Riassunto esame Didattica generale, prof. Zuccoli, libro consigliato L'avventura di un maestro, Manzi
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aspetti di questo metodo educativo e li inserisce in un altro contesto educativo
facendone un sapiente adattamento: la scuola rimane comunque la scuola.
Manzi riesce a declinare questi aspetti (educazione morale basata su
esperienze concrete, la differenza tra consegna e ordine, il valore della
competizione nella forma di gioco, la formazione al senso di responsabilità))
senza perdere la centralità della didattica. La pedagogia scout permea e anima
aspetti della didattica senza prevaricarla. Questo metodo di fare scuola richiede
una competenza nel mestiere dell’insegnante decisamente superiore allo
standard medio di preparazione degli insegnanti: diventa indispensabile la
capacità di “tenere la classe” sulla base di un metodo più orientato
sull’autodisciplina e sulla relazione e gestione di un gruppo.
L’insegnamento non coincide con la lezione, non è declinato su un insieme di
esperienze e di attività predisposte e organizzate dall’insegnante, dove egli si
preoccupa che siano i bambini stessi a co-costruire i loro apprendimenti
ponendosi domande e cercando le risposte.
L’insegnante non tiene il bambino per mano ma gli prefigura un percorso, gli
fornisce gli strumenti adatti per affrontarlo e gli dice come usarli e indica la
meta da raggiungere. Il percorso deve essere un’avventura cognitiva nella
quale l’errore è possibile ma deve diventare un fattore di apprendimento:
fondamentale è rielaborare l’errore perché solo così sbagliando si impara. Lo
stesso Manzi a volte sbagliava intenzionalmente per trasmettere il messaggio
che anche il maestro può sbagliare e quindi nessuno deve sentirsi umiliato, ma
anche per dimostrare come proprio da un errore si può capire meglio la lezione.
Manzi imposta il suo stile didattico sullo scaffolding e il coaching cioè il
sostegno e l’accompagnamento all’apprendimento del bambini, senza
sostituirsi a lui ma incoraggiandolo a fare anche dove ci sono difficoltà da
affrontare. E poi il fading: progressiva sottrazione dell’intervento per lasciar
spazio al bambino di prendere decisioni, di mettersi alla prova.
I luoghi della didattica sono molteplici e irriducibili all’interno delle mura
scolastiche: infatti l’esperienza educativa nelle sue forme più vive e suggestive
si dispiega fuori dalla scuola, sul territorio vicino e lontano.
Curriculum è una parola latina che significa “corsa”. Nel linguaggio
pedagogico il curriculum è il modo in cui si dispone un percorso didattico
ordinato di insegnamento-apprendimento in una determinata disciplina,
partendo dalle preconoscenze per arrivare alle forme di verifica e di
valutazione. La didattica di Alberto Manzi sembra indifferente alle varie teorie
del curriculum anche se egli ha ben chiaro il percorso didattico nel quale
portare il bambino ad acquisire conoscenze e competenze.
Vicino ad un modello costruttivista, quello di Manzi è un curriculum legato
all’azione del percorrere fisicamente le strade di un quartiere o i sentieri di
un bosco per raccontare sensazioni e informazioni come “materie prime “ da
trasformare poi in conoscenze e apprendimento attraverso vari linguaggi. Tutto
ciò viene molto criticato, sostenendo che ciò che fa fuori può farlo anche
all’interno della classe. 5
Per Manzi non si tratta di fare semplicemente delle “uscite didattiche”, ma si
tratta di concepire il mondo esterno sulla base delle esperienze di vita che può
offrire ai bambini. È infatti partendo dalle esperienze vissute che, come
afferma Manzi, nasce il bisogno di conoscere la realtà e i suoi fenomeni, di porsi
domande e trovare risposte. È cosi che si può fare senso all’apprendimento che
può essere sicuro stando a scuola, ma la scuola non è la vita, è un artificio della
modernità.
