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Altro problema che si è posto è stabilire se c'è un rapporto concorrenziale tra imprenditori che
trattano gli stessi prodotti ma a livelli differenti della catena produttiva. Quindi il produttore e il
commerciante possono essere considerati in rapporto di concorrenza? Inizialmente la
giurisprudenza diceva no perché i soggetti erano posti e avevano ruoli differenti nella catena
produttiva. Successivamente la giurisprudenza ha affermato univocamente il rapporto di
concorrenza anche in questi casi attribuendo rilievo al fatto che il risultato ultimo ricade e incide
sulla medesima categoria dei consumatori. Per la Cassazione è come se il distributore agisse
indirettamente contro il produttore.
La dottrina invece ha ritenuto che in questo caso l'atto di concorrenza sleale determina uno storno di
clientela. Il commerciante scegliendo di vendere un certo bene piuttosto che altro o venderli a prezzi
diversi crea un danno diretto all'impresa perché sposta la clientela da un produttore a un altro. È una
ricostruzione diversa che arriva però agli stessi risultati ed è una concezione in cui il produttore è
anche rivenditore.
Per quanto riguarda i soggetti altro problema è se possono considerarsi in concorrenza tra di loro i
liberi professionisti. Per la giurisprudenza di merito ciò è possibile solo quando l'attività del
professionista è inserita in una struttura organizzata di rilevante dimensioni tale da prevalere sugli
aspetti più personali dell'attività del libero professionista. La giurisprudenza si fonda sulla
concezione che i grandi studi associati operano come delle società commerciali. La Cassazione ha
invece impedito l'applicazione ai liberi professionisti (Cass. 560/2005). I codici deontologici però
vietano gli atti di concorrenza sleale e la giurisprudenza di merito continua ad applicarlo.
Si può inoltre imputare all'imprenditore una atto sleale posto in essere da un terzo? Sicuramente gli
si può imputare gli atti dell'institore o dei suoi rappresentanti. E se invece è un collaboratore
autonomo ed esterno rispetto all'imprenditore? Per la giurisprudenza si ma solo laddove l'atto sia
stato posto in essere nell'interesse dell'imprenditore e da chiunque si trovi con l'imprenditore in una
relazione tale da qualificare quel comportamento come rivolto a procurare vantaggio a
quell'imprenditore ai danni di un'altra impresa.
La giurisprudenza ammette che se gli atti siano qualificati di concorrenza sleale è chiaro che il terzo
soggetto risponderà con l'imprenditore.
Infine possono agire per far valere la concorrenza sleale ai sensi del 2601 anche le associazioni
promozionali e gli enti che propendono per la categoria di imprenditori.
Si crea una quarta ipotesi di concorrenza sleale quando abbiamo degli atti lesivi degli interessi di
una categoria di imprenditori. La giurisprudenza è contraria a questa categoria perché in realtà è
stata concessa l'azione ad agire solo per una mera semplificazione processuale.
Ipotesi di imprenditore che vendeva birre analcolica che in realtà non crea danni a un unico
produttore di vino ma tutti e in questo caso ha agito una delle associazioni di categoria.
Se poi dicessimo che l'associazione di categoria è legittima iure proprio vuol dire che questa
potrebbe chiedere il risarcimento dei danni subiti dall'associazione di categoria e non dagli
imprenditori e nella pratica è difficile stabilire i danni dell'associazione perchè non svolge attività
di impresa. Per questo si preferisce parlare di una azione in nome e per conto degli imprenditori
lesi. Chiaramente l'associazione di categoria può essere legittimata passiva contro un altra
associazione di categoria.
Da un lato si dice che gli atti del n 1 e 2 sono tipici e di per se idonei ad arrecare un danno poi però
la giurisprudenza richiede comunque la prova della violazione dei principi corretti e la presenza del 3
danno. Si richiede sempre la prova del danno potenziale anche per gli atti del n. 1 e 2. In un
eventuale atto contro un imprenditore che ritengo abbia leso a livello di concorrenza la mia attività,
devo sempre dimostrare il danno potenziale e se voglio anche il risarcimento del danno bisogna
dimostrare il danno concreto. Quindi per qualificare un atto come atto di concorrenza sleale, tipico
o atipico, la giurisprudenza richiede comunque l'idoneità dell'atto a cagionare un danno all'impresa
concorrente e quindi almeno il danno potenziale; se poi voglio anche il risarcimento del danno devo
provare che il danno c'è stato veramente, quindi un danno concreto.
Quand'è che ho un danno potenziale? Normalmente l'atto di concorrenza sleale è un atto ripetuto nel
tempo e se si interviene subito magari non c'è il danno perché non c'è sviamento di clientela. Lo
stesso nel caso di tentativo quando l'atto di concorrenza sleale viene bloccato prima di essere posto
in essere.
Principi di correttezza.
