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FINI DELLA DETERMINAZIONE DEL CAPITALE SOCIALE E DELL’
EVENTUALE SOVRAPPREZZO E I CRITERI DI VALUTAZIONE SEGUITI. LA
RELAZIONE DEVE ESSERE ALLEGATA ALL’ATTO COSTITUTIVO.
Primo problema: come si fa a fornire un valore oggettivo al bene in natura o al
credito conferito? Il legislatore dice che è necessario che il conferente che vuole
sottoscrivere le azioni della spa presenti al momento della costituzione della società
una relazione giurate di un esperto nominato dal tribunale. Questa è la regola ma in
realtà essa sconta i tempi della nostra giustizia: la spa è una società di capitali di
solito di grandi dimensioni, tant’è che vi è una norma sul capitale minimo il 2227
(120 mila euro); parliamo di investimenti rivolti ad un’attività economica che deve
essere di un certo livello, ed è un tipo si società strutturato nell’ottica di queste
attività. Se questo è vero è altrettanto vero che più complessa è l’attività esercitata più
i tempi per iniziare quell’attività e svolgerla devono essere quanto mai celeri.
Conferire beni in natura significa che il conferente deve fare un’istanza(involontaria
giurisdizione perché non è un procedimento contenzioso, ma tende a fornire la
legittimità in relazione ad una fattispecie, nel caso concreto a fornire legittimità al
valore del conferimento) presso il tribunale nel cui circondario ha sede la società. Il
presidente del tribunale una volta letta l’istanza convocherà le parti e nominerà un
perito dandogli un termine per adempiere all’incarico, cioè per valutare il bene in
natura o il credito. Sotto il profilo della tempistica può ricorrere anche un anno
dall’istanza alla valutazione del perito alla chiusura del procedimento di involontaria
giurisdizione. Un anno nei tempi della nostra giustizia corrisponde ad un minuto per
noi, però, per una società per azioni un anno può essere troppo tempo, perché magari
l’investimento deve essere fatto immediatamente e viene costituita questa società che
ha uno scopo per esempio partecipare ad un bando o un appalto e quindi necessita
immediatamente di valutazioni certe di capitale per costituirsi e iniziare l’attività.
questa è una norma antica che è stata emanata con il codice civile del ’42 e conosceva
delle esigenze di tempistica diverse, anche in termini di valutazione, questo di
conseguenza non era un problema pratico in termini di costituzione della società, ma
lo è oggi. La nuova normativa di cui agli art 2343-ter e quater è una normativa che
trae spunto dalla necessita di superare la valutazione del tecnico nominato dal
presidente del tribunale: qualora il tecnico non fosse nominato dal tribunale e non
fosse necessario un procedimento giudiziario, ma fosse nominato direttamente dal
conferente che gli dice: senti ti devi occupare di questo incarico o lo fai entro un
mese o chiamo un altro, si entra così in un’ottica di mercato, i tempi sono certamente
più celeri. Questo per le spa il legislatore non si è sentito di farlo, ma lo ha fatto per le
srl, perché oggi per le srl il conferimento in natura deve essere valutato da un perito
nominato dalle parti, ma non dal tribunale, cioè il legislatore ha guardato alla srl
come uno strumento più agile, però nel momento in cui si è approcciato alla
disciplina dei conferimenti in natura delle spa non se l’è sentita di modificare questa
norma che obiettivamente sotto il profilo dei tempi rappresenta un blocco per la
società. Però qualcos’altro a fatto.
Non solo vi sarà un procedimento giurisdizionale che dura in media un anno, ma ciò
si aggiunge un altro adempimento previsto al terzo comma del 2343 nel quale si
legge :
3.GLI AMMINISTRATORI DEVONO, NEL TERMINE DI 180 GIORNI DALLA
ISCRIZIONE DELLA SOCIETA’, CONTROLLARE LE VALUTAZIONI
CONTENUTE NELLA RELAZIONE INDICATA NEL PRIMO COMMA E, SE
SUSSISTANO FONDATI MOTIVI, DEVONO PROCEDERE ALLA REVISIONE
DELLA STIMA. FINO A QUANDO LE VALUTAZIONI NON SONO STATE
CONTROLLATE, LE AZIONI CORRISPONDENTI AI CONFERIMENTI SONO
INALIENABILI E DEVONO RESTARE DEPPOSITATE PRESSO LE SOCIETA’.
Non solo vi sarà un procedimento per la valutazione del bene, che dura quello che
dura, ma anche gli amministratori dovranno valutare quello che è il risultato
dell’esperto nominato dal presidente del tribunale entro 180 giorni. Se vi è una
differenza tra il valore a cui arrivano gli amministratori e il valore che ha determinato
l’esperto gli amministratori devono provvedere alla revisione della stima.
4. SE RISULTA CHE IL VALORE DEI BENI O DEI CREDITI CONFERITI ERA
INFERIORE DI OLTRE UN QUINTO A QUELLO PER CUI AVVENNE IL
CONFERIMENTO, LA SOCIETA’ DEVE PROPORZIONALMENTE RIDURRE IL
CAPITALE SOCIALE, ANNULLANDO LE AZIONI CHE RISULTANO
SCOPERTE. TUTTAVIA IL SOCIO CONFERENTE PUO’ VERSARE LA
DIFFERENZA IN DANARO O RECEDERE DALLA SOCIETA’: IL SOCIO
RECEDENTE HA DIRITTO ALLA RESTITUZIONE DEL CONFERIMENTO,
QUALORA SIA POSSIBILE IN TUTTO O IN PARTE IN NATURA. L’ATTO
COSTITUTIVO PUO’ PREVEDERE, SALVO IN OGNI CASO QUANTO
DISPOSTO DAL QUINTO COMMA DELL’ART 2346, CHE PER EFFETTO
DELL’ANNULLAMENTO DELLE AZIONI DISPOSTO NEL PRESENTE
COMMA SI DETERMINI UNA LORO DIVERSA RIPARTIZIONE TRA I SOCI.