Perdere il rapporto con “il mondo della vita” significa perdere il senso autentico
dell’imparare e della fatica necessaria per questo.
Non a caso Manzi parte dal gioco poiché è l’esperienza spontanea e naturale
con cui il bambino entra il contatto con il mondo e acquisisce abilità e
conoscenze fondamentali: sono forme di gioco in cui il piacere sta
nell’esplorare e nel costruire con le proprie mani, in cui il bambino vive
emozioni e avventure, esercita il proprio corpo e pensiero, i sensi e
l’immaginazione.
Come per la Montessori, anche per Manzi il gioco è “ il lavoro” del bambino.
Manzi comunque non assunse mai atteggiamenti antagonisti alla scuola: la sua
critica al sistema scolastico era vissuta personalmente attraverso il suo lavoro
quotidiano, il suo modo didatticamente alternativo di far scuola pur rimanendo
nella scuola pubblica e affermandone il valore primario.
Egli preferiva dar prova del suo lavoro didattico cercando consenso dalle
famiglie e dai dirigenti scolastici alle sue proposte, sempre documentate. In
un’occasione però Manzi si mise contro l’istituzione, tanto che la legge del
1977 introduceva la necessità e l’obbligatorietà della scheda di valutazione alla
quale Manzi si oppose sottolineando come i “giudizi” potessero aver pesanti
conseguenze sul futuro del bambino. Voti e schede di valutazione erano in
evidente contrasto con l’impianto pedagogico che Manzi perseguiva, basato
sulla visione del soggetto come persona, perciò non classificabile sulla base di
giudizi frammentati e oggettivi.
Egli vedeva l’educazione come un processo lento, non necessariamente
lineare per cui solo alla fine di un ciclo lungo di lavoro scolastico è possibile
elaborare per ogni alunno un profilo, per cui per Manzi le scadenze trimestrali
erano inutili. Questa posizione era una vera e propria convinzione e Manzi non
era disposto a scendere a compromessi.
Manzi viene sottoposto più volte al giudizio del consiglio di disciplina a causa
dell’utilizzo del timbro “fa quel che può, quel che non può non fa” e nel maggio
del 1981 il suo caso finì sulla stampa e la sua scelta di non compilare le schede
portò alla denuncia per omissione di atti di ufficio con la conseguente sanzione
di sospensione dall’insegnamento e quindi dallo stipendio per due mesi.
La centralità dell’educazione scientifica.
Esperienza/conoscenza corde vocali in classe. “l’imposizione non forma un
concetto scientifico, si dimentica facilmente oppure rimane in forma stratta
nella mente ma non provoca una crescita intellettuale”. L’educazione 6
scientifica è un campo a cui Manzi dedica, per certi aspetti, un impegno
superiore agli altri ambiti didattici, che comunque non trascura. Questo
fondamentalmente per due motivi:
Egli sosteneva che nella scuola, all’educazione scientifica si dedicasse una
• quantità di tempo decisamente inadeguata. La percezione alla fine è che le
scienze contino poco rispetto alle altre discipline. L’idea di Manzi è che negli
anni in cui lo sviluppo dell’intelligenza del bambino è cruciale, sottovalutare
il ruolo che possono avere le esperienze, il pensiero e il linguaggio
scientifico sia un grave errore pedagogico.
Non si possono insegnare le scienze senza rispettare il loro statuto
• epistemologico che si basa sulla formulazione delle ipotesi, l’osservazione
della realtà, la sperimentazione, la descrizione di processi fino alla
formalizzazione di concetti che a loro volta possono aprire nuove domande.
È il laboratorio lo spazio metodologicamente connotato per fare scienza nella
scuola. Il bambino ha continuamente bisogno di trovare e dare senso a tutto ciò
che entra a fare parte del suo “essere-nel-mondo” : spesso è l’adulto che tende
a ridurre allo stato di passività o a sottovalutarne le capacità cognitive, ma il
bambino per sua natura non è passivo. Inoltre fondamentale è il rispetto da
parte dell’insegnante per le conoscenze pregressive, spontanee, ingenue dei
bambini. Necessario è che l’insegnante sia a conoscenza di ciò che il bambino
sa: il bambino infatti parte sempre da proprie esperienze e conoscenze che
confronta con nuove ipotesi, domande e risposte.
