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CODICE DEONTOLOGICO
L'esercizio di una professione comporta dilemmi circa l'opportunità, la correttezza, la liceità di talune condotte. Si dice che i C.D. siano connessi alla morale e all'etica. Le norme deontologiche sono tuttavia norme giuridiche e per questo il loro studio rientra nell'ambito della psicologia giuridica. Dopo la loro promulgazione le norme deontologiche sono diventate vere e proprie norme giuridiche che rientrano in un corpus che definiamo ordinamento giuridico professionale, che riguarda: comportamenti considerati dal diritto, dalla morale, dalla prassi. Non si tratta dunque di semplice codificazione di precetti morali.
Il fondamento giuridico delle norme deontologiche si ricava dall'art. 1176 c.c. "Nell'adempiere l'obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia". Come si vede, l'attività professionale comporta l'adempimento di un'obbligazione giuridica.
Il rapporto tra professionista e cliente può definirsi come un contratto d'opera. Ad ulteriore conferma della natura giuridica delle norme del C.D basti ricordare i procedimenti disciplinari, ele sanzioni che possono essere inflitte a seconda della gravità del caso: formali, come avvertimento e censura, osostanziali, come sospensione e radiazione. La codificazione soddisfa parzialmente il principio di legalità, per cui lesanzioni possono essere inflitte solo per la violazione di norme che esistono precedentemente alla condotta censurata,questo facilita anche il principio di certezza del diritto.Il commento delle norme mostra come vengono interpretate le norme da chi ha riflettuto circa l'ambito di applicazione. INTRODUZIONE. Il C.D. rappresenta una sorta di "carta d'identità" speciale. Si può pensare che il processo di sviluppo del C.D. siestenda attraverso due tappe. La prima è rappresentata dall'esperienza diApplicazione vissuta da ciascun psicologo. La seconda dal lavoro che l'istituzione ordinistica è chiamata a fare nei prossimi anni per rivedere il testo del C.D., come previsto dall'art. 41. L'etimologia del termine codice risale dal latino caudex, la parte dell'albero trasformata in tavoletta per incidervi le scritture.
LE LINEE GUIDA DEL CODICE DEONTOLOGICO
Nell'elaborazione del C.D. la Commissione del Consiglio dell'Ordine ha individuato quattro finalità ispiratrici:
- la tutela del cliente, sia esso il committente o l'utente dei servizi professionali dello psicologo. Da ciò le regole di correttezza professionale, che si radicano sulla fiducia del rapporto (es. segreto professionale - artt. 11-17) o divieto trarre vantaggi economici al di là del giusto compenso (art. 28/4) o obbligo corretta informazione (art. 9)
- la tutela del professionista nei confronti dei Colleghi, che si sostanzia nelle norme
CAPO I - PRINCIPI GENERALI
ART. 1
È una sorta di enunciazione di principio, che riprende il principio generale espresso dall'art. 5 del c.p.: "ignorantia non excusat".
Vi sono alcune caratteristiche del C.D.: una è quella dell'obbligatorietà:
- sia perché il Codice è richiesto da una Legge dello Stato, che prevede, quale attribuzione del
Consiglio Nazionale dell'Ordine, la predisposizione di un C.D. da sottoporre all'approvazione degli iscritti all'Albo per referendum;- sia perché le regole di comportamento professionale si presentano come strettamente vincolanti per tutti gli iscritti, essendo previste sanzioni, fino a conseguenze di grossa rilevanza per lo svolgimento della professione. Questa obbligatorietà esterna, rispecchia ed è rispecchiata da una obbligatorietà interna, in uno stretto collegamento tra deontologia e vincolo etico. L'approvazione del Codice per referendum dagli iscritti coinvolge il gruppo nell'assumere un ruolo attivo ed autonomo di scelta, determinante ai fini della vigenza del C. stesso: questo equivale a riconoscere come proprie le regole deontologiche, corrispondenti a valori di riferimento comuni. L'effettivo compito della deontologia è quello della promozione di norme, del loro contenuto e del loro fine. Solo da qui ilIl principio dell'ignorantia legis non excusat assume il suo significato, in quanto nasce dall'autodeterminazione del gruppo professionale.
