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Infine il lavoro di gruppo, come ogni altra metodologia attiva, possiede un potenziale educativo consistente a
condizione che venga inserito all’interno di una progettazione più ampia di cui l’insegnante abbia ben chiari gli obiettivi
e i ruoli dei soggetti coinvolti. Delegando l’autorità, lascerà lavorare autonomamente gli alunni, ma saprà anche
accompagnarli a riflettere su quanto fatto. Prerequisito fondamentale: conoscenza di ogni specifico gruppo classe.
6. Imparare giocando. Ruoli, apprendimento e didattica.
Una dimensione fondamentale dell’apprendimento è quella ludica; la tradizionale separazione tra gioco e
apprendimento è un’operazione artificiosa sorretta da una rappresentazione erronea del gioco visto come svago. In
realtà il gioco, e quello di ruolo in particolare, ha un altissimo potenziale educativo.
La funzione formativa del gioco mimicry. Un punto di riferimento classico dell’analisi del gioco è la teoria di
Huizinga che lo descrive come un’azione libera, situata al di fuori della vita consueta, si svolge con ordine secondo
delle regole e suscita rapporti sociali […]. Nella sua definizione è interessante sottolineare gli aspetti del
coinvolgimento totale del giocatore, del setting (tempi, spazi, regole) e della socialità dell’esperienza ludica.
È’ importante anche la classificazione dei giochi elaborata da Caillois che li divide in:
• Agonisti: giochi che rispondono al bisogno umano di competizione (es sport);
• Di fortuna: giochi di sfida alla sorte (tombola);
• Di vertigine: il piacere risiede nella sensazione di stordimento che provocano (montagne russe);
• Di finzione: tutti i giochi del “far finta” (gioco simbolico).
Quest’ultima forma di gioco si presta all’approfondimento di un aspetto del gioco, ovvero il suo rapporto tra il reale e il
vero; spesso si è definito il gioco utilizzando le categorie di finzione e falsità. Le ipotesi di Lotman e Bateson sulla
relazione tra realtà e gioco evidenziano come il secondo non sia una “falsa realtà”, ma la realtà che viene però
modellizzata o incorniciata. Se il gioco offre un modello, il giocatore può comprenderne le regole, sperimentare le sue
mosse e individuare le prevedibilità e gli imprevisti in una situazione protetta. Lotman: il gioco costituisce uno dei
mezzi più importanti della vita per apprendere certi tipi di comportamento umano. Bateson: tramite il gioco non si
imparano solo dei comportamenti, ma anche la variabilità degli stili comportamentali che dipendono dal modo in cui la
realtà è incorniciata dai soggetti; ciò implica l’apprendimento anche dei modi di guardare, rappresentarsi e condividere
con gli altri la realtà (deuteroapprendimento). Nel gioco il bambino sta dentro la tradizione culturale, infatti
rielabora e combina gli schemi comportamentali che il suo gruppo di appartenenza gli mette a disposizione. 13
Osservare il gioco di finzione permette di comprendere il livello di evoluzione di una serie di capacità non ancora
padroneggiate con sicurezza. Il gioco di finzione ha mostrato di sostenere e promuovere:
• Lo sviluppo del pensiero (il bambino manipola mentalmente i significati)
• La creatività (l’attività mentale favorisce lo sviluppo del pensiero creativo)
• La narrazione (inventare trame di gioco e metterle in atto potenzia il linguaggio narrativo)
• La metacomunicazione (capacità di uscire dai ruoli)
• L’affettività (il bambino elabora emozioni)
• Lo sviluppo sociale (assumere ruoli implica decentramento, empatia e i savoir faire per accordarsi)
Il ruolo è un oggetto complesso che presenta diverse definizioni a seconda della disciplina che se ne è occupata.
Nella lettura sociologica: vengono privilegiate le caratteristiche di prevedibilità e stabilità del ruolo; in ambito
psicologico un riferimento proviene dallo psicodramma di Moreno, dal quale deriva la metodologia didattica attiva del
role playing. Secondo lui il ruolo è la forma operativa che l’individuo assume nel momento specifico in cui egli
reagisce ad una situazione specifica nella quale sono implicati altre persone e oggetti. Il ruolo esiste solo in relazione
con altri ruoli (oggetti o persone) e in contesti specifici. Una differenza tra le due concezioni è relativa al fattore S/C
(spontaneità/creatività): Moreno lega i due concetti perché quando la spontaneità trova la sua concretizzazione, la
creatività si rende visibile. Il role playing si differenzia dallo psicodramma a partire dalla finalità: il primo lavora sui
ruoli connessi a profili professionali e/o a situazioni specifiche, mentre il secondo lavora sul vissuto emotivo e affettivo
di un protagonista a scopo terapeutico. Fase di debriefing: fase in cui il gruppo riflette su quanto emerso dall’azione.
Giochi di ruolo e apprendimento. De Vecchi: afferma che troppe volte il gioco è utilizzato in modo strumentale per
rendere divertenti e piacevoli alcune attività considerate necessarie ma noiose, depotenziandone il valore. Se invece la
proposta ha senso, il quale è condiviso dagli apprendimenti, allora il gioco trova la sua collocazione ideale come
metodologia didattica integrata. Dewey: le ragioni per inserire il gioco nel curricolo scolastico sono fondate su
motivazioni di tipo psicologico e di giustizia sociale, tra le prime vi è la tendenza giocosa innata del bambino a
esplorare il mondo, a utilizzare materiali diversi. In entrambe le posizioni vi sono riferimenti espliciti alla dimensione
emotiva e affettiva di cui sono intrisi i processi educativi.
