, l’ufficio del
Registro delle Imprese deve verificare soltanto la regolarità formale della
documentazione.
Invece, a differenza di quanto accade per l’atto costitutivo, il notaio non può
rifiutare di verbalizzare la delibera modificativa, neanche se i soci hanno
approvato disposizioni contrarie alla legge.
Il notaio, se ritiene la delibera illegittima, non deve chiederne l’iscrizione, ma
deve comunicare, entro 30 giorni, la propria valutazione negativa agli
amministratori.
Gli amministratori, entro i 30 giorni successivi, possono in via alternativa:
1) convocare l’assemblea per gli opportuni provvedimenti oppure
2) richiedere al tribunale il giudizio di omologazione, cioè di accertare la
legittimità della delibera.
Se gli amministratori non procedono tempestivamente a nessuna di queste
alternative, la delibera diventa definitivamente inefficace.
Il tribunale, se giudica la delibera legittima, ne ordina l’iscrizione nel Registro
delle Imprese.
La modifica diventa efficace solo a seguito dell’iscrizione nel Registro delle
Imprese.
Dopo ogni modifica, il testo aggiornato dello statuto deve essere integralmente
depositato nel Registro delle Imprese.
Nel codice:
è dettata una disciplina particolare per le deliberazioni modificative che hanno
per oggetto l’aumento o la riduzione del capitale sociale;
sono determinati i casi di modificazioni in cui i soci assenti o dissenzienti hanno
il diritto di recesso dalla società;
sono poste disposizioni comuni a tutti i tipi di società relative alla
trasformazione (cioè al cambiamento del tipo sociale), alla fusione e alla
scissione tra 2 o + società.
L’AUMENTO DEL CAPITALE SOCIALE
Se necessario, la società può deliberare l’aumento del proprio capitale.
La deliberazione di aumento può essere validamente adottata, ma non può
essere eseguita fino a quando le azioni precedentemente emesse non siano
interamente liberate.
Se, però, è ugualmente avvenuta la sottoscrizione delle azioni corrispondenti
all’aumento, i sottoscrittori restano obbligati ai relativi versamenti, che però
devono eseguire solo dopo che avviene la liberazione delle azioni precedenti.
Nel codice è posta una particolare disciplina per l’azione di nullità contro la
delibera di aumento.
L’AZIONE DI NULLITÀ contro la delibera di aumento può essere proposta
entro 180 giorni dall’iscrizione della delibera nel Registro delle Imprese o
in caso di nullità per mancata convocazione dell’assemblea, entro 90 giorni
dall’approvazione del bilancio dell’esercizio nel corso del quale la delibera è
stata anche parzialmente eseguita.
Nelle società con azioni diffuse tra il pubblico in misura rilevante, il
tribunale non può pronunciare l’invalidità della delibera di aumento a pagamento
del capitale dopo che è stata iscritta nel Registro delle Imprese l’attestazione che
l’aumento è stato anche parzialmente eseguito.
Rimane salvo il diritto al risarcimento del danno eventualmente spettante ai soci e
ai terzi.
Nel codice sono disciplinate 2 ipotesi di aumento del capitale sociale:
1) l’aumento a pagamento
2) l’aumento gratuito.
AUMENTO A PAGAMENTO
Si ha AUMENTO A PAGAMENTO quando si ha aumento del capitale con
corrispondente aumento del patrimonio della società:
o perché i soci compiono nuovi conferimenti
o perché ulteriori conferimenti sono compiuti da terzi che così entrano a far
parte della società, diventandone azionisti.
Se l’invito a sottoscrivere l’aumento viene annunciato agli investitori nella forma di
una “sollecitazione all’investimento”, l’annuncio deve essere preventivamente
portato a conoscenza della Consob e si applica la disciplina prescritta dalla legge
per la regolamentazione delle sollecitazioni.
Se si conferiscono somme di denaro, bisogna versarne agli amministratori
almeno il 25% all’atto della sottoscrizione dell’aumento,
o l’intero ammontare, se si tratta di società unipersonale.
Se si conferiscono beni in natura o diritti di credito, bisogna procedere alla loro
stima (come al momento della costituzione della società).