Gli step sono tre: tribunale, valutazione da parte del perito, verifica da parte egli
amministratori e, qualora il valore ci gli amministratori arrivano è inferiore di un
flottante pari ad un 5 del valore del conferimento. Esempio conferimento di 100mila,
valutato 100mila dall’esperto, gli amministratori si rendono conto che vale 70mila,
succede qualcos’altro, cioè che ai sensi del 4°comma del 2343 la società deve ridurre
quel capitale sociale, perché quel capitale sociale non rappresenta la realtà è inferiore
rispetto alla realtà, deve ridurlo e annullare le azioni eccedenti che nel frattempo non
possono circolare. Per altro il socio che si vede ridotta la propria quota di
partecipazione a capitale della società ha tre alternativa:
O versa quanto dovuto per arrivare a quel valore di conferimento (30mila);
- O si accontenta di una quota di partecipazione pari a 70 mila (nel caso
- concreto);
O recede, e in questo caso potrebbe avere diritto se il bene non è stato ancora
- utilizzato dalla società, anche alla restituzione del bene in natura conferito in
tutto o in parte.
Nel momento in cui conferisce la titolarità del bene in natura e del credito passa in
capo alla società immediatamente indipendentemente dalla valutazione; nel momento
in ci sottoscrive le azioni e conferisce i beni in natura vi è un trasferimento della
proprietà del bene in natura ovvero della titolarità del credito dal socio conferente alla
società, quindi , quando recede perché gli amministratori si sono resi conto che il
valore del bene in natura è inferiore di oltre 1/5 rispetto al valore del conferimento
inizialmente determinato, potrebbe ottenere di nuovo in dietro il bene in natura:
POTREBBE!! Perché ormai il bene è di proprietà della società, del credito è
diventata titolare la società, la società potrebbe anche decidere di non voler restituire
questo bene in natura ma di voler restituire il corrispondente valore determinato dagli
amministratori. In questi casi l’ulteriore difficoltà è anche fiscale, perché è ben
difficile che nel momento in cui io conferisco il bene alla società c’è un’imposizione
fiscale, il recesso con la restituzione del bene comporterebbe un’ulteriore imposizione
fiscale perché ci sarebbe un altro trasferimento di proprietà.
Questa disciplina è quasi mai utilizzata nel momento della costituzione della società
per azioni, anzi fino agli anni ’60 risultava comunque molto lenta e rischiosa per il
conferente, che era prigioniero di un’operazione che non gli dava alcuna certezza,
nello stesso tempo la società subiva le lentezze di questo procedimento e ancora il
socio conferente finché non veniva valutato il bene anche dagli amministratori non
poteva far circolare le azioni e smobilizzare il proprio investimento. Per aggirare
questa procedura si costituiva una spa per esempio con un conferimento di 1milione
di euro e tutti i soci sottoscrivevano le azioni impegnandosi a versare denaro, dopo 6
mesi dalla costituzione della società vendevano alla società un bene in natura, di
conseguenza la società diventava debitrice del socio e nello stesso tempo creditrice
dei versamenti ancora dovuti (nel caso di versamento in denaro è possibile non
versare l’integrale importo ma il 25 %, un quarto, questo valeva anche nella vecchia
disciplina). Anziché versare il 75% residuo vendeva il bene alla società, si creava una
situazione di debito credito tra socio e società e quindi il debito credito del socio per
versamenti ancora dovuti si compensava con il credito per la vendita del bene: una
operazione lineare ma contraria alla legge perché sostanzialmente si voleva raggirare
il procedimento del 2343. E’ contraria alla legge perché a ciò si aggiunga che di solito
si trattava del socio più importante all’interno della società che vendeva questo bene
non al valore effettivo, ma lo sopravvalutava anche quindi magari residuava pure un
credito a suo favore nei confronti della società costituita e in più il valore del capitale
non era il valore del capitale effettivo perché alla fine non vi era un versamento
corrispondente, cioè si aggirava la normativa del 2343 senza che il bene
sostanzialmente conferito con un negozio indiretto, con uno strumento negoziale
indiretto che aggirava quella norma, si conferiva un bene in natura il cui valore non
corrispondeva al valore del capitale sociale. In sostanza si negava quella che era la
tutela del capitale sociale prescritta al 2342 e 2343. La prima ad accorgersi di ciò (lo
facevano anche i francesi e i tedeschi) è stata la CE la quale negli anni ’60 ha
emanato una direttiva,la prima in materia societaria, con la quale ha chiesto
sostanzialmente agli stati membri di ovviare a questo problema creando un sistema
che fosse di blocco rispetto a queste operazioni. All’esito della prima direttiva
europea che era del 1969 è stato introdotto nel 1986 in Italia in 2343-bis, norma volta
ad evitare che si effettuino queste operazioni
2343-bis: acquisto della società da promotori, fondatori, soci e amministratori: