vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Analisi delle singole figure di reato
Beccaria passa ora all'analisi delle singole figure di reato, più rilevanti sul piano sociale:
- Furto: il furto dovrebbe sempre essere punito con la pena detentiva, poiché è giusto che colui che abbia voluto arrecare danno alla società, sottraendo ai suoi cittadini i propri beni, sottoponga se stesso e la sua opera alle dipendenze della stessa società che ha offeso, per un certo periodo di tempo, in modo da ripagarla con la sua opera (ovviamente gratuita e doverosa) della mancanza che vi ha prodotto, sottraendole utilità. Eppure, il furto può essere realizzato senza ricorrere ad alcun ulteriore atto di violenza, nel qual caso sarebbe anche sufficiente ricorrere alla comminazione della sola pena pecuniaria, realizzando così l'impoverimento nelle sostanze di chi si sia voluto arricchire frodando il prossimo; ovvero, può essere realizzato con ricorso alla violenza, nel qual caso sarebbe opportuno mischiare entrambe le pene (la
pecuniaria e la detentiva) datasi la maggiore gravità di unfurto,aggravato dal ricorso alla violenza;
2) infamia: parlando dell'onore,si è detto che ogni uomo avverte l'esigenza di esserericonosciuto,apprezzato e stimato dalla collettività; ingiurie ed opinioni personali negativeespresse nei confronti di un soggetto,possono far sì che questa considerazione dovutaglivenga meno. Quando,però,le ingiurie le opinioni personali negative non abbiano un fondodi verità,ma sono espresse con il solo gusto di degradare il prossimo,lo stesso calunniatoredeve essere punito,venendo tacciato della stessa infamia (e dunque della riprovazione neisuoi confronti della società) che voleva ricadesse sul soggetto da lui accusato. Le pene diinfamia devono essere inflitte con un certa parsimonia,e devono altresì riguardare unnumero ristretto di soggetti: non devono essere troppo frequenti,poiché l'usanza delle stesseindebolisce
l’idea medesima di <strong>infamia</strong> e sminuisce il suo disvalore penale e morale; non devono essere inflitte ad un numero molto alto di persone, perché se tutti (o la maggior parte) possono essere considerati infami, nessuno più proverà riprovazione per chi lo è (infatti, un atteggiamento che tutti adottano è più facilmente giustificabile di un atteggiamento che solo alcuni fanno proprio, e che lo pone al giudizio altrui); 3) ozio: sono da considerarsi oziosi coloro che non agiscono in alcun modo nella società, non realizzando per essa alcun bene, né alcun male. Posto che chi agisce per il male deve necessariamente essere sottoposto ad una pena, poiché ha realizzato un danno per la società; non si vede come possa essere sottoposto a pena colui che, certamente non ha realizzato utilità sociali, ma neppure si è reso autore di danneggiamenti alla stessa. Dovrà essere solo ed esclusivamente il legislatore adecidere chi ed in che misura possa essere sottoposta apena,per il fatto di essere un ozioso dal punto di vista politico;
4) bando e confisca: il bando determina l'allontanamento del soggetto,reputato reo,dalla società: egli perde così ogni suffragio,ogni supporto del vivere sociale,ogni privilegio del quale godesse nella società. Ci si chiede: colui che abbia già subito la pena del bando (e sia stato perciò allontanato dalla società) deve altresì perdere tutti i suoi beni,mediante la pena della confisca? La risposta non può che articolarsi in tal modo: la perdita dei beni è sicuramente più gravosa che non il mero allontanamento dalla società; vi devono perciò essere casi in cui al soggetto venga imposto solo il bando dalla società,e casi in cui lo stesso venga altresì privato,in tutto o in parte,dei suoi beni (specie quando il reo venga privato di ogni rapporto con la società,
(seguito del bando). La pena della confisca non è pertanto ingiusta in sé, quanto inutile, poiché inutile è la sofferenza che essa procura a chi la subisce: colui che versi già in condizioni economiche gravose, a seguito della confisca dei suoi beni, sarà costretto a commettere ulteriori reati, spinto dalla fame e dalla disperazione. Per troppo tempo la società e la repubblica si è fondata sulle famiglie, piuttosto che sugli uomini; si è voluta dare importanza alla realtà di una "microsocietà" nella società stessa, poiché la famiglia (quale ristretta cerchia di persone) vive sulla base di proprie leggi autonome e valutabili nella loro considerazione solo in quanto siano leggi che attengono alla sfera familiare. Esse predicano la sottomissione dei figli al padre, per tutto il tempo della sua vita, e solo a seguito della di lui morte, questi possono vivere alle dipendenze delle proprie sole leggi; nella