DELEGA AGLI AMMINISTRATORI
Lo statuto, o l’assemblea straordinaria mediante una modifica dello statuto,
possono attribuire agli amministratori il potere di aumentare il capitale in una
o + tranches, cioè attraverso l’emissione in una o + volte di titoli azionari, fino ad
un ammontare massimo già determinato nello stesso statuto o dalla stessa
assemblea.
Secondo la dottrina, anche la scelta della categoria delle azioni da emettere deve
essere indicata nello statuto o dall’assemblea straordinaria.
In mancanza, si può ritenere
o che la scelta spetti allo stesso organo amministrativo
o che l’organo amministrativo possa emettere solo azioni ordinarie (almeno
quando già esistono altre categorie di azioni. Questa seconda soluzione è
preferita da chi ritiene che l’emissione di azioni diverse quelle ordinarie debba
essere approvata dall’assemblea speciale degli azionisti della categoria
interessata.
Con l’attribuzione della delega si dà la possibilità agli amministratori di procedere
all’emissione nel momento in cui la situazione del mercato finanziario appare più
favorevole al collocamento delle azioni, o anche di non procedervi affatto, se la
situazione del mercato non è opportuna.
Il potere di aumentare il capitale sociale può essere esercitato dagli
amministratori solo entro 5 anni
dalla costituzione della società o
dalla modifica dello statuto.
La delibera degli amministratori di aumento del capitale deve essere:
redatta da un notaio e
iscritta nel Registro delle Imprese.
DIRITTO DI OPZIONE
Per non alterare la posizione dei vecchi azionisti, e non ridurre la percentuale della
loro partecipazione sociale, è stabilito che, in caso di aumento a pagamento del
capitale sociale, essi devono essere preferiti nella sottoscrizione delle azioni di
nuova emissione (e delle obbligazioni convertibili in azioni) in proporzione al
numero delle azioni già possedute.
Se già vi sono obbligazioni convertibili, l’opzione spetta anche ai loro titolari, in
concorso con gli azionisti, sulla base del rapporto di cambio.
Il diritto di opzione spetta agli azionisti titolari di azioni ordinarie anche se la
nuova emissione ha per oggetto azioni di altra categoria (es. azioni privilegiate) e
viceversa.
Per l’esercizio dell’opzione dev’essere concesso un termine di almeno 30
giorni dalla pubblicazione nel Registro delle Imprese.
OPZIONE INDIRETTA: Per agevolare il collocamento delle azioni, l’assemblea
straordinaria, nel deliberare l’aumento del capitale, può decidere che le azioni
vengano sottoscritte da banche o da enti finanziari soggetti al controllo della
Consob, che assumano l’obbligo di offrirle in opzione agli azionisti e ai titolari di
obbligazioni convertibili.
Se sulle azioni vi è un diritto di pegno o di usufrutto, almeno 3 giorni prima della
scadenza del termine per l’esercizio del diritto di opzione, il socio o
l’obbligazionista devono versare al creditore pignoratizio o all’usufruttuario le
somme necessarie per l’esercizio del diritto di opzione (il vincolo si estende alle
azioni di nuova emissione).
Se il versamento non avviene, e se gli altri soci non chiedono al socio o
all’obbligazionista di acquistare il diritto di opzione, questo deve essere alienato
per loro conto a mezzo di una banca o di una società di intermediazione mobiliare.
Può accadere che per una parte dei titoli l’opzione non venga esercitata: in questo
caso, chi ha già esercitato l’opzione e ne ha fatto contestuale richiesta ha un
(ulteriore) diritto di prelazione sui titoli non optati.
Il diritto di opzione può essere escluso o limitato solo in 3 casi:
1) quando le azioni devono essere liberate mediante conferimenti in natura
2) quando lo esige l’interesse della società (in questo caso la delibera di
esclusione, anche se presa dall’assemblea in una convocazione successiva
alla 1ª, deve essere approvata da oltre la metà del capitale sociale);
3) quando l’assemblea straordinaria delibera di offrire le nuove azioni ai
dipendenti della società.
Nei primi 2 casi, occorre una relazione degli amministratori da cui risultino le
ragioni per cui si propone l’esclusione o la limitazione dell’opzione.
La relazione deve essere:
corredata da un parere dell’organo di vigilanza sulla gestione (sindaci,
consiglio di sorveglianza o comitato per il controllo sulla gestione) che deve
pronunciarsi sulla congruità del prezzo di emissione;
e posta a disposizione dei soci, assieme alla stima giurata dei conferimenti
in natura, nella sede sociale durante i 15 giorni che precedono la riunione
dell’assemblea e fino a quando l’assemblea non ha adottato le proprie
deliberazioni.
L’assemblea deve stabilire il prezzo di emissione delle azioni in base al valore
del patrimonio netto (cioè all’ammontare complessivo del capitale e delle riserve
esistenti, al netto delle eventuali perdite).
La differenza tra il prezzo di emissione delle azioni ed il loro valore nominale viene
denominata sovrapprezzo.
Il sovrapprezzo deve essere integralmente versato (mentre per la parte di
prezzo che corrisponde al valore nominale delle azioni bisogna versare, all’atto
della sottoscrizione, solo il 25% dei conferimenti in denaro).
Quanto ottenuto dalla società come sovrapprezzo deve essere destinato ad
un’apposita riserva legale: solo quando la riserva legale ha raggiunto 1/5 del
nuovo ammontare del capitale sociale, il sovrapprezzo può essere distribuito tra i
soci, con delibera dell’assemblea ordinaria.
SOTTOSCRIZIONE PARZIALE
Se l’aumento non è sottoscritto integralmente entro il termine prescritto (termine
che deve risultare dalla deliberazione di aumento), i sottoscrittori restano vincolati
nei limiti della somma sottoscritta, solo se così è stato espressamente disposto
nella stessa deliberazione di aumento (presunzione di inscindibilità
dell’aumento).
WARRANTS
Spesso accade, in caso di esclusione del diritto di opzione o in caso di
sottoscrizione delle azioni da parte di imprese bancarie o finanziarie con l’obbligo
di offrirle in opzione agli azionisti, che la società emittente rilasci agli stessi
azionisti particolari “buoni” detti warrants.
I WARRANTS sono documenti che attribuiscono il diritto di sottoscrivere o
di acquistare, entro un periodo di tempo e ad un prezzo predeterminati, le
azioni di nuova emissione (cd. azioni di compendio).
I warrants sono titoli liberamente trasferibili, con conseguente trasferimento, a
chiunque ne diventi portatore, del diritto di acquisire le azioni di compendio.
I warrants hanno quindi un proprio valore di mercato e possono essere ammessi
alle quotazioni in borsa.
INDICAZIONE NEGLI ATTI E NELLA CORRISPONDENZA
Avvenuta la sottoscrizione, entro 30 giorni gli amministratori devono iscrivere
nel Registro delle Imprese, un’attestazione che l’aumento del capitale è stato
eseguito.
Solo dopo l’iscrizione nel Registro di tale attestato, la nuova cifra del capitale può
essere indicata negli atti sociali.
AUMENTO GRATUITO
Si ha AUMENTO GRATUITO, e quindi aumento del capitale senza
contemporaneo aumento del patrimonio, quando nel capitale vengono
computati valori che già fanno parte del patrimonio della società (es. si imputano
a capitale le riserve volontarie, statutarie o facoltative oppure fondi speciali iscritti
nel bilancio).
L’imputazione a capitale di questi valori non è solo un’operazione contabile, ma ha
anche effetti giuridici, in quanto vi si procede allo scopo di rendere quei valori
indisponibili da parte della società (indisponibili, nel senso che non possono +
essere distribuiti tra gli azionisti se prima non si adotta una deliberazione di
contenuto opposto all’aumento, cioè la riduzione del capitale sociale, alla cui
esecuzione possono però opporsi i creditori sociali).
L’aumento gratuito di capitale può attuarsi in 2 modi:
1) o si emettono nuove azioni con gli stessi caratteri di quelle in
circolazione, assegnandole agli azionisti in proporzione di quelle già
possedute;
2) o si aumenta proporzionalmente il valore nominale delle vecchie
azioni, senza aumentarne il numero.
RIDUZIONE DEL CAPITALE SOCIALE
Nel codice sono disciplinate 2 ipotesi di riduzione del capitale sociale:
1) la riduzione volontaria a cui di solito si procede quando il patrimonio è
esuberante per il conseguimento dell’oggetto sociale;
2) la riduzione obbligatoria a cui si deve procedere quando, a causa di
perdite, il patrimonio della società è divenuto inferiore di oltre 1/3 rispetto al
valore nominale del capitale.
