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(INA).
Nel periodo fascista si afferma il principio dell'autosufficienza economica degli
enti territoriali, al vertice delle realtà amministrative è posto un potestà, nascono
enti previdenziali (inps, inail), enti culturali (luce), ed in questo periodo lo stato
entra prepotentemente nell'economia, divenendo imprenditore economico a tutti
gli effetti, sopratutto dopo la crisi del '29. Questa aveva esso in difficoltà
numerose imprese e varie banche. Lo stato, per salvare banche ed imprese,
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acquistò i pacchetti azionari delle imprese posseduti dalle banche, mediante l'IRI,
istituto per la ricostruzione industriale.
Alla fine del fascismo gli enti pubblici sono aumentati e, nel 1947, si ha la fine
della coincidenza tra ministro dell'interno e presidente del consiglio. Nel 1948 vi
è l'avvento della costituzione repubblicana. Secondo l'art. 117 della prima
costituzione tutte le competenze legislative erano potestà esclusiva dello stato,
eccetto poche che erano di potestà concorrente tra stato e regioni. Le regioni
sono previste già dal '48, ma verranno create solo egli anni '70. Fino ad allora si
rafforzano gli enti locali minori, provincie e comuni. Si sviluppano ulteriormente
gli enti pubblici fino a quando non si inizia a sentire la necessità di una loro
riduzione.
Nel 1957 a Roma è stipulato il trattato di Roma, con cui è istituita la CECA,
ma nello stesso periodo nasce anche l'EurAtom, benché si sia ancora lontani
dall'Unione Europea.
Le regioni a statuto speciale sono operative dal '48, mentre le regioni ordinarie
sono istituite negli anni '70. Con una serie di dlgs e dpr (come il 616/77) le
competenze sono trasferite dallo stato alle regioni. Nascono autorità
amministrative indipendenti, nuove figure di amministrazione in senso
soggettivo, non sottoposte a controlli governativi, ecc., tali autorità nascono per
tutelare ambiti particolarmente complessi (es. borsa).
Aumentano i ministeri che diventano 22. Negli anni '90 avvengono numerose
riforme che stravolgono l'amministrazione più di quanto non lo sia mai stata. Nel
1992 nasce, con il trattato di Maastrict, l'Unione Europea, e poi vi sono i
trattati di Amsterdam, Nizza, e Lisbona. L'Ue si fa sentire fortemente ed i suoi
compiti si moltiplicano, mentre diminuiscono le competenze amministrative degli
stati membri.
In questo periodo si valorizzano gli enti territoriali e con la legge 81/93 sindaco e
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presidente della provincia sono eletti a suffragio universale e diretto dai cittadini
e non più dai rispettivi consigli. Con le leggi Bassanini 59/97 e 107/97 si vuole
raggiungere il massimo livello federalismo possibile a costituzione invariata,
delegando alle regioni numerose funzioni amministrative, in vista de principio di
sussidiarietà che, dopo la riforma cost. (l.c. 3/01), verrà costituzionalizzato.
Vi è poi la 203/99 che riduce i ministeri con l'istituzione di alcune agenzie (come
quelle fiscali) volte a soppiantare le aziende autonome, che tendono a scomparire.
Recentemente, la legge 135/12 ha accorpato diverse agenzie ed è passata alla
storia come “spending review”.
Negli anni '90 iniziano le privatizzazioni e le liberalizzazioni. Gli enti non
economici vengono privatizzati sia per risparmiare sulle spese, sia perché si è
ritenuto che alcune autorità sono meglio gestibili dal privato, piuttosto che dal
pubblico. La privatizzazione è data da due fasi, una fase fredda, che è quella
formale, in cui l'ente è trasformato in società per azioni, e da una fase calda, che
è la messa sul mercato del pacchetto azionario. Numerosissime sono le
privatizzazioni che si sono fermate alla fase fredda.
Nella privatizzazione un ente pubblico diventa privato ed è gestito dal privato,
magari con riserva. Mentre la liberalizzazione è l'apertura di un mercato, fino ad
allora monopolizzato dallo stato, ad altri operatori in concorrenza. Alla fine degli
anni '90 abbiamo l'aumento delle autorità autonome, con funzione di controllo
per evitare un passaggio da monopoli pubblici a monopoli privati.
Altro fenomeno proprio degli anni '90 è stato la privatizzazione del pubblico
impiego, avvenuta con dlgs 29/93, confluito nel dlgs 165/01. La legge 241/90
(poi modificata nel 2005, con la legge 15) prevede la partecipazione dei privati
alla formazione della volontà amministrativa.
La riforma dovuta al dlgs 150/09, nota come “legge Brunetta” ha introdotto la
valutazione delle performance nelle pubbliche amministrazioni. Essa ha
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integrato la disciplina del pubblico impiego (165/01), interferendo in una materia
inerente la prestazione amministrativa e quindi legata alla disciplina privatistica.
Tali modifiche si impongono anche alla contrattazione collettiva, e sono
inderogabili.
Fondamentale per il corretto funzionamento delle pubbliche amministrazioni è
assicurare la migliore performance dell'amministrazione stessa e del personale.