Un primo orientamento riteneva violati i principi di correttezza professionale laddove venissero
violati gli usi e i comportamenti abitualmente attuati dagli operatori professionali. È una definizione
molto restrittiva perché in molti settori non ci sono usi o consuetudini specifiche. A quel punto la
giurisprudenza ha posto l'accento sull'elemento della morale affermando che sono violati questi
principi laddove viene violata la c.d. moralità dell'imprenditore. Ma cos'è la morale
dell'imprenditore? E che ne sa il giudice? Si è parlato di violazione degli interessi dei consumatori o
dell'utilità sociale ex art. 41 Costituzione. Anche questa interpretazione nella pratica crea problemi.
Per la dottrina si parla invece di morale pubblica, quella del comune cittadino che può valutare
come negativo o contrario ai principi di correttezza l'atto, allora questo sarà un atto di concorrenza
sleale.
Per il giudice è più facile accertare la morale comune che quella generica professionale ed è quindi
questo il criterio adottato.
Atti di concorrenza: N.1.
Il 2598 non fa riferimento solo ai segni distintivi tipici ma si riferisce ad ogni elemento idoneo ad
essere qualificato come segno distintivo di un imprenditore. Caratteri della capacità distintiva,
novità e notorietà e deve sempre essere usato legittimamente.
Capacità distintiva: deve essere idoneo a distinguere i prodotti dell'attività di un imprenditore
rispetto ai prodotti e l'attività di un altro imprenditore.
Per i segni distintivi atipici il problema è capire come sono percepiti dal pubblico e quindi qual è la
loro capacità distintiva.
Distinzione tra marchi forti e deboli. La capacità distintiva di un prodotto o segno può anche variare
nel tempo e quello che conta è sempre ciò che pensa il pubblico. Si tiene poi conto del settore
merceologico e spaziale nel quale un'impresa opera.
Novità vuol dire che il segno deve essere diverso da quello già usato da altri imprenditori. La novità
si collega all'uso legittimo perché il 2598 tutela solo i segni distintivi legittimamente utilizzati. Parte
della dottrina per uso legittimo parlava solo dei segni tipici quelli legislativamente disciplinati, è
questa un'interpretazione eccessivamente restrittiva.
Rapporto tra concorrenza sleale e segni distintivi espressamente disciplinati. In realtà dottrina e
giurisprudenza dominante ritengono che le due discipline siano concorrenti anche perché la
violazione dei segni distintivi può essere anche concorrenza sleale ma non il contrario. Potremmo
avere un ipotesi di contraffazione del marchio che però non costituisce concorrenza sleale
confusoria.
Chanel non aveva mai registrato il marchio ma siccome era un marchio notorio è stato tutelato. 4
L’art. 2564 prevede una fattispecie simile al 2598 in quanto parla sempre di confusione.
Art 2564 cc: “Modificazione della ditta - Quando la ditta è uguale o simile a quella usata
da altro imprenditore e può creare confusione per l'oggetto dell'impresa e per il luogo in cui
questa è esercitata, deve essere integrata o modificata con indicazioni idonee a
differenziarla. (2) Per le imprese commerciali l'obbligo dell'integrazione o modificazione
spetta a chi ha iscritto la propria ditta nel registro delle imprese in epoca posteriore”.
La sanzione del 2564 è la modifica della ditta mentre l'inibitoria ha effetti diversi perché nega di
fare qualcosa, non di modificare che comunque richiede dei tempi tecnici. La giurisprudenza
dominante fa prevalere la disciplina speciale in materia di ditta su quella generale del marchio e
quindi prima si chiede la modifica della ditta ed eventualmente il risarcimento del danno subìto dal
fatto che l'altro ha usato la stessa ditta (se c'è un danno). L'inibitoria non è molto utile a meno che
non la si richiede fino a che non è avvenuta la modifica.
Per l'insegna si applica la normativa della ditta e i problemi vengono risolti allo stesso modo.
Quali altri segni distintivi possono essere usati in un atto di concorrenza sleale? Il diritto d'autore. Si
può quindi agire in parallelo per la tutela del diritto d'autore e per il riconoscimento della
concorrenza sleale.
Altro segno distintivo ormai disciplinato è il nome a dominio. Oltre alla disciplina del codice della
proprietà industriale si può agire ai sensi del 2598.
Altro problema sui segni distintivi è quando si utilizza il marchio altrui e quindi per esempio si usa
la ditta altrui come mio marchio. In questi casi si va a vedere il segno imitato e si applicherà la
relativa disciplina (se uso il marchio di un altro come mia ditta si applica la disciplina del marchio).
Nell'ambito concorrenziale bisogna stare attenti ad applicare in combinato disposto le varie
normative.
Esempi di segni distintivi atipici sono gli slogan pubblicitari o le etichette.
Nel n. 1 c'è anche l'imitazione servile, qualificata come imitazione pedissequa e fedele del prodotto
altrui. Il problema è capire quali sono gli elementi del prodotto che se imitati possono dar luogo a
concorrenza sleale; il secondo è la relazione con la disciplina dei brevetti.
Se imito un elemento interno del prodotto è concorrenza sleale? No perché i consumatori non lo
vedono.
Causa tra Kinder e Ovetto-supermario: l'ovetto-supermario era come quello della Kinder. La forma
esteriore era differente e la Kinder ha perso nel sostenere che si trattava di imitazione servile perché
il fatto che l'ovetto è bianco dentro è un elemento intern