RIDUZIONE VOLONTARIA
Quando il patrimonio appare eccessivo per il conseguimento dell’oggetto sociale,
gli amministratori possono convocare l’assemblea straordinaria indicando le
ragioni per cui propongono la riduzione del capitale (nell’avviso di convocazione
devono anche indicare le modalità della riduzione).
Se la maggioranza degli azionisti è d’accordo, l’assemblea può deliberare la
riduzione, liberando la società, per la parte corrispondente, dal relativo vincolo di
indisponibilità.
Questa riduzione, oltre che facoltativa, è effettiva, nel senso che, dopo
l’esecuzione della delibera, diminuisce anche il patrimonio della società.
Per questo motivo, l’esecuzione della riduzione può avvenire solo dopo 3 mesi
dall’iscrizione della delibera nel Registro delle Imprese,
1) purché entro questo termine nessun creditore sociale anteriore all’iscrizione
abbia fatto opposizione;
2) oppure, se c’è stata opposizione, purché l’esecuzione sia stata autorizzata
dal tribunale
perché la società acconsente a prestare un’idonea garanzia
o perché, anche senza garanzia, il pericolo di un pregiudizio per i
creditori è giudicato senza fondamento.
La società può deliberare di eseguire la riduzione in diversi modi:
1) o libera i soci dall’obbligo dei versamenti ancora dovuti;
2) oppure restituisce a tutti i soci parte dei conferimenti;
(In entrambe queste 2 ipotesi occorrerà o diminuire proporzionalmente il
numero delle azioni in circolazione o ritirarle tutte emettendo altre azioni di
valore nominale inferiore.)
3) o acquista nel mercato una parte delle proprie azioni e le annulla;
4) oppure sorteggia un numero di azioni corrispondente all’ammontare
della riduzione, e ne rimborsa il valore nominale ai titolari ritirando i
titoli ed annullandoli (in quest’ultimo caso, si ritiene che la delibera debba
essere adottata all’unanimità, in quanto per gli azionisti interessati ne deriva
la cessazione del rapporto sociale).
Il capitale non può essere ridotto al di sotto del minimo legale (120 mila Euro).
Alla riduzione facoltativa sono posti altri limiti:
1) se la società ha già provveduto all’emissione di obbligazioni;
2) se la società possiede azioni proprie (le azioni proprie, anche dopo la
riduzione, non possono superare la decima parte del capitale sociale).
Se la delibera di riduzione volontaria è invalida, si applica la stessa disciplina
prevista per l’aumento di capitale.
RIDUZIONE PER PERDITE
La principale ragione per cui si ricorre alla riduzione (facoltativa) del capitale per
perdite è quella di permettere la distribuzione degli utili successivamente
conseguiti.
Altrimenti la distribuzione sarebbe inammissibile, in quanto occorrerebbe prima
colmare le perdite.
In questo caso, la riduzione del capitale non è effettiva, ma è solo nominale,
perché non si ha riduzione anche del patrimonio della società, ma soltanto
adeguamento del valore del capitale al valore del patrimonio.
La riduzione nominale diventa obbligatoria se il valore del patrimonio, in
conseguenza delle perdite, è divenuto inferiore a quello del capitale di oltre
1/3.
In questo caso, gli amministratori (o, in loro vece, i sindaci o i consiglieri di
sorveglianza) devono convocare senza indugio l’assemblea, sottoponendole una
relazione sullo stato patrimoniale della società, corredata dalle osservazioni del
collegio sindacale o del consiglio di sorveglianza o del comitato per il controllo
sulla gestione.
Se l’assemblea giudica la situazione irrimediabile, deve deliberare la riduzione
del capitale per adeguarlo a livello (inferiore) del patrimonio sociale.
Se invece l’assemblea prevede un miglioramento della situazione, può rinviare
ogni decisione all’esercizio successivo.
Se alla fine di quest’altro esercizio sociale la perdita non risulta diminuita a meno
di 1/3, l’assemblea ordinaria o il consiglio di sorveglianza che approva il bilancio
ha l’obbligo di deliberare la riduzione del capitale in proporzione delle perdite
accertate.