La performance è il contributo che un soggetto (sistema, organizzazione, unità
organizzativa, singolo individuo) apporta, attraverso la propria azione, al
raggiungimento delle finalità e degli obiettivi ed, in ultima istanza, alla
soddisfazione dei bisogni, per i quali l'organizzazione è stata costituita.
Ogni amministrazione deve misurare e valutare la performance
dell'amministrazione intesa nel suo complesso, ma anche quella dei singoli
dipendenti. Questa misurazione serve a migliorare la qualità dei servizi offerti e a
produrre una crescita delle competenze professionali di dirigenti e dipendenti
attraverso la valutazione del merito e lo sviluppo di meccanismi premiali.
Le amministrazioni devono sviluppare il ciclo di gestione delle performance.
Questo vuole che i vertici dell'amministrazione, sulla base di un documento
preliminare (sistema di misurazione e valutazione delle performance) redatto a
monte, debbano individuare gli obiettivi strategici ed operativi da conseguire in
un determinato tempo, con riferimento alle risorse disponibili, ed ai risultati
attesi, da raffrontare a degli indicatori in base ai risultati dei quali devono essere
valutati.
Le amministrazioni redigono entro il 31 Gennaio di ogni anno, un piano
triennale della performance, in cui si indicano tutti i fattori su citati, e gli
obiettivi individuali, gli indici di prestazione richiesti ai singoli operatori. Gli
indicatori di misurazione dei risultati devono essere fissati nei piani triennali.
Ogni 30 Giugno gli amministratori (dirigenti ed organi politici) devono redigere
un resoconto, una relazione, sulle performance in relazione ai risultati previsti, da
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presentare alla “commissione per la valutazione, l'integrità e la trasparenza delle
pubbliche amministrazioni” (CIVIT).
Ogni tre anni le amministrazioni devono pubblicare anche un piano triennale
per la trasparenza, che deve contenere la presentazione delle iniziative previste.
La valutazione periodica delle strutture amministrative e dei singoli
operatori è fatta dai dirigenti con riferimento agli impiegati nei propri uffici
(raggiungimento di obiettivi individuali e di gruppo, performance complessiva
dell'unità organizzativa), e da “organismi interni di valutazione” (OIV che,
istituito sempre dal 150/09, sostituisce i vecchi servizi di controllo interno, ed è
nominato ogni tre anni dalle autorità politiche).
Regioni ed enti locali non sono tenuti a nominare un OIV, ma spesso lo fanno
egualmente. Questi organismi hanno il compito di giudicare la performance
complessiva dell'organizzazione e quella dei dirigenti di vertice, e devono
convalidare la relazione annuale, al fine di rendere possibili gli incentivi. Se
trovano criticità, queste, devono essere comunicate all'organo di indirizzo
politico, alla CIVIT, all'ispettorato della funzione pubblica ed alla corte dei conti.
L'OIV valuta i dirigenti in base agli obiettivi individuali conseguiti, in relazione
al loro contributo positivo alla performance complessiva della struttura e per la
loro capacità di valutare il personale loro dipendente. L'aver male giudicato
sottoposto può portare ad una decurtazione della retribuzione di risultato, mentre
la sanzione per un impiegato giudicato negativamente porta ad un mancato
rinnovo dell'incarico, ad un ritiro dell'incarico o il recesso dal pubblico impiego.
La retribuzione di risultato non può essere erogata ai dirigenti se gli OIV rilevano
che alcuni dirigenti non abbiano concorso al piano della performance o quello
della trasparenza, o li abbiano impediti. Al vertice di tale apparato vi è la CIVIT
che deve coordinare ed organizzare le OIV.
Tra le novità degli anni '90 è interessante ricordare, sebbene poco applicata, la
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class action (dlgs 198/09), con la quale si è riconosciuta l'azione di classe contro
la pubblica amministrazione ed i concessionari di pubblico servizio. Essa è
consentita quando non vengono rispettati i termini per i pubblici servizi. L'azione
è consentita se l'interesse è comune a più persone. Il termine per il ricorso è di un
anno e questo può essere posto in essere da singoli individui, o da comitati, o da
associazioni. Il giudice che se ne occuperà sarà quello amministrativo.
Il ricorso deve essere pubblicato sul sito dell'amministrazione o del
concessionario indipendente cosicché tutti i soggetti nella stessa situazione del
ricorrente possono intervenire nel giudizio. La sentenza non è di risarcimento ma
può imporre il rimedio all'inefficienza. In caso si perseveri nell'inadempienza, il
giudice, può nominare un commissario ad acta. Accanto al mancato rispetto dei
termini, altra causa di class action è il non rispetto di una scadenza assunta per
un impegno.
Con la legge anti-corruzione (dlgs 190/12) il consiglio dei ministri ha approvato
un codice di comportamento, con puntuali prescrizioni volte alla moralizzazione
della pubblica amministrazione. Si tende a rendere sempre più trasparente e
corretta possibile l'azione amministrativa.
La Costituzione contiene una serie di norme riferite alla pubblica
amministrazione, alcune che la riguardano direttamente (art. 28, 92, 95, 97, 98,
100), imponendo obblighi e limiti ai dipendenti della pubblica amministrazioni,
altri meno direttamente (es. diritto all'assi