L’holding (l’abbraccio che contiene e sostiene) richiama un’altra dimensione: il corpo. L’integrazione di corpo e mente
nel processo di conoscenza è un dato di realtà ineludibile, in quanto l’essere umano si relaziona attraverso i sensi.
Il gioco di ruolo offre l’occasione di integrare l’esperienza nella propria storia personale, di poter dire “ho imparato”;
per poter ricostruire la propria storia di apprendimento, è necessario utilizzare il pensiero narrativo, un modo di
funzionamento cognitivo che Bruner ritiene complementare al pensiero logico scientifico, pensiero a cui l’essere
umano ricorre per dare senso alla realtà che lo circonda. Il gioco di ruolo utilizza, sviluppa e potenzia questa tipologia di
pensiero.
Nell’ambito delle relazioni sociali, queste metodologie contribuiscono a sviluppare strategie cooperative in quanto
connesse con la situazione di gioco, funzionali alla vita del gruppo. Cecchini, tra le 7 caratteristiche del gioco, elenca la
crudeltà poiché sostiene che non esistono giochi propriamente non competitivi.
La didattica attraverso il gioco di ruolo.
• Il role playing è un’occasione che per mettere in azione uno o più ruoli sui quali il gruppo si interessa per le più
svariate motivazioni. La scelta del ruolo permette di sperimentare quelli che più interessano a ciascuno garantendo
maggiore significatività dell’esperienza formativa. Il debriefing finale promuove un tipo di apprendimento per
insight sia individuale che di gruppo, grazie al confronto.
• I role playing games sono giochi in cui un direttore (chiamato master) crea un mondo dove i giocatori
costruiscono il proprio personaggio e interpretano avventure, determinate da un sistema di regole, di istruzioni
operative e dal lancio dei dadi.
Il role playing realizzato in contesto scolastico si distingue per una focalizzazione maggiore su obiettivi di
apprendimento specifici e per una dimensione temporale più contenuta. Gli ambiti educativi e disciplinari in cui può
essere utilizzato efficacemente sono:
• Educazione affettiva e relazionale: il r.p. è stato adottato all’interno di progetti sul bullismo, ed sessuale..
• Ed. interculturale, alla legalità, alla pace: percorsi che mirano a sviluppare ascolto attivo, empatia..
• Ed. ambientale: quest’ambito transdisciplinare connette geografia, storia, biologia, ed interculturale..
• Lingua straniera e italiano LNM: l’interazione orale in contesti reali implica un utilizzo socioculturale della lingua.
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• Competenze linguistiche orali: circle time, assemblee del mattino, discussione, discorso orale..
• Filosofia, storia, letteratura, scienze: interpretare personaggi storici fa vivere le grandi questioni culturali.
Le risorse principali che il role playing (r.p) offre sono:
Coinvolgimento globale dello studente: il r.p. richiede una partecipazione diretta e attiva, una creazione e messa in
gioco di sé; è un’occasione di esercizio della propria soggettività, richiede di vivere un’esperienza;
Costruzione sociale della conoscenza: il r.p. valorizza questo aspetto non solo nel momento dell’azione, ma anche
in quello della preparazione alla “messa in scena”, spesso svolta in sottogruppi; le conoscenze non riguardano solo i
contenuti disciplinari, ma anche tutta un’altra serie relativa al contesto storico-culturale, al personaggio, alle
strategie comunicative…;
Utilizzo sensato della conoscenza: l’incremento visibile della motivazione all’apprendimento dipende anche dal
senso dell’impegno nella ricerca di informazioni/contenuti che “servono per..”; si tratta di creare un ambiente di
apprendimento che infonda vitalità nei contenuti, che li renda significativi nel “qui e ora” del tempo scuola;
Valorizzazione delle differenze individuali e degli stili diversi: il fatto che il role playing si inserisca in percorsi
didattici caratterizzati dalla presenza di compiti multiability valorizza le differenze in termini individuali, di stile
cognitivo e relazionale, di competenze..;
Utilizzo di una pluralità di linguaggi: gli studenti si ritrovano a utilizzare una pluralità di linguaggi, di registri, di
lessici disciplinari, e trovano nel r.p. un’occasione di riproduzione creativa;
Sviluppo di competenze trasversali per la formazione del cittadino: tali competenze sono la gestione creativa dei
conflitti, argomentazione, empatia, decentramento, problem solving, decision making, cooperazione.
Come per qualsiasi metodologia, il role playing per essere efficace necessita della valutazione e cura di alcuni punti:
Coerenza: criterio fondamentale che riguarda innanzitutto la relazione tra gli obiettivi di apprendimento che
l’insegnante vuole conseguire e le scelte metodologiche; se l’insegnante ha obiettivi di acquisizione e
memorizzazione di conoscenze dichiarative semplici (es date storiche), il r.p. è inutile.
Organizzazione: tutte le metodologie attive richiedono sia all’insegnante che alla classe un impegno a livello
organizzativo per tempi, spazi, materiali, sottogruppi da progettare..
Sintesi: con