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La diversità della disciplina nasce dall'esigenza di tutelare eventuali terzi acquirenti.

Fondamento della norma

L'art. 1359 tratta dell'avveramento della condizione, qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva un interesse contrario all'avveramento di essa.

Più che di un avveramento in senso tecnico ed effettivo, si tratta della cosiddetta finzione di avveramento.

Il testo della norma presenta due aspetti che non si conciliano né con la definizione data dal codice, né con quanto si desume dall'art. 1353 c.c.

Il primo aspetto è costituito dal fatto che esisterebbe la possibilità di influire sull'attuazione della condizione, laddove, invece, dal richiamato art. 1353, si deduce che la condizione, quale evento futuro ed incerto, è sottratta ad ogni influsso dei contraenti; la condizione esprimerebbe un interesse comune ed non unilaterale, quale risultato di una determinazione consensuale.

Si invoca da

alcuni l'art. 1355 che, nel definire la condizione meramente potestativa, mostra che l'evento dedotto in condizione può anche dipendere dalla volontà dei contraenti, purché chi può determinare il verificarsi o il mancare non sia l'obbligato o l'alienante. La natura potestativa dell'evento non vale, però, a considerare legittimo ogni arbitrio. La libertà attribuita al contraente, dal quale dipende la vicenda condizionale, non significa che egli possa agire violando le regole di correttezza e buona fede. Così pure, la violazione dei confini in cui devono essere esercitati i diritti di libertà, non comporta necessariamente l'applicazione della fictio, che entra in azione quando il comportamento scorretto sia provenuto anche da colui che è portatore di un interesse contrario al verificarsi della condizione. Nella condizione potestativa questo elemento non è identificabile, perché lo stesso.risulta assorbito dalla facoltà di indirizzare gli eventi in un senso piuttosto che in un altro. Infine, si è individuata, accanto alla condizione bilaterale, una condizione unilaterale introdotta nel regolamento negoziale nell'interesse di una soltanto delle parti. Anche qui, però, si ripropone, in un certo senso, la situazione illustrata a proposito della condizione potestativa. Infatti, il contraente a cui favore la condizione è posta, di fronte al mancato verificarsi dell'evento dedotto, può ottenere, per altra via, ugualmente, gli effetti del contratto, rendendo superflua l'applicazione della fictio. Preliminarmente allora occorre stabilire se la norma riguardi solo le ipotesi sopra accennate ovvero tutte le specie condizionali. Dalla lettura del testo della norma si desume che un interesse contrario al verificarsi della condizione debba provenire da chi può incidere sullo svolgimento dell'evento. Orbene, chi può influire

Sull'evento non può identificarsi con colui a quale è rimesso il fatto dedotto in condizione. Per cui, la funzione può operare solo nei casi in cui la condizione di avveramento non sia espressione di un interesse che le parti si sono riservate di evidenziare in un momento successivo alla stipulazione.

I principi ai quali si richiamerebbe la norma sono diversi:

  1. La tesi più accreditata è quella che collega la finzione di avveramento alla regola di correttezza di cui all'art. 1358 c.c.
  2. Altri hanno visto nella fictio l'applicazione dell'istituto della presupposizione.
  3. Se le parti hanno voluto una certa relazione negoziale, condizionata, non possono volerne una diversa. Con la finzione si sarebbe data rilevanza ad una presunzione di non contraddizione nella manifestazione di volontà.
  4. Altri ancora sono partiti dalla "tesi della presupposizione" per inquadrare la fattispecie della fictio nel più ampio problema.
della irrevocabilità del consenso. Quanto alla prima tesi si oppone che l'oggetto della norma che fa capo all'art. 1358 c.c, non è lo stesso di quello dell'art. 1359. Le regole di correttezza imposte al contraente sub-condicione derivano dall'esigenza di non pregiudicare le aspettative acquisite dalla controparte. Ed il pregiudizio cui la citata norma fa riferimento riguarda non le vicende dell'evento condizionato, ma la situazione che emerge dopo che l'evento si è realizzato o è venuto a mancare. Quanto al punto b), l'interpretazione è stata censurata soprattutto dai sostenitori della tesi che vuole la finzione una vera sanzione per chi ha violato le regole di condotta. Quanto al punto c), si è osservato che ogni attività diretta a modificare il normale svolgimento della vicenda, si qualifica come una ritrattazione del consenso in origine prestato. Ma il principio dell'irrevocabilità del consenso.