Se la società rifiuta di deliberare la riduzione, la riduzione viene disposta
direttamente dal tribunale con un decreto, su richiesta degli amministratori e dei
sindaci.
Il decreto di riduzione deve essere iscritto nel Registro delle Imprese.
Il ricorso al tribunale non occorre quando le azioni della società sono prive
dell’indicazione del valore nominale, e lo statuto consente che in questo caso
la riduzione obbligatoria del capitale per perdite possa essere disposta
direttamente dagli amministratori con una propria delibera pubblicata nel
Registro delle Imprese.
Se in conseguenza delle perdite, si è al di sotto del minimo legale, l’assemblea
deve deliberare:
1) o la riduzione del capitale, aumentandolo contestualmente almeno fino a
120 mila Euro;
2) o lo scioglimento della società;
3) oppure la trasformazione in un tipo diverso.
Un’ipotesi particolare (non considerata dal legislatore) è quella in cui il capitale
appare interamente perduto. In questo caso:
secondo una parte della dottrina, si dovrebbe avere lo scioglimento della
società (in quanto è divenuto impossibile conseguire l’oggetto sociale) ed
eventualmente la costituzione di una nuova società;
invece la giurisprudenza riconosce alla maggioranza dell’assemblea
straordinaria il potere di deliberare la riduzione a zero del capitale,
disponendone contestualmente la reintegrazione mediante aumento.
IL DIRITTO DI RECESSO
Nella SPA la modificazione dello statuto sociale può avvenire per decisione della
sola maggioranza. Si è dovuto, quindi, tutelare l’interesse degli azionisti di
minoranza a non subire mutamenti dello statuto che modifichino in modo radicale
quei punti che essi hanno considerato essenziali per la loro partecipazione alla
società.
È stato perciò riconosciuto agli azionisti contrari a determinate modificazioni
il diritto di recedere dalla società, cioè il diritto di sciogliere, in tutto o in parte,
il rapporto che li lega alla società.
Dopo l’esercizio del diritto di recesso, la società dovrà rimborsare agli azionisti che
recedono una somma corrispondente al valore della loro quota di partecipazione, o
di parte di essa.
CAUSE LEGALI DI RECESSO INDEROGABILI
Le principali modificazioni, a cui per legge consegue il diritto di recesso, totale
o parziale, sono:
1) il cambiamento dell’oggetto sociale, purché consenta un mutamento
significativo dell’attività della società;
2) la trasformazione della società, cioè il cambiamento del tipo di società;
3) il trasferimento della sede sociale all’estero;
4) la revoca della liquidazione.
Queste cause legali di recesso sono inderogabili, perché il codice dispone la
nullità di ogni patto volto ad escludere o rendere + gravoso l’esercizio del recesso.
CAUSE LEGALI DI RECESSO DEROGABILI
Sono previste altre cause legali di recesso:
1) quando viene deliberata la proroga del termine di durata della società
(quando la durata della società è indeterminata, il recesso è ammissibile
anche senza nessuna causa, purché con un preavviso di almeno 180 giorni,
aumentabile dallo statuto fino ad 1 anno);
2) quando viene deliberata l’introduzione o la rimozione di vincoli
convenzionali alla circolazione delle azioni.
Queste 2 cause legali di recesso sono derogabili dallo statuto, che può anche
vietarne l’esercizio.
Per le cause derogabili il codice non prevede il recesso parziale.
CAUSE STATUTARIE DI RECESSO
I soci possono prevedere anche cause statutarie di recesso, ma solo nelle
società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.
Il DIRITTO DI RECESSO spetta ai soci dissenzienti, astenuti o assenti
dall’assemblea, che devono comunicarlo alla società con raccomandata entro 15
giorni dalla data dell’iscrizione della delibera nel Registro delle Imprese.
Dopo l’esercizio del recesso, le azioni devono essere depositate presso la sede
sociale e non possono essere cedute a terzi.
Il recesso diventa inefficace se entro 90 giorni
1) viene revocata la delibera di modifica dello statuto che ne ha consentito
l’esercizio,
2) oppure viene deliberato lo scioglimento della società.
I soci recedenti hanno il diritto di ottenere dalla società il rimborso delle
proprie azioni.
Se nello statuto non sono stabiliti criteri di valutazione diversi, il valore delle azioni
deve essere determinato dagli amministratori, prima dell’assemblea convocata per
l’approvazione della proposta di delibera da cui può scaturire il diritto di recesso.