Manzi afferma che se la “verità” scientifica viene calata dall’alto, imposta
dall’autorevolezza dell’insegnante viene velocemente appresa dal bambino ma
altrettanto velocemente la può dimenticare e non rappresenta una sua
“conquista” cognitiva, una “conoscenza” nel vero senso del termine.
L’insegnante infatti, a partire da un certo argomento e tenendo conto dell’età
dei bambini, deve mettere in atto delle strategie che consentano al bambino
di acquisire un ruolo di apprendimento e quindi di crescere sul piano cognitivo.
Manzi recupera, attuando in forme didatticamente creative, il metodo che
Comenio definì nella metà del ‘600 “autopsia”: visione diretta, applicata ad
ogni tipo di esperienza diretta nel campo della didattica.
Comenio scrive: “gran parte delle difficoltà consistono nel fatto che le come
non si insegnano ai discenti per visione diretta ma con noiosissime descrizioni
che si inseriscono debolmente nella memoria. Il rimedio sarà quello di offrire
tutte le cose per visione diretta (autopsia) rendendole presenti ai sensi”. Il
termine autopsia, etimologicamente “vedere con i propri occhi” esprime la
modalità abitualmente usata nel metodo scientifico, basata sull’evidenza dei
dati e sulla pratica dei di-mostrare: su tale procedimento, da una parte si fonda
il metodo scientifico e dall’altra si pone la centralità dell’esperienza diretta
del bambino sulle cose, esperienza che sul piano didattico non è nuda e cruda
ma è il frutto di una elaborazione e di una mediazione dell’insegnante, mentre
il bambino non si limita a fare e a guardare ma impara ad osservare e ad agire 7
sulle cose elaborando i propri pensieri e conquistando il linguaggio per
esprimerli.
Il concetto di educazione scientifica per Manzi è un tratto fondamentale
dell’educazione linguistica: egli infatti afferma che la specificità del linguaggio
descrittivo, che è fondamentale nel metodo scientifico, dove l’analisi precisa e
ordinata di un fenomeno nei suoi elementi costitutivi è alla base della
possibilità di comprendere un procedimento, di riprodurlo e di verificarlo.
La capacità logica e linguistica di formulare un problema è tanto importante
quanto la capacità di saperlo rappresentare e risolvere, e le due cose sono
strettamente legate tra loro.
Il linguaggio è lo strumento che sta alla base di tutto, va educato non solo
attraverso i consueti eserciziari di grammatica e sintassi, ma nelle esperienze
dal vivo, che riguardano le sue modalità d’’uso.
La padronanza con lo strumento della scrittura porta Manzi ad elaborare
continuamente appunti su ciò che intende fare e che ha fatto: ne risulta così
una memoria didattica che ha il compito di lasciare tracce del proprio lavoro
passo dopo passo. Eppure sono pochi gli insegnanti che usano la scrittura come
strumento di documentazione e di elaborazione del proprio “essere in
didattica”: la scrittura dell’insegnante è infatti sempre più ridotta a strumento
di rendicontazione amministrativa e burocratica, nei format delle
programmazioni, nei POF…
Come devono essere gli insegnanti e concetto di manipolazione.
In alcune sue riflessioni, Manzi riporta quelli che sono per lui gli importanti
obiettivi formatici e culturali che possono essere realizzati in un contesto di
educazione scientifica per la scuola elementare, in particolare all’interno di un
lavoro di biologia.
Ogni bambino deve rendersi conto di far parte, al proprio livello, di un
• mondo che può essere studiato e conosciuto, in cui fatti diversi possono
essere messi in connessione tra di loro e descritti con parole appropriate.