Art. 2
La norma stabilisce che ogni condotta, attiva od omissiva, che sia contraria al decoro, dignità e al corretto esercizio della professione costituisce infrazione disciplinare. Si fonda sulla considerazione che la deontologia precede la formazione del C.D., quale "comune sentire etico" della comunità professionale; il C. è la sua concretizzazione in forma scritta ed esplicita.
Viene lasciato ai singoli Consigli dell'Ordine uno "spazio libero" di valutazione della condotta professionale degli iscritti, in modo opportuno.
Le categorie di illecito deontologico cui si riferisce la norma sono chiare; si deve intendere per "decoro" e "dignità" lo stile che nell'atteggiamento, nei modi e nella condotta è conveniente alla condizione professionale dello
psicologo; lops. che assumesse un comportamento volgare, in privato con i propri clienti e pazienti, e in pubblico ove rappresenti aqualsiasi titolo la sua professione. Anche la “correttezza professionale” sta nell’aderenza ai principi informatori delladeontologia, nei rapporti con i clienti, i pazienti, i Colleghi.Né la Legge istitutiva dell’Ordine, né il C.D. stabiliscono un collegamento rigido fra infrazioni disciplinari e la qualitàdella pena. Esiste un elevato ambito di discrezionalità: è lasciata all’apprezzamento dell’Ordine la graduazione dellapena.Il C.D. fa espresso rinvio al “Regolamento disciplinare”. Contro le deliberazioni l’interessato può ricorrere al tribunalecompetente per territorio, e l’ultima parola spetta alla Magistratura ordinaria.
Art. 3Questo articolo ha un carattere più “dichiarativo” che “prescrittivi”, rilevando due
le responsabilità etiche del professionista nel rispetto della privacy e della riservatezza delle informazioni confidenziali dei pazienti.Come lo professionista sia responsabile dei propri atti professionali, e delle conseguenze di tali atti. Es. lo professionista è responsabile della validità delle proprie conclusioni diagnostiche, ma non del fatto che un suo paziente, turbato dall'andamento di una seduta psicoterapica, provochi o subisca un incidente stradale. Perché il professionista sia responsabile, l'evento deve potersi porre con la condotta del professionista in un rapporto in cui la condotta sia l'antecedente senza il quale l'evento non si sarebbe verificato.
Quali riferimenti interni al Codice: artt. 28 e 34
Art. 4
Ci si riferisce ad una dimensione pregiudiziale: da un lato si descrivono "coloro che si avvalgono delle prestazioni" nel rispetto della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, dall'altro un modo dello professionista di guardare alla persona. Se la tolleranza e il rispetto della differenza costituiscono un valore per costituire sistemi e relazioni, ci saranno ricadute "culturali".
Il modo di "guardare il mondo" dello p., la sua "laicità" intellettuale non possono non "ricadere" sul suo modo di accogliere una persona. Ma i tre commi successivi indicano forme ulteriori di vigilanza. Lo p. deve accertarsi che i metodi e le tecniche utilizzati siano coerenti con i principi sopraesposti; occorre chiarire nei contesti istituzionali in cui opera l'imprescindibile di tali principi, riaffermandola anche di fronte ad un committente diverso dal destinatario dell'intervento. L'art. 4 costituisce il fondamento etico della struttura del C.D. Il primo comma sintetizza i principi della Dich. Univ. diritti Uomo, raggiungendo il doppio obiettivo di definire i principi etici della professione e la sua natura laica. Infatti incardinare le finalità dell'art. 3 ai diritti fondamentali dell'uomo significa definire le basi dell'etica della relazione tra professionista e i suoi utenti/committenti. La difesa didogmatismo religioso. La laicità della professione implica che i professionisti non devono discriminare i soggetti in base alla loro religione o credo, ma devono trattarli in modo equo e imparziale. Inoltre, la professione deve essere aconfessionale, cioè non deve essere legata ad una specifica religione o credo. Infine, i professionisti devono rifiutare qualsiasi forma di dogmatismo religioso, ossia non devono imporre le proprie convinzioni religiose ai soggetti con cui lavorano. La laicità della professione è quindi un principio fondamentale che garantisce l'uguaglianza e la libertà di scelta dei soggetti.