Il valore delle azioni deve essere determinato in base:
al valore del patrimonio sociale,
alle prospettive di reddito (avviamento) e
all’eventuale valore di mercato delle azioni.
Nei 15 giorni anteriori all’assemblea, i soci hanno diritto di prendere visione del
valore di rimborso determinato dagli amministratori.
Se non lo ritengono corretto, devono contestarlo nella stessa dichiarazione di
recesso.
A seguito di questa contestazione, il valore di liquidazione della quota deve
essere determinato da un esperto nominato dal tribunale.
Le azioni dei soci recedenti devono essere offerte in opzione, al valore di
rimborso,
agli altri soci e
ai titolari di obbligazioni convertibili.
Se l’opzione non viene esercitata, gli amministratori possono
collocare le azioni presso terzi estranei e
procedere, col ricavato della vendita, al rimborso della quota.
Nel caso di mancato collocamento entro 180 giorni dalla comunicazione del
recesso, la società deve rimborsare le azioni del socio receduto acquistandole nei
limiti degli utili e delle riserve disponibili (è la disciplina dell’acquisto delle azioni
proprie).
In mancanza di utili o di riserve sufficienti, gli amministratori devono
convocare l’assemblea straordinaria per deliberare
la riduzione del capitale o
lo scioglimento della società.
Il recesso può essere esercitato anche dai soci di società soggette ad attività di
direzione e di coordinamento in particolari ipotesi in cui la capogruppo addotta
provvedimenti che, anche se legittimi, possono incidere negativamente sul valore
della loro partecipazione sociale.
LE OBBLIGAZIONI
La SPA può ricorrere al mercato finanziario contraendo mutui a fronte dei quali
rilascia ai creditori dei documenti, denominati obbligazioni.
Le OBBLIGAZIONI (che possono essere emesse anche dallo Stato o da altri enti
pubblici) sono titoli di credito:
emessi in serie,
tutti identici e quindi fungibili tra loro (sono perciò detti titoli di massa)
e liberamente trasferibili.
Le OBBLIGAZIONI possono essere:
nominative o
al portatore.
A differenza delle azioni, le obbligazioni non rappresentano quote di
partecipazione alla società, ma rappresentano soltanto il diritto di credito che
l’obbligazionista vanta verso la società in proporzione alla somma che le ha
versato a seguito della sottoscrizione del mutuo obbligazionario.
Quindi, a differenza degli azionisti, gli obbligazionisti:
1) non hanno diritto alla distribuzione periodica degli utili conseguiti dalla
società,
2) non sopportano le eventuali perdite che incidono sul capitale sociale,
3) ma hanno diritto a percepire periodicamente l’interesse stabilito e, alla
scadenza, ad avere restituita la somma mutuata alla società (se
l’interesse è fisso, le obbligazioni sono denominate titoli a reddito fisso).
Talvolta la società, per invogliare i risparmiatori alla sottoscrizione dei titoli,
emette le obbligazioni “sotto la pari”, e perciò riceve una somma inferiore al
loro valore nominale, impegnandosi però a rimborsare alla scadenza agli
obbligazionisti una somma pari al valore nominale.
Se la società ha intenzione di rimborsare il prestito in 10 anni, nella delibera di
emissione stabilisce un piano di ammortamento per cui ogni anno saranno
sorteggiate un numero determinato di obbligazioni che saranno rimborsate ai
titolari delle obbligazioni sorteggiate.
Nella delibera di emissione può essere previsto
1) che il pagamento del capitale e degli interessi sia subordinato al
soddisfacimento degli altri creditori sociali (credito obbligazionario
postergato o subordinato);
2) e che l’entità e i tempi del pagamento degli interessi possano variare in base
a parametri oggettivi anche relativi all’andamento economico della società
(tasso variabile e indicizzato).
DESCRIZIONE APPUNTO
Riassunto per l'esame di Diritto Commerciale, basato su appunti personali e studio autonomo del testo consigliato dal docente Diritto Commerciale di Auletta, Salanitro sulle nozioni generali dell'impresa: descrizione imprenditore, tipi di impresa, statuto, la società, nozioni generali, tipi di società, modifica atti costitutivi, evoluzione.
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