repubblica di uomini, invece, dove non esistono realtà sociali autonome, e dove non vi è differenza tra l'uno e l'altro individuo, tutti vivono sulla base di ciò che considerano giusto (dunque nel rispetto delle leggi del vivere sociale), nutrendo sentimenti di solidarietà e di aiuto reciproco, realizzando la propria felicità e il proprio benessere senza offendere le leggi che tale benessere garantisce loro. Eppure, il continuo accrescersi del numero dei cittadini necessità in un certo senso di un'organizzazione interna alla società che persegua la realizzazione del maggior utile per un maggior numero di soggetti: non si esclude perciò la costituzione di una realtà federativa all'interno del tessuto sociale, questo però senza adottare quelle regole che caratterizzano la famiglia, e che si è avuto modo di criticare. Non si deve ritenere che le pene, per essere efficaci, debbano necessariamente essere.crudeli; anzi, la dolcezza di una pena, accompagnata alla certezza della sua applicazione è molto più utile a raggiungere il suo scopo di deterrenza che non una pena gravosa che si spera di evitare. L'animo umano si perturba molto facilmente, ma altrettanto facilmente dimentica: ciò significa che una pena anche molto grave sicuramente provoca terrore nell'animo umano, ma di certo verrà presto dimenticata, soprattutto se è accompagnata da un alone di incertezza circa la sua concreta applicazione; fa dunque molto di più una pena, anche di modesta entità, ma certa nell'applicazione concreta, che renda visibile agli uomini quanto sia deprimente e degradante la sua continua applicazione. Oltretutto, una pena quanto più sia gravosa, tanto più è probabile che istighi alla commissione di nuovi reati, che spinga il soggetto a bramare di evitarla: infatti, il reo, pur di evitare quella maggior pena che lo aspetterebbe per il reato.commesso, ne commette altri (magari anche di modesta entità). Sulla base di quanto affermato, inizia la critica che il Beccaria conduce violenta contro la pratica della pena di morte: essa non è un diritto, non è una pena legalmente e legittimamente inflitta; si tratta di un arbitrio, di un omicidio legalizzato dallo Stato, che infligge egli stesso la morte ai suoi cittadini. Ed è proprio questa circostanza che la rende ancor più discutibile, quale prototipo di pena da infliggere: lo stesso Stato, che condanna l'omicidio, che infligge la pena di morte al privato cittadino che se ne macchia, ha necessità di rispondere alla morte con la morte, infliggendola egli stesso ai suoi cittadini; lo Stato non può difendersi in altro modo dal reato commesso ai suoi danni se non ricorrendo alla pena della morte, se non eliminando del tutto il soggetto - reo. Ed allora la morte del prossimo, dipinta come spettacolo osceno e ripugnante da vedersi,Perciò come deterrente alla commissione di reati di omicidio, viene invece mostrata agli occhi di tutti, che la vedono nel pubblico supplizio e la vivono come un momento, sicuramente terrificante, ma passeggero. Il cittadino è spinto a porsi tale quesito: perché io dovrei evitare di commettere omicidi, se poi è lo stesso Stato a perpetrarne? Cosa vi è di così riprovevole nell'uccidere un altro uomo, se la stessa legge lo fa senza provare ribrezzo, ma anzi mostrandolo come esempio? In un certo senso, la pena di morte inflitta al reo, diviene non uno strumento per allontanare altri uomini dal commettere omicidi, bensì uno strumento attraverso il quale si opera una sorta di legittimazione dello stesso omicidio. Molta più impressione farà nell'animo umano il vedere un uomo, macchiatosi di un delitto, essere privato della sua libertà, reso schiavo della società che prima lo difendeva, denigrato dai suoi stessi concittadini, con
i quali prima viveva in piena parità e libertà; è vero che l'animoumano viene turbato facilmente alla visione di spettacoli crudeli (come può essere quello della pena di morte),ma è altresì vero che la sua riprovazione sarà più duratura alla visone di un spettacolo di sofferenza continua,come quello offerto dalla detenzione,magari per tutto il resto della vita.L'uomo,per sentire il turbamento del proprio intimo,deve essere sottoposto continuamente alla visione della sofferenza altrui,cui andrebbe facilmente in corso se commettesse un illecito penale: se la pena di morte fosse un valido deterrente,bisognerebbe che la stessa venisse perpetrata con una certa frequenza per poter restare maggiormente impressa nell'animo umano. Ciò significa far sì che la stessa realizzi una contraddizione interna: da un lato,deve essere idonea a punire i reati commessi; dall'altro lato,sarebbe opportuno che la stessa nonesplicasse totalmente la propria efficacia (essendo necessaria la continua realizzazione di omicidi da parte di privati cittadini, che comportino l'applicazione della pena di morte: solo in questo modo essa potrà essere applicata con una frequenza tale da imprimersi nell'animo umano, che viene sottoposto alla sua visione continua).
Ma ciò è la negazione dello stesso assunto che vuole la pena di morte quale lo strumento più efficace di punizione e prevenzione dei reati commessi, o che si intendano commettere. Oltretutto, non va trascurato che colui che subisce la pena, ed anche chi ne è spettatore, sopporta con maggior storicità la sofferenza di un attimo (in fondo, con l'inflizione della morte, si procura una sofferenza che è solo temporanea, perché poi subentra la morte, la quale cancella ogni sofferenza), piuttosto che la privazione eterna della propria libertà, il prefigurarsi una vita di schiavitù e di stenti; il
medesimo discorso deve essere fatto a colui che resta spettatore di tale pena: egli ne avrà una visione costante nel tempo (la qual cosa incrementa il suo timore verso la pena medesima), e ne determinerà sicuramente l'astensione dal reato, nell