Così a scuola, guardando le cose attorno, studiando, provando a prevedere
quello che può succedere, provando a riconoscere gli eventi sicuri da quelli
improbabili, ci si rende conto sempre meglio che il mondo i cui si vive può
essere interpretato come un sistema coerente in cui si possono conoscere
diversi aspetti.. bisogna però che gli adulti sappiano che il loro stesso
personale atteggiamento nei confronti del mondo può rappresentare per i
ragazzi un mezzo di apertura o chiusura al desiderio e alle possibilità di
conoscenza.
Il fatto che con il termine formazione culturale si faccia riferimento ad una
• preparazione organizza e multidimensionale che li renda capaci di
sviluppare e organizzare con criteri logici e coerenti non solo i propri hobbies
scientifici o le proprie conoscenze scolastiche ma soprattutto il proprio modo
di pensare.. 8
La formazione culturale scientifica non può svilupparsi come patrimonio di
• un singolo individuo isolato: perché questa possa rappresentare uno
strumento conoscitivo efficace, è necessario che vi sia una richiesta
sociale di educazione alla scienza. I bambini devono imparare ad ascoltare
e a ricercare mezzi con cui rispondere in modo che anche informazioni o
osservazioni casuali abbiano la possibilità di crescere.
Manzi vuole proporre un modo di lavorare in classe basato sulla
collaborazione con i ragazzi per la risoluzione di problemi di qualunque tipo,
ritenuti importanti e che quindi suscitino nuovi interessi.
Questo non significa seguire soltanto curiosità superficiali dei bambini ma
significa aiutarli a capire la realtà che direttamente li circonda. Una volta scelto
di affrontare un problema è necessario che i bambini siano lasciati liberi di
esprimere le loro opinioni personali, di esplicitare i loro modelli
confrontandoli con gli altri.
Questo momento è fondamentale: 1) per i bambini poiché impara a vivere in
maniera socializzata i problemi; 2) per gli insegnanti in quanto possono
utilizzare la discussione per suggerire ai bambini sia argomenti su cui
informarsi e fare esperienze, che dove e come trovare queste informazioni.
Fondamentale per raggiungere qualsiasi obiettivo didattico è la padronanza
della materia e inoltre è necessario che chi insegna non sia legato a schemi
rigidi e prefissati non sappia raccordare al linguaggio e al pensiero scientifico i
termini e i modi di rappresentare usati dai bambini. Deve saper interpretare e
capire a fondo quello ce i bambini dicono, chiarendo i dettagli e i corto-circuiti
delle discussioni.
Le riflessioni di Manzi portano a considerare la didattica sia una scienza
dell’educazione sia una scienza della comunicazione finalizzata
all’apprendimento. Egli era convinto che il valore pedagogico dell’educazione
scientifica stesse nel fatto che il pensiero scientifico rende il soggetto libero:
questa conoscenza mette infatti il bambino nella condizione di acquisire un
metodo il cui punto di partenza sta precisamente nell’abitudine a chiedere e a
chiedersi il perché delle cose senza accontentarsi dell’apparenza o della prima
risposta.
L’educazione scientifica non è semplicemente l’acquisizione di un certo
bagaglio di conoscenze, ma è educare a pensare, a pensare che se la realtà è
così ci sono delle spiegazioni ed entra così in gioco la libertà di pensiero.
Libri di testo.
Nel 1972 Bonazzi e Umberto Eco pubblicarono il libro “i pampini bugiardi”, il cui
obiettivo era quello di muovere una critica serrata al libro di testo come uno
strumento egemone nella didattica, cercando di praticare la sua abolizione.
L’atteggiamento di Manzi non si ferma alla protesta: dal 1961 al 1972egli è
stato autore o curatore di 7 opere come libri di lettura e sussidiari per la scuola
elementare e fino agli anni ’80 di oltre 60 opere di didattica, lettura e 9
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