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Il codice del 1942 si è mantenuto in questa linea per la formulazione letterale, e la dottrina
ha quindi sviluppato l’argomento.
Rodotà, analizzando la fattispecie del 2049cc, ha parlato di criterio autonomo di
imputazione. La colpa sarebbe diversa da quella del 2043cc, ma si avrebbe un autonomo
criterio che si fonda sull’assunzione, da parte del soggetto committente, del rischio di
impresa. Questa impostazione è stata approfondita da Trimarchi, come già visto. Il
committente deve rispondere degli illeciti del proprio dipendente perché è responsabile
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dell’organizzazione aziendale e d’impresa per perseguire i suoi fini, e tra i mezzi
predisposti ha anche dovuto calcolare i rischi derivanti dall’attività dei propri soggetti
dipendenti. Il datore di lavoro non è quindi solo soggetto solvibile, ma è anche il soggetto
che era nella posizione migliore per poter gestire il rischio di causare danno.
La natura giuridica di questo sistema è quello di una responsabilità che di fatto è
oggettiva. Non assoluta e suscettibile di prova contraria, ma comunque oggettiva, cioè
ancorata a parametri fissi e la non sussistenza della responsabilità dovrà essere oggetto di
specifica prova.
Perché si configuri la responsabilità del committente il soggetto dipendente dovrà aver
posto in atto, nello svolgimento della sua attività come dipendente, una condotta illecita
che abbia causato danno al terzo, ma questa condotta dovrà essere caratterizzata da colpa
o dolo, anche semplice colpa lieve. Si può anche avere l’ipotesi dell’accettazione, da parte
del soggetto danneggiato, di un rischio maggiore: il soggetto poteva essere conscio del
fatto che quanto svolto fosse fuori dai compiti del dipendente che lo stava svolgendo, o
fuori dalle sue competenze, e poteva quindi rendersi conto della maggiore rischiosità
dell’operazione e accetta quindi un rischio maggiore. Accettando questo rischio sgrava
uno dei requisiti, e sarà sufficiente la concreta antigiuridicità del comportamento, cioè la
presenza del requisito dell’ingiustizia, senza la necessità che il soggetto che lo ha posto in
essere sia anche in colpa.
Lo stesso soggetto imprenditore si fa carico anche a tutti i rischi cosiddetti anonimi: alcune
attività non sono riconducibili ad un preciso dipendente, e restano quindi in capo al datore
di lavoro che è responsabile. Le direttive comunitarie sono entrate nel merito dei
cosiddetti danni anonimi, che sono state recepite con norme che sono speciali, e in questi
casi non si fa quindi più riferimento al 2049cc.
Lo scopo di questa responsabilità sarebbe quello dell’allocazione dei costi: cioè che il
soggetto imprenditore si faccia carico di alcuni costi. Vengono internalizzati solo i costi di
due care, cioè gli obblighi di protezione in capo all’imprenditore che sono predeterminati e
predeterminabili, e il soggetto può farsene carico perché può prevederli e prevenirli.
Può darsi il caso che il soggetto preposto all’attività sia incapace. Sembrerebbe
doversi applicare l’art. 2047cc, ma in realtà tra i due prevale il 2049cc: si fa gravare sul
dominus l’obbligo di risarcire i danni provocati dal dipendente incapace, sempre sulla base
di ragionamenti di culpa in vigilando e culpa in eligendo, in quanto il datore di lavoro
avrebbe dovuto tenerne conto sia al momento della scelta sia con una maggiore
sorveglianza al momento dello svolgimento dell’attività.
Il 2049cc si applica quando il soggetto versi in colpa, intesa in senso stretto ai sensi del
2043cc per il dipendente, e colpa con autonomo criterio quando si parli del datore di
lavoro. Il presupposto può essere anche un caso di lavoratore che incorre nell’illecito in
virtù di una responsabilità di tipo oggettivo, che può verificarsi ad esempio nel caso del
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2050cc: attività pericolosa. Il committente risponde anche in questo caso come vicario ex
2049cc. Stesso discorso valsi per il minore che svolga attività lavorativa: la responsabilità
del genitore sarà assorbita dal datore di lavoro, per gli illeciti commessi durante l’attività
lavorativa. La giurisprudenza è stata oscillante, ed in alcuni casi rari è arrivata a stabilire
comunque una culpa in vigilando dei genitori.
Caso di legittima difesa: quando il lavoratore commette un atto illecito ma agisce in
legittima difesa è comunque dovuto un indennizzo al soggetto danneggiato. Questo
indennizzo sarebbe dovuto dal datore di lavoro. Anche in questo caso la giurisprudenza
riconosce, per la maggior parte, che il datore di lavoro non sia tenuto.
I requisiti della responsabilità ex 2049cc:
primo requisito è il rapporto di preposizione. Il dettato è particolarmente generico e
potrebbe ricoprire varie diverse fattispecie.
