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TEORIA DEI VIZI DELL’ATTO AMMINISTRATIVO (1/2)
Abbiamo studiato nell’ultimo blocco di lezioni la teoria del provvedimento amministrativo,
abbiamo visto cos’è il potere, la norma di azione, gli elementi del provvedimento, e
caratteristiche e ci siamo soffermati anche con l’aiuto di Sclafani sulla tipologia di
provvedimenti.
Per la parte sul provvedimento amministrativo dobbiamo ora soffermarci sulla patologia
ovvero sia sulla parte concernenti i vizi che costituisce un capitolo importante nella teoria
dell’atto, del provvedimento.
Oggi, quindi, iniziamo la teoria dei vizi dell’atto amministrativo.
Dalla prossima lezione e per tre lezioni il consigliere di Stato Botto tratterà delle situazioni
giuridiche soggettive per completare il versante potere-situazioni giuridiche soggettive e
poi altri argomenti.
Per iniziare oggi trattando i vizi dell’atto amministrativo conviene anzitutto ricordare in
termini generali che questa parte della materia (cioè la patologia dell’atto amministrativo)
oggi viene inclusa quanto a disciplina nella L. 241/90.
La disciplina del provvedimento, come più volte abbiamo detto, è stata introdotta nel 2005
e quindi è una disciplina relativamente recente.
E’ contenuta essenzialmente nella L. 241/90 dedicata al provvedimento ed in particolare
agli artt. 21 septies e 21 octies dedicati rispettivamente alla nullità e all’annullabilità del
provvedimento amministrativo.
In realtà questi articoli fanno sostanzialmente un’opera di raccordo con quelle che erano le
acquisizioni della giurisprudenza amministrativa e del giudice ordinario cioè la teoria dei
vizi dell’atto amministrativo sino al 2005 era essenzialmente di origine giurisprudenziale
ovviamente con l’apporto anche dei contributi della dottrina per cui anche in assenza di
una disciplina come quella che abbiamo oggi già prima del 2005 vi erano - come diritto
vigente e giurisprudenziale - una serie di principi che sono stati sostanzialmente recepiti e
razionalizzati dagli artt. 21 septies e 21 octies?
Perché questo? 215
Se guardiamo a come si è arrivati alla disciplina dei vizi dell’atto amministrativo ricordiamo
che l’origine della teoria dei vizi dell’atto amministrativo sta in una norma processuale,
quella norma - già da noi citata - contenuta a suo tempo nella legge del 1889 istitutiva
della quarta sezione del consiglio di Stato (momento in cui nasce il giudice amministrativo)
e poi riproposta nell’art. 26 del testo unico delle leggi sul consiglio di Stato dove appunto si
menziona ma senza dare alcuna definizione i tre vizi di legittimità dell’atto:
1. Competenza
2. Eccesso di potere
3. Violazione di legge
Questa sorta di trittico o trilogia è valido ancora oggi, basta leggere l’art. 21 octies il quale
statuisce che E’ annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge
o viziato da eccesso di potere o da incompetenza, quindi incompetenza, eccesso di potere
e violazione di legge.
Questa tripartizione dei vizi che danno origine al fenomeno della illegittimità e
dell’annullabilità, lo ripetiamo, è stata posta sin dall’origine del sistema del diritto
amministrativo ovvero sia nel 1889 e ce lo siamo portati dietro nel testo unico del 1924,
ora con l’art. 21 octies comma 1 della L. 241/90 ed anche nel codice del processo
amministrativo entrato in vigore a settembre 2010 il quale all’art. 29 dedicato all’azione di
annullamento dispone che L’azione di annullamento per violazione di legge, incompetenza
ed eccesso di potere si propone nel termine di decadenza di 60 giorni e quindi anche qui
emergono di nuovo i tre vizi.
Oggi, quindi, abbiamo 2 disposizioni di diritto positivo: l’art. 21 octies della L. 241/90 e l’art.
29 del codice del processo amministrativo che appunto riprendono la stessa
classificazione.
Ciò che ancora oggi non è definito della legge è il contenuto di ciascuno di questi tre vizi e
quindi cos’è l’incompetenza cos’è l’eccesso di potere e cos’è la violazione di legge non
viene sviluppato in alcuna disposizione legislativa o normativa per cui in sostanza ci si rifà
per forza alla elaborazione della dottrina e della giurisprudenza.
Questo per quanto concerne le fonti relative all’annullabilità del provvedimento
amministrativo o illegittimità.
La L. 241/90 parla anche di nullità dell’atto amministrativo all’art. 21 septies che individua
le fattispecie che danno origine a nullità, poi le vedremo con calma ma intanto ti basti
sapere che sono:
1. Mancanza di elementi essenziali
2. Difetto assoluto di attribuzione
3. Violazione o elusione di giudicato
4. Nonché gli altri casi espressamente previsti dalle legge
Ciò che per ora ci interessa sottolineare è che l’art. 21 septies per la prima volta pone una
disciplina generale della nullità dell’atto amministrativo.
In precedenza, infatti, né la legge del 1889 né altre leggi a valenza di tipo sistematico e
generale prevedevano la nullità dell’atto amministrativo ma soltanto alcune leggi puntuali
in alcune fattispecie molto particolari.
Per esempio molte leggi di tipo finanziario prevedevano e prevedono tetti di spesa alle PA
e magari dichiarano nulli gli atti di assunzione di dipendenti pubblici oltre i limiti quantitativi
o percentuali o in base ad altri parametri di volta in volta stabiliti, dunque si accompagna
questa previsione vincolistica alla nullità degli atti di assunzione in violazione dei tetti di
spesa o dei tetti quantitativi. 216
Un’altra disposizione di molti anni fa ma ancora vigente è per esempio la disposizione che
dichiara nulli gli atti amministrativi adottati dagli organi della PA il cui mandato è scaduto
dopo un certo numero di giorni (45 giorni) per cui se scaduto quel termine l’organo o il
collegio emana un provvedimento allora quel provvedimento è qualificato come nullo:
questo è un incentivo molto forte a costringere il governo o le regioni o comunque chi ha il
potere di nominare i nuovi componenti di un organo pubblico di non aspettare troppo
tempo rispetto alla naturale scadenza del mandato.
Di solito le leggi prevedono una durata in carica dell’organo decisionale di un ente
pubblico (3, 5, 7 anni) ed in passato accadeva che - siccome vige il principio
giurisprudenziale della prorogatio (cioè il giorno in cui scade il termine l’organo può ancora
operare per garantire il principio della continuità della continuità dell’azione amministrativa)
- siccome accadeva che i ritardi del rinnovo degli organi decisionali degli enti si
protraevano per tempi troppo lunghi allora il legislatore ha dato un termine massimo anche
a questo regime di prorogatio cioè di attività dell’organo dopo la scadenza del termine
naturale per il rinnovo per cui una volta esaurito questo termine “di grazia” in cui ancora si
può operare la sanzione più pesante della nullità serve a mettere di fronte alla propria
responsabilità il governo, le regioni o i vari enti che hanno il potere di nominare perché se
non nominano i nuovi componenti del nuovo organo paralizzano l’attività dell’ente.
La sanzione della nullità degli atti ha fatto sì che bene o male si rispettino i termini per il
rinnovo degli organi degli enti pubblici.
La nullità, quindi, non era un fenomeno generalizzato nel diritto amministrativo ma era un
fenomeno previsto in qualche legge per ragioni molto particolari come quelle di cui
abbiamo parlato ora.
La nullità come categoria, tuttavia, era in qualche modo comunque incorporata nel diritto
amministrativo in via giurisprudenziale perché (e qui bisogna fare un passo indietro)
quando nel 1889 la legge istitutiva della quarta sezione introdusse il ricorso per
l’annullamento degli atti affetti da incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere
si pose subito il quesito su cosa significasse incompetenza, eccesso di potere e violazione
di legge cioè quale tipo di patologie sono coperte da questa espressione che ancora oggi
ci portiamo avanti e soprattutto sulla nozione di eccesso di potere vi fu all’inizio una
discussione perché l’eccesso di potere poteva essere interpretato in due modi sulla
falsariga di quanto già era successo nell’ordinamento francese (da cui abbiamo un po’
copiato perché il nostro consiglio di Stato è un po’ la replica del consiglio di Stato
francese).
Ebbene, in Francia - dove si parlava anche di eccesso di potere - vi erano due possibilità
interpretative dell’eccesso di potere:
1. Eccesso di potere inteso come straripamento di potere: lo straripamento di potere
si aveva - nella visione iniziale anche nell’ordinamento francese - in tutti i casi in cui la
PA violava in modo abnorme, macroscopico le norme di conferimento del potere cioè
erano i casi più gravi immaginabili di sconfinamento del potere dai limiti segnati dalla
legge e quindi addirittura quando il potere amministrativo invadeva addirittura il potere
giudiziario, dunque erano i casi più gravi di violazione delle norme attributive del potere
e quindi quello che oggi (e già da tempo secondo l’interpretazione giurisprudenziale) è
il vizio che l’art. 21 septies chiama difetto assoluto di attribuzione che è una delle 4
ipotesi di nullità dell’atto amministrativo.
Ebbene, questi casi più gravi che una volta si chiamavano straripamento di potere nel
linguaggio ottocentesco non furono inseriti nel concetto di eccesso di potere come
invece sembrava anche dai lavori parlamentari, dagli atti che portano alla istituzione
della quarta sezione perché sembrava appunto di capire che il legislatore avesse avuto
in mente parlando di eccesso di potere dei casi - alla francese - più vicini allo
straripamento di potere. 217
Il consiglio di Stato, invece, interpretò subito l’eccesso di potere come sviamento di
potere;
2. Eccesso di potere come sviamento di potere: qual è il significato di sviamento di
potere e perché è così importante questa prima interpretazione e forzatura della legge
del 1889 operata dal consiglio di Stato?
Perché lo sviamento di potere (come dice la parola stessa) significa andare a sindacare
se la PA nell’emanare un provvedimento amministrativo abbia seguito il fine pubblico
stabilito dalla norma di conferimento del potere e ricorderai certamente che facendo
l’elenco degli elementi strutturali della norma di azione abbiamo compreso anche il fine
pubblico.
Dunque lo sviamento di potere - nella interpretazione