Non basta a spiegare la regola della finzione di avveramento. Vi sono casi, infatti, in cui è consentito alle parti di mutare la loro dichiarazione di volontà, anche se subordinatamente a determinati presupposti e circostanze. È il caso del recesso o della revoca. Il punto, pertanto, non è l'irrevocabilità del consenso, ma il limite di tale irrevocabilità. Ed il problema del limite evoca la figura dell'abuso del diritto, la cui figura è passata anche attraverso la norma in commento. Proprio nella disposizione, anzi, si è ravvisata, l'indicazione della norma più adeguata: l'eliminazione delle conseguenze dell'atto abusivo. Ritorna, dunque, anche nella prospettiva dell'abuso, la considerazione dell'aspetto sanzionatorio della fictio, profilo che presuppone la definizione del diritto di cui si limiti l'esercizio. Ed il diritto non può che essere quello dell'amministrazione.

dellavicenda condizionale. Il contenuto di questo diritto non è costante, perché gli spazi concessi alle parti sono ampi. La finzione di avveramento vale a sanzionare quei comportamenti che esorbitano dai margini degli spazi nei quali ciascuna delle parti può muoversi, quando la vicenda condizionale, in qualche misura, è influenzabile dai contraenti. Questa tesi appare dal punto di vista del diritto come la più aderente alla situazione che viene a determinarsi, per un duplice ordine di ragioni: - la fictio colpisce entrambi i contraenti; - l'avveramento, ancorché fittizio, realizza la situazione che avrebbe dovuto compiersi se non ci fossero state interferenze; il contraente, interessato al verificarsi della condizione, ottiene ciò che gli compete e non subisce alcuna alterazione della sua posizione. La causa imputabile. Il testo della disposizione di cui all'art. 1359 c.c. non precisa quale debba essere lo stato soggettivo di colui cheagisce per impedire il verificarsi della condizione. Il codice del 1865 lo individuava in un comportamento intenzionale, e quindi doloso. La vigente normativa allarga la causa imputabile anche a comportamenti colposi. Ma la colpa presuppone che vi siano regole di condotta da osservare e, nell'ipotesi di condizione, a ben osservare, non vi sono regole. Dalla giurisprudenza può rilevarsi che con la fictio si contestano le conseguenze di interventi volti ad imporre lo svolgimento della vicenda condizionale, per cui vi sarebbe solo un obbligo di astensione. Però anche l'inerzia del contraente può influenzare negativamente l'avveramento, tanto che si ricorre alla fictio, sul presupposto di precisi obblighi di fare a carico del contraente rimasto inattivo. Una corrente di pensiero, collegando la norma in esame a quella dell'art. 1358 c.c., individua la regola positiva di condotta nell'obbligo di correttezza. Ma, si obietta, comportamento scorretto, come.violazione dell'obbligo di fare, non equivale a comportamento negligente, per cui il richiamo alla norma dell'art. 1358 c.c. appare poco rilevante per stabilire se dell'imputabilità sia rilevante la colpa. Né è possibile individuare regole se il fatto dedotto non dipende da attività particolari. La condizione causale dovrebbe essere assolutamente indipendente da qualsiasi intervento delle parti. Se si postula un intervento, diretto a segnare la vicenda condizionale, deve riconoscersi una componente potestativa. Si pone allora il problema di assegnare dei limiti al contraente che ha il potere di governare la vicenda del rapporto. L'imputabilità qualificherebbe, da tale punto di vista, tutte quelle attività che si frappongono al normale svolgimento della vicenda condizionale. In realtà, la colpa o il dolo non sono criteri esaustivi del problema, che si ripresenta allorché bisogna verificare se la vicenda condizionale sia.stata o meno indirizzata in un senso o in un altro dal contraente che ha un interesse contrario alla realizzazione. L'istituto della fictio si prefigge di ricercare le cause del mancato avveramento della condizione. Il problema dell'imputabilità di tali fatti si pone dopo, e segue la regola generale dell'inadempimento, espressa nell'art. 1218 c.c. Il fatto imputabile al contraente, che ha un interesse contrario all'avveramento, deve costituire una "conditio sine qua non" sulla mancata realizzazione dell'evento dedotto. Il contraente deve provare che non ha abusato della sua prerogativa per sottrarsi agli impegni assunti. In tale prospettiva, il parametro sul quale misurare la condotta del contraente diventa la buona fede, intesa come misura delle altrui aspettative, del contraente cioè che ha interesse al verificarsi della condizione. La buona fede, in definitiva, rappresenta il limite invalicabile da parte del contraente a cuiè rimessa la possibilità di influire sull'avicenda condizionale. Finzione di non avveramento ed ambito di applicazione dellanorma Parte della dottrina ritiene che, nonostante la lettera delladisposizione contempli la fictio nella sola ipotesi del mancatoverificarsi della condizione, l'istituto possa applicarsi anche nelcaso in cui la condizione si è avverata, perché un contraente, perinteresse, ha agito per il suo verificarsi. La fictio, in tale caso, eviterebbe che il contratto si attui inmancanza di un presupposto stabilito dalle parti. Invero, la natura stessa della condizione contempla una dupliceeventualità: che si verifichi il fatto dedotto in condizione o che essomanchi. Di conseguenza, non avrebbe senso mutare la situazione, con
Dettagli
Publisher
A.A. 2011-2012
10 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/01 Diritto privato

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Novadelia di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto civile e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Libera Università internazionale degli studi sociali Guido Carli - (LUISS) di Roma o del prof Carli Guido.