Non rientra il semplice rapporto di cortesia e la negotiorum gestio, così come le attività
compiute nell’esclusivo interesse del terzo, senza un interesse diretto del soggetto che
agisce. Nel rapporto di preposizione è necessario identificare due aspetti, definito come il
criterio del respondeat superior: vi deve essere da una parte una chiara manifestazione di
volontà del soggetto superiore, cioè del dominus (che manca nel rapporto di cortesia e nella
negotiorum gestio), e d’altra parte, come secondo elemento, deve sussistere in capo al datore
di lavoro un potere di direzione e sorveglianza nello svolgimento di determinate attività,
impartendo direttive e stabilendo le modalità con cui l’attività deve essere svolta e poi di
verifica dei risultati dell’attività stessa.
La giurisprudenza, sulla base di questi criteri, ha ulteriormente ristretto il campo.
Rapporto di lavoro principale cui si applica il 2049cc è quindi il rapporto di lavoro
subordinato, casi in cui il dominus mantiene sia potere di direttiva sia di sorveglianza, e si
soddisfa quindi il requisito della preposizione.
Anche il lavoro a domicilio, in cui il rapporto di sorveglianza e direttiva è meno diretto e
meno definito, viene comunque ricompreso nei casi di applicazione.
Infortuni: l’infortunio sul luogo di lavoro è un fatto illecito, e può cagionare un
danno al soggetto lavoratore o ad un terzo. Oggi è prevista l’assicurazione obbligatoria per
tutte le imprese.
Si possono avere delle ipotesi di RC dell’impresa a seguito della responsabilità penale da
parte dei dirigenti di una determinata impresa.
Caso interessante è quello della responsabilità penale del dipendente per un illecito
commesso sul luogo di lavoro: anche in questo caso residua una responsabilità civile
dell’impresa.
In tutti i casi la società sarà quindi tenuta a risarcire: nella compagine societaria, il datore
di lavoro è l’impresa in sé, non tanto il dirigente, quindi anche l’illecito dei dirigenti ricade
sotto la responsabilità civile dell’impresa. 83
Nei casi di cessione di impresa o ramo d’azienda, il soggetto acquirente risponderà verso i
terzi per quanto si è verificato dal passaggio di proprietà, ma anche per quanto verificatosi
prima dell’acquisto, facendo salvo il diritto di rivalersi sul soggetto alienante da cui ha
acquistato e che sarebbe stato responsabile prima dell’alienazione.
Altri casi sono quelli di esproprio: sarà la PA a subentrare nei doveri risarcitori nei
confronti dei danneggiati. Stessa ratio ispira l’ipotesi, codificata dalla giurisprudenza,
della successione a titolo universale: l’erede a titolo universale titolare dell’impresa
risponderà anche per gli illeciti avvenuti prima della successione.
La responsabilità varia a seconda della struttura dell’impresa, in particolare nel caso
di società: i soci risponderanno sulla base del modello societario di riferimento, a seconda
che godano dell’autonomia patrimoniale rispetto alla società o meno.
Così per la locazione di azienda: tenuto alla responsabilità vicaria di cui al 2049cc è il
soggetto conduttore dell’azienda, e non il locatore, in quanto è lui il soggetto nella
posizione miglio per adottare le misure di prevenzione del danno.
Ultimo problema è il rapporto tra mandante e mandatario: la giurisprudenza è
varia e oscillante. Si è affermato che il mandante sarebbe responsabile per i danni a terzi
da parte del mandatario, a condizione che il mandato sia stato dato con rappresentanza e
che il fatto illecito che si è verificato rientri nei limiti del mandato, ovvero dell’attività che
il mandante ha delegato al mandatario.
Questa regola pare incompleta: si subordina la responsabilità del mandante al solo fatto
che il mandato sia con rappresentanza. Ciò che in realtà deve sussistere, perché il
mandante risponda ex 2049cc, è un nesso di occasionalità necessaria tra la volontà spesa
dal mandante al momento delle istruzioni, e quanto posto in essere dal mandatario nei
limiti di quelle istruzioni, con una stretta connessione tra la volontà del mandante e le sue
direttive e la condotta dannosa del mandatario. Pare che sia svuotata l’attività del
mandatario, come se si fosse limitato a porre in essere, senza alcuna autonomia, quanto
devoluto lui dal mandante.
Circa i lavoratori autonomi, questi, secondo l’enunciazione classica, dovrebbero
essere esclusi dall’applicazione del 2049cc.
I primi a elaborare la responsabilità anche per i lavoratori autonomi furono gli interpreti
del Common Law, i quali affermano che esitano due generi di obblighi in capo al
committente: il duty to take care, cioè obbligo di occuparsi come obbligo attivo, e d’altra
parte un obbligo passivo, il duty del cares taken, cioè l’obbligo che una determinata
condotta sia mantenuta.
Questo è stato recepito in Italia in due casi. Primo fu un istruttore di tennis che cagionava
un danno all’allievo che stava allenando: non si ha un rapporto di subordinazione in
quanto l’istruttore prestava liberamente la propria opera al circolo tennistico; la corte
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riconobbe come il circolo dovesse assicurarsi che l’istruttore non arrecasse danni all’allievo
e adempisse la propria prestazione in maniera idonea.
Secondo caso riguarda l’attività di notaio: per alcuni tipi di atti può essere affiancato da un
coadiutore, e si specificò che il notaio rispondesse per quanto commesso dal coadiutore
(che non ha un rapporto di lavoro con il notaio) per obblighi di take care, cioè di
controllare l’operato del soggetto che lo coadiuva nell’atti